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Lucia Rinaldi
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Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te
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Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te
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Domanda
Risposta
"Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te", comunemente nota con il nome di "Regola d'Oro", è in effetti un principio biblico. Luca 6:31 riporta le parole di Gesù: "Ma come volete che gli uomini facciano a voi, cosí fate a loro." Questa affermazione si trova nel contesto dell'insegnamento di Gesù di amare i nostri nemici. Gesù cambiò drasticamente il metodo convenzionale di trattare le persone, il quid pro quo (si veda Matteo 5:38-48). Piuttosto che ripagare gli altri con la stessa moneta, o provare a dare loro quello che meritano, dobbiamo trattarli nello stesso modo in cui vogliamo essere trattati.
In Matteo 7:12 Gesù disse: "Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge ed i profeti." Dunque, la Regola d'Oro è sempre stata una parte essenziale del messaggio della Bibbia. In seguito, nel Vangelo di Matteo, quando Gli venne chiesto quale fosse il comandamento più importante, Gesù rispose: ""ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua e con tutta la tua mente". Questo è il primo e il gran comandamento. E il secondo, simile a questo, è: "ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti" (Matteo 22:37-40). Nella notte del Suo arresto, Gesù disse ai Suoi discepoli: "Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (Giovanni 13:34-35). L'amore di Gesù per noi è perfetto, immutabile, e di autosacrificio. La nostra capacità di amare gli altri nel modo in cui comanda Gesù, proviene solo dalla nostra esperienza del Suo amore e dal potere dello Spirito Santo.
Un modo pratico per amare di più gli altri è immaginarci nelle loro circostanze. Quando ci fermiamo a pensare come ci piacerebbe essere trattati in una certa situazione, diventiamo più empatici nei confronti di coloro i quali stanno in effetti vivendo tale situazione. Ci piace essere trattati con amore e rispetto? Allora dovremmo dare questi doni agli altri.
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'Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te' è un'affermazione biblica?
di Laura Pannunzi La direzione che assume il senso di colpa nell’emissione di una condotta antisociale La regola d’oro nella filosofia dell’antica Grecia era un principio comune: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Secondo tale concezione, ogni ingiustizia avrebbe origine da una precisa violazione del “principio di reciprocità” tra
individui. Per cui, chi decide di vivere in base all’etica della reciprocità deve trattare con rispetto tutte le persone, non solo i membri della propria comunità di appartenenza. Questo concetto, apparentemente ovvio, trova un senso anche nel campo della psicopatologia, in particolar modo nell’emissione di condotte antisociali. Quindi, nei casi di trasgressione delle regole, nei soggetti antisociali risulta particolarmente labile la rappresentazione di autorità che prescrive di “non fare”, di non commettere
azioni che violino principi morali condivisi, con la conseguenza di una scarsa propensione a provare senso di colpa deontologico. Per approfondimenti: BUONANNO C. (2013), I
disturbi della condotta: la perdita del senso morale, in “Psicopatologia e psicoterapia dei disturbi della condotta, a cura di Lambruschi F., e Muratori P., Carocci Editore. MANCINI F.( 2008), I sensi di colpa altruistico e deontologico, in “Cognitivismo clinico”, 2, pp.123-44. MANCINI F., CAPO R., COLLE L. (2008), La moralità nel Disturbo Antisociale di Personalità, In “Psichiatria e Psicoterapia”, 27, pp.275-278.
Il Disturbo Antisociale di Personalità è caratterizzato da una grave e sistematica violazione dei diritti altrui come anche delle fondamentali regole morali e
sociali nell’atto di soddisfare i propri desideri e aspirazioni, in associazione, generalmente, a scarsa empatia e senso di colpa per i danni inferti alle altre persone.
Ma quali sono le ragioni che spiegano tali comportamenti? E, nello specifico, quale direzione assume l’emozione di colpa?
Secondo la tradizione interpersonale, il senso di colpa nasce dalla consapevolezza di aver danneggiato ingiustificatamente l’altro. Tale emozione dispone l’individuo alla
riparazione del danno causato e alla manifestazione di atteggiamenti positivi verso la vittima. La sua funzione sarebbe, infatti, il mantenimento del cosiddetto “reciprocal altruism” (una forma di altruismo in cui un individuo procura un beneficio a un altro senza aspettarsi una ricompensa), che motiva le persone a compensare gli effetti dei propri danni e a prevennire le rotture nelle relazioni.
Evidenze e studi scientifici dimostrano che esistono diverse emozioni
di colpa: il senso di colpa deontologico e il senso di colpa altruistico. Si tratta di due emozioni distinte, caratterizzate da manifestazioni, funzioni e ingredienti cognitivi diversi.
La colpa deontologica è quell’emozione che deriva dall’assunzione di aver violato le regole morali; implica sia un feeling di indegnità sia l’aspettativa di ricevere una punizione, dando luogo ad un dialogo interno del tipo: “Come mi sono permesso?”. Tale senso di colpa può essere alleviato
scusandosi o confessando.
La colpa altruistica produce, invece, un senso di pena per la vittima, associato a una tendenza a focalizzarsi sulle sofferenze dell’altro e a tentare di alleviarle, assumendo un atteggiamento compassionevole nei suoi riguardi.
Ma che ruolo assumono questi due sensi di colpa all’interno di una mente che persegue azioni caratterizzate da basso senso morale?
I comportamenti antisociali risentono delle rappresentazioni mentali
di un’autorità ingiusta, dove le punizioni, essendo vissute come vere aggressioni, non meritano colpa.
Il rapporto con un’autorità percepita come prevaricante legittima il ricorso a investimenti esclusivi sulla dominanza verso l’altro, esercitata spesso con strategie di tipo coercitivo.
Inoltre, le condotte antisociali sono spiegabili anche grazie alla difesa attiva di quei sentimenti empatici che, dando luogo a senso di colpa altruistico, interferirebbero con la realizzazione di scopi antisociali congrui con la loro tipica rappresentazione mentale dell’autorità.