Alluvione 1966 a Firenze. Viaggio fra i volti anonimi, fra gli abitanti dei quartieri che si erano auto organizzati e che hanno aiutato la città a rialzarsi dal fango e dal disastro provocato dall'esondazione dell'Arno. Show VIDEO DI SERGIO CANFAILLA E LORENZO GIUDICI Costruita in prossimità dell’Arno, la Biblioteca nazionale fu investita in pieno dall’alluvione del 4 novembre 1966 che sommerse quasi un milione di unità bibliografiche sistemate nel seminterrato, al piano terreno e al piano rialzato dell’edificio. Le informazioni sulla storia della Biblioteca sono tratte dal volume:1861/2011: l’Italia unita e la sua Biblioteca, Firenze, Polistampa, 2011 (Catalogo della Mostra tenuta a Firenze nel 2011-2012) Le collezioni danneggiateRisultarono gravemente danneggiati giornali, tesi di dottorato straniere, riviste, opere moderne, ma soprattutto circa centomila volumi appartenenti alle raccolte storiche della Biblioteca, ovvero gran parte dei volumi del fondo Magliabechiano, i grandi formati Palatini e il prezioso fondo delle Miscellanee. Ugualmente gravi furono i danni subiti da cataloghi e inventari, strumenti indispensabili per la ricerca bibliografica, calcolabili approssimativamente in sei milioni di schede alluvionate. La portata della catastrofe richiamò a Firenze aiuti economici (grazie al Cria e al Iaarf) e personale tecnico esperto un po’ da tutti i paesi: America, Inghilterra, Germania, Austria, Australia, Cecoslovacchia e altri ancora. Tra cui è doveroso citare l’impegno di restauratori quali Peter Waters, Roger Powell, Don Etherington, Anthony Cains, Christopher Clarkson, Dorothy Cumpstey, Sandy Cockerell, Stella Patri, Richard Young e molti altri. I grandi numeri imposero da subito la creazione di un Laboratorio le cui dimensioni fossero in grado di affrontare i problemi che si abbatterono sulla Biblioteca, mettendone addirittura in forse la sopravvivenza come massimo istituto bibliografico italiano. L’eccezionale capacità di Emanuele Casamassima, allora direttore della Biblioteca, nell’organizzare gli interventi necessari e nel prefigurare nuove e immediate soluzioni ai problemi, gli aiuti internazionali e le centinaia di giovani volontari -gli angeli del fango- permisero di costituire ed organizzare un Centro di restauro del libro che, almeno per un periodo, fu il più grande del mondo. Nel giro di poche settimane dall’alluvione vennero estratte dal fango tonnellate di volumi che, trasportati in luoghi sicuri, furono asciugati e sommariamente puliti.Il Laboratorio fu collocato inizialmente nei locali della Centrale termica della stazione ferroviaria, che, col forte di belvedere, dove furono convogliati i libri una volti asciugati , costituirono il primo nucleo del laboratorio che fu trasferito poi, nella primavera seguente all’interno della Biblioteca, in un primo momento precariamente sistemato nei sottosuoli e solo in un secondo tempo nell’ala nuova dell’edificio. Al suo costituirsi, il Laboratorio fu organizzato in una grande catena di montaggio (collazione, scucitura, operazioni umide, rattoppo, cucitura, legatura) capace di affrontare il restauro del libro in maniera necessariamente “industriale”, ma anche innovativa. Ogni volume era accompagnato da una scheda che, insieme ai danni, descriveva la struttura originale, presa come punto di partenza per la scelta di una nuova veste rispondente a canoni rigidamente funzionali. Con questo si affermò un nuovo concetto nel restauro librario, fino a quel momento indirizzato verso la ricostruzione pseudo-filologica del singolo pezzo. Le collezioni recuperateNel corso degli anni, buona parte del patrimonio librario danneggiato è stata recuperata e resa nuovamente disponibile per la consultazione ma molto rimane ancora da fare a più di cinquanta anni dal disastro.
Fondo Magliabechiano
Fondo Palatino
Fondo Palatino Cartella
Miscellanee magliabechiane
Firenze e l’ alluvione“Arrivai alla biblioteca
attorno alle 5 del pomeriggio e guardai intorno all’area alluvionata. Non c’era elettricità ed era stata messa una grossa quantità di candele per avere la luce necessaria a salvare i libri. C’era un freddo terribile; vidi gli studenti nell’acqua fino alla cintura. Avevano formato una fila per passare tra i libri così potevano recuperarli dall’acqua e quindi portarli in una zona più sicura per poterci mettere qualcosa che li proteggesse. In ogni punto della grande sala di lettura c’erano
centinaia e centinaia di giovani che si erano riuniti per aiutare. Era come se sapessero che l’alluvione della biblioteca stava mettendo a rischio la loro anima…Non lo dimenticherò mai”. Arrivarono in città alla spicciolata, da soli o a gruppi, in maniera del tutto spontanea, con zaini e automobili riempiti all’inverosimile per essere autosufficienti, con i pullman organizzati dalle scuole e dai tanti comuni e poi con le autocolonne militari. Parlavano dialetti regionali, inglese, francese, spagnolo, tedesco, arabo. Avevano i capelli lunghi e le barbe contestatrici, chitarre e badili, scorte di medicinali, viveri. Lavorarono nell’acqua puzzolente di nafta e deiezioni, a rischio di epidemie e infezioni e riuscirono nell’impresa. C’era chi li guardava con una certa diffidenza e, per l’Italia bacchettona, erano solo ‘capelloni’. Fu lo scrittore giornalista Giuseppe Grazzini a spiegare al mondo che invece erano angeli, gli angeli del fango. L’alluvione in BibliotecaDopo ogni guerra/ c’è chi deve ripulire (….) c’è chi deve spingere le macerie/ Da quando, il 22 dicembre 1861, la Biblioteca del popolo di Firenze si svegliò Nazionale e così, ammantata di coccarde e bandiere tricolori, si ritrovò italiana, ne è passata di acqua sotto i ponti e, nel 1966, per rimanere nel tema, anche sopra i ponti, per via di quel fiume che da sempre la contermina e, come aggiungerebbe Galileo “…con le montuosità interiori, ed a riempire le traposte cavità si adatta”( Galilei 1718). Quasi come se biblioteca e fiume fossero due facce della Luna, Lei quella nascosta e Lui quella evidente e vieppiù decantata. E certo Lei, antica nella storia ma nuova nell’edificio, se la ricorda bene quella mattina del 4 novembre del 1966, quando il suo vicino diede di matto, quasi a voler essere, magari per una ma indimenticabile volta, il più grande fiume del mondo: fece scoppiare le fogne, scardinò le officine, riempì le case, distrusse gli affetti e diverse persone morirono. A Lei fece saltare il riscaldamento e la luce ma soprattutto la colpì nel profondo, accanendosi contro i suoi preziosi libri, insozzandoli, sprezzandoli e distruggendoli, cagionando strazio e desolazione degne di ben altre raffigurazioni. Quasi si fosse tornati ai tempi della guerra e della Resistenza, si rappresentò, come allora, l’orrore del disastro e lo slancio inarrestabile di un esercito di giovani “sbandati” (angeli del fango), diversi nello spirito, nell’abbigliamento e nella lingua, guidati con grazia, fermezza e carisma dal Comandante “Nello”, Emanuele Casamassima, il suo direttore, che ordina di armare la nave e vigila, senza abbandonarla neanche un giorno per tre mesi di fila, adattandosi a dormire lì, nella plancia, in un sacco a pelo, con la sola compagnia, a giorni alterni, di Alfiero Manetti, Giorgio de Gregori, Francesco Barberi e di una bottiglia di grappa. Con lui, il suo equipaggio: il silenzioso Vicecomandante (Luigi Crocetti), il Direttore di macchina (Ivaldo Baglioni) brusco e generoso, dalla voce tonante, il Nostromo (Alfiero Manetti) all’organizzazione dell’equipaggio, il medico (Claudio Galanti) incaricato delle vaccinazioni, i sottufficiali (Renzo Romanelli, Diego Maltese, Eugenia Levi, Fulvia Farfara, Carla Guiducci Bonanni, Clementina Rotondi) passati con naturalezza dalla scrivania alla ricostituzione delle raccolte e dei servizi. La stessa disinvoltura con cui Alberto Cotogni, Renzo Daddi, Omero Bardazzi si tramutano in cuochi e paninari per ristorare gli angeli o con cui i mozzi Fornaciai, Bertini, Corradi si occupano del controllo dei camion che trasportano i libri ad asciugare alle fornaci e poi i tanti altri – pure quelli che non vogliono capire l’intrapresa avviata che, comunque, partecipano alla risollevazione della Nazionale. Insomma un antesignano “Yes we can” (vero questa volta) da cui la Biblioteca comincia la lenta e dolorosa cura delle ferite, tante e fonde . Di fronte alla desolazione e alla sconfitta -nostra sì, anche della faccia, ormai cattiva, della Luna- il Comandante “Nello” non si arrende: raduna alcuni tra i migliori intellettuali e ne forma un Comitato, quindi col suo giovane, improvvisato equipaggio, fa salpare la nave. Si impegnano senza tregua e si arrabattano in ogni modo, alla ricerca di disponibilità finanziarie e collaborazioni; ne trovano un po’ ovunque: inglesi, americane, francesi, australiane, cecoslovacche… e sì, anche italiane, benché talvolta un po’ ingenue e superficiali (qualcuno, ad esempio, è convinto che la segatura e il talco siano adatti ad asciugare le carte mentre qualche altro, per essiccare i libri preda delle muffe incombenti, cerca forni di varia foggia e tipo senza andare per il sottile, così i cuoi si cuociono, le pergamene si denaturano, le carte si deformano). A marzo del 1967, si riaprono la sale Manoscritti e Rinascimento, la BNI inizia a pubblicare di nuovo e, subito dopo, il Capo e il Vicecomandante con i direttori in seconda inglesi, Peter Waters e Tony Cains fann allestire un laboratorio di restauro, grande come grande era stato il danno subito, mentre il Nostromo recluta la “forza lavoro”: volontari pagati dal CRIA (Committee to Rescue Italian Art), così come i tecnici stranieri ed altri assunti dalla Cooperativa LAT, retribuiti con fondi ordinari dello stato. Addirittura, il direttore e, con lui, l’economo, Alfonso Bonanni, rischiano l’accusa di distrazione di fondi, con ben 3 ispezioni del Ministero, perché usano le risorse che la Biblioteca aveva a disposizione per il funzionamento: cancelleria, luce, fotocopie, per far mangiare un panino ai giovani e farli vaccinare. libero 2Contemporaneamente, per far riaprire alla fine questa “benedetta biblioteca”, si opera anche su altri fronti: si puliscono e si riproducono le schede del catalogo, che sono poi gli inventari di casa, si accomodano le suppellettili, si sostituiscono gli scaffali e si reintegrano, dove possibile, i libri perduti attraverso i doni di altri istituti Che tempi, che caos… e che vita!. Infine, l’8 gennaio 1968, “Nello” si sveste degli abiti del Comandante, inforca le lenti del Direttore e, dopo un brevissimo resoconto del lavoro svolto e di quello da fare, riapre la Biblioteca, marcando così, in un certo qual modo, la cesura fra i tempi eroici (eroici sì, anche se il termine pecca di retorica, per l’idealismo e lo spirito di solidarietà che li hanno pervasi) e il dopo. Lungo e molto amaro. Catastrofe e anastrofe del Fondo giornalidi Sergio Marchini A Luciano più che amico, fratello, I giornali erano immagazzinati nel seminterrato (EDIFICIO 1986) e, all’alba del 4 novembre 1966, furono completamente sommersi dall’acqua
dell’Arno e danneggiati dalla corrente del fiume, estremamente violenta all’angolo tra corso Tintori e via Magliabechi (DI RENZO 2009) . Bibliografia:
Emanuele CasamassimaEra già l’uomo più
alto (e, forse, il più bello) della Biblioteca, ma la mattina del 6 novembre 1966 quando riuscimmo ad entrare nell’edificio, all’improvviso, tra le rovine maleodoranti, scorgendolo, mi sembrò ancora più imponente, con la sua eterna giacca di velluto marrone e gli stivali di gomma mentre, senza esitazione alcuna, indicava alla massa di persone che gli si agitava intorno, cosa ognuno dovesse fare. Emanuele Casamassima, che diresse la
Biblioteca dal 1965 al 1970 durante una visita ai laboratori di restauro …Volta la carta: come cambia il restauro dopo l’alluvioneVisto con gli occhi di oggi ci sembra ovvio, quasi banale, il modo con cui il direttore e il personale della biblioteca affrontarono l’alluvione, un disastro senza paragoni sia come quantità che come condizione del materiale. Ma come Virgilio a Dante, di loro si potrebbe dire “Voi credete forse che siamo esperti d’esto loco; ma noi siam peregrin come voi siete”, e gli errori commessi,
frutto dell’improvvisazione e della fretta, furono davvero poca cosa rispetto all’intuizione di concentrare gli sforzi nell’asciugatura dei volumi. E’ qui il passaggio per cui, inaspettatamente, da operazioni inevitabilmente distruttive al massimo grado, il restauro iniziò a Firenze un percorso verso interventi non invasivi e, ancora più oltre, verso
la prevenzione dei danni dovuti alla cattiva manutenzione e alle emergenze, delle quali i piani di rischio sono diventati il cardine. Bibliografia:
Per cosa è ricordata l'alluvione di Firenze?L'alluvione di Firenze che causò gravissimi danni al suo patrimonio artistico, sarà ricordata per la mancata coordinazione da parte di una struttura base per la protezione civile.
Quanti morti alluvione Firenze 1966?Nel 2016 si è celebrato il cinquantesimo anniversario dell'alluvione che nel novembre 1966 colpì alcune regioni del nord-est e del centro Italia, causando complessivamente oltre 130 morti, quasi 400 feriti e almeno 88.000 tra sfollati e senzatetto.
Quando è avvenuta l'alluvione di Firenze?Avvenuta nelle prime ore di venerdì 4 novembre 1966 fu uno dei più gravi eventi alluvionali accaduti in Italia, a seguito di un'eccezionale ondata di maltempo che causò forti danni non solo a Firenze, ma anche a Pisa, in gran parte della Toscana e, più in generale, in tutto il Paese.
In che anno è straripato l'Arno a Firenze?04 novembre 1966: il fiume Arno rompe gli argini e straripando provoca l'alluvione di Firenze. L'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 fa parte di una serie di straripamenti del fiume Arno che hanno mutato, nel corso dei secoli, il volto della città di Firenze.
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