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Il verbo è la parte variabile del discorso che esprime un'azione (λύω "io sciolgo") o un modo di essere (εἰμί Ἰωάννης "io sono Giovanni"); questa espressione può riferirsi al tempo passato, presente e futuro; può essere vista come realtà, eventualità, desiderio, ordine; in corso del suo svolgimento in sé per sé, nei suoi risultati; può essere fatta o subita dal soggetto. Presente congiuntivo attivo di λύω Caratteri generali della formazione[modifica | modifica wikitesto]Il sistema verbale del greco antico è caratterizzato da una particolare ricchezza di forme, che trae origini dalla lingua indoeuropea per quanto concerne la fonetica e la sintassi: il verbo greco antico oltre a possedere tutti i tempi, i modi e le forme verbali che ha anche il latino, possiede tempi, modi diatesi, che il latino non possiede. Il sistema attraverso cui il verbo esprime queste categorie dell'azione è la coniugazione, che comprende i sette tempi (presente, imperfetto, futuro, aoristo, perfetto, piuccheperfetto, futuro perfetto); sette modi, per la precisione quattro finiti con desinenze personali (indicativo, congiuntivo, ottativo, imperativo) e tre voci nominali o modi infiniti (infinito, participio e aggettivo verbale), tre numeri (singolare, duale, plurale), e tre persone (prima, seconda e terza). Il duale in greco è raro, le prime attestazioni risalgono ai poemi di Omero, poi è presente negli scrittori in dialetto attico puro come Aristofane, Platone, Senofonte, e negli oratori attici quali Lisia; esso possiede la II e III persona, mentre la I cadde in disuso molto presto, fu sostituita dalla I persona plurale del "noi". In generale in greco la persona è indicata dalla desinenza, è espressa da pronomi personali, determinativi o dimostrativi, solo quando si vuole darne particolare rilevanza. Il duale in italiano si traduce in base al soggetto che compie o subisce l'azione, "loro due", e in base all'aspetto dell'azione, per lo più imperativo quando il verbo ha funzione conativa, di comando: "voi due fare questo", si correla quando è scritto nella forma perifrastica passiva (spesso sovente nel perfetto e nel piuccheperfetto passivi congiuntivi e ottativi, e nella III persona plurale dell'indicativo perf. e piucch.), con le forme di duale della II e I declinazione (G.D. genitivo, dativo, e N.A.V., nominativo-accusativo-vocativo). La coniugazione verbale presenta tre diatesi, attiva, media e passiva, che spesso ricorrono tutte e tre per vari verbi dell'aoristo e del futuro, dato che per il passivo, questi due tempi contengono desinenze proprie, e l'aoristo finisce per essere coniugato con il tipico infisso -θη e le desinenze della diatesi attiva, pur essendo nella forma passiva: attiva se l'azione è compiuta dal soggetto, media se la
sfera riguarda il soggetto (e non si deve tradurre per forza in forma passiva nell'italiano, soprattutto per quanto riguarda i verbi deponenti con valore intransitivo), e passiva, se il soggetto subisce l'azione. Mentre in italiano il verbo si coniuga per modi, che spesso usiamo anche per classificare anche le forme greche di indicativo, congiuntivo, ottativo, imperativo, il greco si coniuga formalmente solo per tempi. questa convenzione si spiega con la peculiarità dei temi temporali del greco. Tema verbale[modifica | modifica wikitesto]Il tema verbale è la parte fondamentale del verbo stesso, che permane in tutte le forme su cui si articola la coniugazione; è portatore del significato di base o semantema. Da esso si formano i temi temporali, per quanto riguarda i sistemi verbali regolare, dato che molti come si vedrà sono irregolari, nella fase più antica della lingua greca i tempi erano infatti generati da temi differenti.[1] Il tema del verbo, per comprendere meglio di cosa si parla, come per i sostantivi delle 3 declinazioni greche e le 5 latine, si forma dal primo nucleo generale di radice (anche radicale), elementi minimo e irriducibile (esempio λύω tema verbale λυ per la classe dei verbi in ω, mentre per i più antichi verbi in -μι γίγνομαι, il tema verbale ha doppia apofonia: γι-γε in base al tempo in cui lo si coniuga), comune a un gruppo di termini simili o affini tra loro; a tal radicale possono unirsi ulteriori tratti semantici (morfemi) non autonomi, ossia i suffissi, che possono essere anche prefissi (se all'inizio del tema) o gli infissi, se posti nel mezzo della parola; dalla radice + il suffisso si crea il tema del sostantivo e del verbo, comune ad altre parole, e portatore di un significato più specifico e determinato, rispetto a quello originario della radice. Per intendersi, il radicale γνω-/γνο di γιγνώσκω esprime l'idea di "conoscere" come in altre lingue indeuropee (cfr latino cognosco in italiano "conosco", in inglese to know) ed è individuabile in numerosi termini appartenenti a una famiglia di parole del greco, come γνώμη (intelligenza), γνῶσις (conoscenza) oppure ἄγνοια (ignoranza)[2], in cui è evidente il tema -γνω/ο, cui soni uniti dei suffissi per creare nuovi significati. Il tema è anche la forma base per la flessione, il greco è infatti una lingua flessiva, in quanto comprende una categoria di parole composte da una parte invariabile del discorso, il tema, che ne esprime il significato fondamentale, e altri elementi variabili, le desinenze - terminazioni, privi di valore semantico se messe da sole, ma che ne determinano la funzione sintattica all'interno del periodo. La flessione, tipica delle lingue indeuropee e di altri ceppi linguistici, è caratterizzata dal nome, al cui interno si distinguono articolo, sostantivi, aggettivi, pronomi, e del verbo, gli elementi invariabili come gli avverbi, le proposizioni, le congiunzioni e le esclamazioni. Il tema verbale dunque può essere radicale costituito da una radice, cioè dal nucleo irriducibile comune a tutta la famiglia di parole, e che ne porta in sé la valenza base. La radice verbale ha per lo più una struttura monosillabica, e può terminare in vocale o consonante; le radici in consonante sono solo monosillabiche, e possono avere un'unica forma (λέιπω radice -λειπ-/οιπ-λιπ, o λαμβάνω radice λαβ-/ληβ)[3]; sono possibili anche possibili adattamenti fonetici nei vari tempi, in base all'apofonia. Le radici in vocale sono monosillabiche (λύω radice λυ, oppure πνέω radice doppia πνευ-/πνυ), o bisillabiche, presentano una seconda sillaba e suono vocalico breve, evoluzione di fonemi indeuropei (βάλλω radice *βαλɚ> βαλε-/βλη/βαλ-). Infine ci sono i verbi derivati, che hanno il tema derivante dal tema nominale, tipo βασιλεύω da βασιλεύς "sovrano - re"), oppure dal tema e dalla radice di un altro verbo, con modificazioni apofoniche o aggiunta di suffissi. A partire dal tema verbale, con l'aggiunta di eventuali prefissi, infissi o suffissi modali e temporali, vocali tematiche e desinenze, si forma il tema temporale, e costituisce la base della flessione dei diversi tempi. Accade che, nel perfetto fortissimo atematico, così come nell'aoristo III fortissimo, il tema può essere radicale, ossia privo di suffisso (βαίνω, aoristo ἔβην), oppure suffissale, cioè quello dell'aoristo I debole. Tema temporale[modifica | modifica wikitesto]I temi temporali sono 6:
Il tema del presente, dell'aoristo e del perfetto indicano essenzialmente l'aspetto o la qualità dell'azione, concetto che con ogni probabilità è estraneo al tema del futuro; il tema dell'aoristo passivo e del perfetto mediopassivo esprimono il medesimo aspetto dei rispettivi temi attivi. Nei lessici e nelle grammatiche scolastiche i verbi greci sono registrati con l' uscita della prima persona singolare dell'indicativo presente attivo, in -μι e in -ω, o se il verbo è mediopassivo in -μαι. A causa di questa diversa uscita dell'attivo, si è soliti parlare di due coniugazioni, la tematica e l'atematica. Nella tematica (in "ω" dall'uscita della I persona singolare dell'indicativo presente attivo), le desinenze personali si aggiungono al tema verbale per mezzo di una vocale tematica (-ε-/ο-)[4], con alternanza di timbro apofonico (λυ-ο-μεν /I persona plurale indicativo presente attivo/ e λυ-ε-te indicativo II persona plurale del presente attivo). La vocale tematica è un ampliamento, caratteristico in alcuni temi temporali, e che può comparire in più modi, originato da un'alternanza breve già indeuropea *e/o; può essere aggiunta direttamente al tema verbale o unirsi a suffissi e desinenze, costituendo la terminazione. La coniugazione atematica (o in -μι), dall'uscita della I persona singolare dell'indicativo presente attivo, di verbi come εἰμί e δίδωμι, è molto antica (attestata già in Omero), precede quella tematica, e unisce direttamente le desinenze al tema verbale (δίδo-μεν I persona plurale indicativo presente attivo); con il passare dei secoli, soprattutto con l'avvento in Grecia della koinè alessandrina, la coniugazione
atematica sparì, e si adattò a quella tematica. Nel verbo δύναμαι, δύνα- è il tema del presente e -μαι la desinenza; dunque manca il suffisso, la forma è atematica. La distinzione tra flessione tematica e atematica interessa solo alcuni tipi di verbi temporali. Il verbo greco però è la somma di molti sistemi temporali, che a loro volta possono essere tematici o atematici; i presenti indicativi del verbo greco nella quasi totalità dei casi sono tematici, ma non esiste un verbo in -ω i cui sistemi siano tutti tematici, come non esiste un verbo uscente al presente indicativo in- μι i cui sistemi siano tutti atematici - per intendersi l'aoristo passivo di λύω al presente tematico è ἐλῠ́θην, che è chiaramente atematico, mentre il verbo al presente chiaramente atematico τίθημι, ha il futuro attivo palesemente tematico in θήσω. Aspetto dei tempi[modifica | modifica wikitesto]Ogni azione è collocata in un momento preciso, presente - passato - futuro, ed è spesso considerata nel suo rapporto con altre azioni contemporanee, anteriori, posteriori. L'attenzione verso il processo verbale (azione durativa, momentanea o conclusa) non è indispensabile né risponde a una precisa categoria morfologica: a volte tale concetto si osserva nel significato del verbo stesso, a volte è espresso da perifrasi ("sto leggendo", azione momentanea vista nell'istante del compimento, "io fuggii" azione perfettiva, colta nei risultati della stessa, "mi sono liberato" quindi "sono libero", azione puntuativa, ricorrente spesso nell'aoristo). Nel sistema verbale greco la categoria dell'aspetto prevale invece sulla nozione di tempo, il che lo differenzia molto, soprattutto quando occorre rendere una frase dal greco antico all'italiano, che ha un modo diverso di concepire il tempo.; questa è la più rilevante eredità linguistica dall'indoeuropeo, e spiega la tendenza originaria del greco a non produrre una coniugazione organica. I temi temporali hanno il compito di definire i diversi aspetti in cui l'azione è vista da chi parla o scrive in rapporto al suo svolgersi, in modo indipendente dalla collocazione cronologica: solo su un piano secondario ed entro certi limiti indicano il tempo, una delle varie ragioni per cui per indicare un'azione del passato, nelle sue diverse forme di aspetto, nel greco esistono i tempi dell'imperfetto, dell'aoristo, del perfetto e del piuccheperfetto, per non parlare del futuro perfetto, una sorta di futuro anteriore italiano. L'aspetto o qualità dell'azione, è una rappresentazione spaziale espressa del tema verbale[5]. La distinzione fra i diversi tipi di aspetto si basa sull'opposizione di tre temi temporali fondamentali, che rendono l'idea di aspetto più che il concetto stesso di tempo: il tema del presente (aspetto durativo); il tema dell' aoristo (aspetto puntuativo o assoluto), e il tema del perfetto (aspetto stativo resultativo). Nel modo indicativo si coglie anche l'idea di tempo, che il greco non pone però in relazione di anteriorità, contemporaneità e posteriorità, come invece è tipico dell'italiano. Nei modi ottativo e infinito, in determinati contesti, possiamo rilevare un concetto diacronico di distanziamento tra il parlante e l'azione riferita, ma di consueto si avverte unicamente la qualità dell'azione - sull'eccezione costituita dal sistema del futuro, che indica un'azione che dovrà svolgersi o essere subita.
Caratteristica "ciclica" dei tempi greci[modifica | modifica wikitesto]I 7 tempi del greco sono detti "primari": il presente, il futuro attivo, il futuro perfetto ed il perfetto, caratterizzati anche da specifiche desinenze; a differenze dei tempi "storici" dell'imperfetto, dell'aoristo e del piuccheperfetto, con altre desinenze. Il fatto che il verbo privilegi l'aspetto dell'azione non significa che ignori del tutto la nozione cronologica, ma questa appare secondaria. Nel modo indicativo la voce verbale esprime anche il tempo, e perciò in questo modo il valore aspettuale e cronologico coesistono. In tutti gli altri modi di ogni tempo, prevale sostanzialmente l'aspetto; di qui nasce la difficoltà di rendere in italiano il valore di una forma verbale greca che non sia l'indicativo. Un caso
particolare è dato dal futuro, è un tempo privo di aspetto poiché è un'evoluzione di un congiuntivo volitivo, ed esprime la pura virtualità del realizzarsi di un'azione. Pare nato secondo alcuni come un suffisso desiderativo, da un concetto come "possa io andare", e si passa ad "io andrò". Esso va considerato un modo più che un tempo, è privo di congiuntivo, ha solo l'indicativo, l'ottativo, il participio e l'infinito, manca anche l'imperativo, che costituisce con il congiuntivo, i modi più
prossimi al suo significato di desiderio, non presenti nel sistema, altrimenti sarebbero diventati dei doppioni degli altri. Come modo, il futuro esprime un'azione virtuale che ancora deve avvenire, mentre come tempo proietta nel futuro l'accadimento di un'azione, e nei modi può indicare un'azione prospettata sia come durativa che come assoluta. Il futuro perfetto ha valore aspettuale stativo resultativo nel futuro di un'azione già compiuta nel passato, o vista come realizzata perfettamente, in italiano si rende con il futuro anteriore I modi del verbo greco sono:
Oltre ai modi finiti, si hanno quelli indefiniti, oppure "nominali":
Facendo l'esempio del verbo λύω, ha il participio presente in λῡ́ων, λῡ́ουσᾰ, λῦον. Per il maschile *λυ-σ-οντ si ricava la forma apofonico-asigmatica con la caduta di sigma intervocalico, conseguente ampliamento della vocale tematica in ω (solitamente l'accento sta su tale vocale, ma siccome in λύω è sulla vocale del radicale, che precede la vocale interessata da allungamento apofonico, nell'attivo l'accento rimane invariato, anche nel femminile e nel neutro, dove si limiterà semplicemente ad allungarsi in circonflesso); da caduta di sigma, e del τ perché in finale di parola[7], si ha:
Desinenze del tutto diverse si hanno nei participi dei verbi in -μι, ma anche per temi particolari come διδο (δίδωμι, tema verbale δω-δο) e γνο (γιγνώσκω, tema verbale γνο-γνω).
Quanto detto per la differenza delle desinenze dei verbi in -μι, concentrandoci sul participio presente, per i temi raddoppiati quali τίθημι e δίδωμι, per il primo (col tema verbale in θη e θε), il tema verbale θη si usa per le prima 3 persone dell'indicativo, lo stesso per il tema verbale δω di δίδωμι. Per la formazione del participio presente e aoristo attivi dei verbi in -μι (sempre valendo la regola che in aoristo il raddoppiamento del presente è rimosso, e vale solo il radicale o tema verbale + desinenza), si ha:
Altre uscite del participio con tena in -οντ -εντ - αντ, esempio di δίδωμι - di importanza perché nel tema verbale διδο non si usa la vocale tematica tipica -ο, ma questa è già presente nel tema stesso, non si ottiene il participio apofonico, bensì sigmatico - tema del presente διδο - διδω e tema verbale è δο - δω:
Nell'aoristo attivo, il participio si rende alla stessa maniera, solo che manca il raddoppiamento -δι. Per temi verbali doppi, come nel caso di φαίνω, con tema verbale φη (anche questo tema viene usato per le prime 3 persone singolari dell'indicativo)-φα, si ha per il presente:
Per i verbi con raddoppiamento al presente, per i temi con vocale tematica -ο si ha la stessa realizzazione del presente senza raddoppiamento iniziale, con i verbi in -μι si parte dal tema verbale θε di τίθημι e si ottiene:
Per i temi verbali in -ωil participio aoristo attivo si ottiene, sempre nell'esempio di λύω che ha l'aoristo I sigmatico:
Il tema verbale di βαίνώ è βαν, usato per l'aoristo anziché al presente βαι, ché il participio viene βαίνων - βάινουσα - βαίνον:
Esiti fonetici delle vocali e consonanti[modifica | modifica wikitesto]Vocali[modifica | modifica wikitesto]La contrazione è un fenomeno interno alla parola, molto diffuso, tende a ridurre la frequenza degli iati (o anche dittonghi lunghi impropri), si tratta infatti della fusione di due vocali aspre adiacenti, o di vocale aspra e con dittongo, che formano così un'unica vocale, sempre lunga o anche dittongo. Lo iato è conservato raramente, nei casi dei bisillabi (θεός), o anche quando la scomparsa di *w (waw detto anche digamma ϝ), che ha prodotto la vicinanza di due vocali aspre, è così recente che la contrazione non ha più avuto luogo, come nell'esempio*γλυκεϝος > γλυκεός. Nella contrazione delle vocali, è determinate sempre quella precedente - sempre posto che essa sia lunga- altrimenti avviene il contrario, e se accentata, questo se acuto diventa circonflesso, salvo alcuni casi. Questi esiti sono di grande importanza per comprendere la trasformazione sia dei sostantivi nella declinazione, che gli esiti delle diverse coniugazioni dei tempi verbali, dato che esistono, anche in base al dialetto di pertinenza (si ricordino la declinazione attica, il futuro dorico, il futuro attico), chiari fenomeni di contrazione, per via dei processi storici di trasformazione del participio, o dell'incontro della vocale tematica del tema verbale + la desinenza, o dell'unione semplice, per i tempi storici quali l'aoristo III o il piuccheperfetto, con la semplice desinenza. Gli esiti sono:
Incontri misti di ᾱ (alfa lungo) con vocali ed ε + α:
Altri incontri misti:
Leggi di contrazione[modifica | modifica wikitesto]La contrazione avviene secondo le seguenti leggi:
A queste regole ci sono alcune eccezioni, le più importanti sono:
L'accento nella contrazione[modifica | modifica wikitesto]L'accentazione delle sillabe contratte obbedisce alle seguenti regole:
Se lo iato avviene tra due parole di cui la prima finisce e la seconda inizia per vocale, esso si può evitare mediante:
Metatesi, sincope, apocope, protesi[modifica | modifica wikitesto]La metatesi quantitativa (μετάθεσις) è lo scambio di quantità (cioè durata) che talvolta può avvenire tra due vocali vicine. Tale fenomeno in attico si riscontra soprattutto nei gruppi ηᾰ --> εᾱ e ηο --> εω. La sincope (συγκοπή) è la caduta di una vocale tra due consonanti in corpo di parola. L'apocope (ἀπκοπή) è la caduta della vocale finale breve davanti a parola che incomincia per consonante. Tale fenomeno è raro presso gli attici e si trova esclusivamente in poesia; provocando l'incontro tra due consonanti dà luogo a vari mutamenti fonetici. La protesi (πρόθεσις) è il fenomeno per cui in certi casi, per ragioni di eufonia, viene aggiunto un suono vocalico o consonantico in principio di parola. Apofonia[modifica | modifica wikitesto]L'apofonia, ovvero la gradazione o alterazione vocalica, è il fenomeno fonetico per cui la vocale di una stessa radice subisce delle varie variazioni:
Mentre l'apofonia quantitativa è propria del greco, la qualitativa è originaria della lingua indoeuropea e consiste in un vero e proprio mutamento di vocale. Per comprendere il mutamento va ricordato che una radice può avere tre gradi:
L'apofonia qualitativa è quindi proprio il passaggio tra un grado e l'altro che si indica di solito con il nome di vocalismo medio, forte, debole. Non tutti e tre le radici hanno tutte e tre i gradi, e non sempre i fenomeni di apofonia obbediscono a leggi fisse. Le alterazioni frequenti sono tuttavia queste:
Va notato che quando il grado medio contiene il suono -ε- il grado debole (o ridotto) può essere dato:
La presenza di tale -α- nel grado debole si spiega con il fenomeno della così detta vocalizzazione della liquida o della nasale: poiché nel grado zero, caduta la -ε-, la liquida o la nasale preceduta da consonante non si potevano più pronunciare agevolmente si produsse il suono vocalico -α-, che si affiancò a -λ, μ, ρ- e si sostituì a -ν-. Si ebbero dunque i seguenti passaggi:
La -ν- si vocalizza in -α- specialmente quando ha funzione di desinenza. Il fenomeno della vocalizzazione delle liquide e delle nasali si spiega col fatto che nell'antico indoeuropeo le liquide e le nasali poiché molto sonore erano considerati come suoni intermedi fra consonante e vocale. Poiché però non era agevole per i greci articolare queste liquide-vocali e nasali-vocali, qualora forse precedute da consonante, in ionico-attico esse diedero luogo al suono vocalico -α-. Analogamente l'alfa privativa greca deriva dall'indoeuropea -ת-. Mutamenti di consonanti[modifica | modifica wikitesto]I fenomeni fonetici più importanti che interessano i suoni consonantici sono:
Assimilazione, dissimilazione, eliminazione[modifica | modifica wikitesto]I mutamenti fonetici determinati dall'incontro di consonanti sono dovuti per lo più a ragioni di eufonia e si distinguono in:
Di seguito sono elencati i più notevoli e frequenti fenomeni di assimilazione, dissimilazione ed eliminazione che riguardano consonanti, declinazioni di nomi, coniugazioni di verbi e la formazione delle parole. Esse sono divise a seconda delle categorie di consonanti. Mute gutturali (κ, γ, χ)[modifica | modifica wikitesto]Gutturale davanti a dentale di grado diverso si assimila assumendo il grado della dentale:
Eccezionalmente la preposizione -ἐκ- (da) mantiene immutata la -κ- davanti a consonante mentre la muta in -ξ- davanti a vocale. Le gutturali -κ- e -χ- davanti a -μ- si mutano in -γ-:
Gutturale davanti a -σ- resta o diventa tenue e si fonde nella consonante doppia -ξ-:
Mute labiali (π, β, φ)[modifica | modifica wikitesto]Labiale davanti a dentale di grado diverso si assimila assumendo il grado della dentale:
Labiale davanti a -μ- si assimila:
Labiale davanti a -σ- resta o diventa tenue e si fonde nella consonante doppia -ψ-:
Mute dentali (τ, δ, θ)[modifica | modifica wikitesto]Dentale davanti a dentale si assibila (cioè diventa sigma σ per dissimilazione):
Dentale davanti a -μ- si assibila:
Dentale davanti a σ o κ cade senza lasciare traccia (eliminazione). I gruppi ντ o νδ o νθ davanti a -σ- cadono (eliminazione) provocando l'allungamento di compenso della vocale precedente. Nasali (ν, μ)[modifica | modifica wikitesto]La nasale -ν- davanti al labiale si muta in -μ- (assimilazione):
La nasale -ν- davanti a gutturale si muta in -γ- (assimilazione della nasale dentale nella nasale gutturale):
Vi è come eccezione che quando -ν- si trova davanti a gutturale seguita da altra consonante, non si muta in -γ-, ma cade, per evitare il succedersi di tre consonanti. La nasale -ν- e -μ- davanti a -σ- o si assibilano (diventando -σ-) oppure si eliminano, provocando l'allungamento di compenso:
La nasale -ν- cade senza lasciare traccia nei dativi plurali della 3ª declinazione e quando -σ- è seguito da consonante. La nasale -ν- davanti alle liquide si assimila mentre davanti a -μ- o si assimila o si assibila:
La preposizione -σύν- (con) può mantenere invariata la -ν- davanti a -ρ-. La nasale -μ- davanti a liquida si è mutata in -β- mentre davanti a -τ- si muta in -ν-:
La nasale -μ- in fondo di parola si muta in -ν-. Sibilante (σ, ς)[modifica | modifica wikitesto]All'inizio di parola si è verificato spesso la caduta del sigma iniziale di cui è rimasta traccia nello spirito aspro sulla vocale seguente. All'interno di parola il -σ- cade sia se è intervocalico, sia se interconsonantico, sia se seguito da altra -σ-. Il sigma intervocalico non cade nel futuro e nell'aoristo sigmatici, perché costituisce la caratteristica del suffisso temporale. Nelle terminazioni -σις, σιος, σια- precedute da vocale il sigma intervocalico non è caduto, perché deriva da un originario -τ-. Se invece il -σ- sta dopo -λ, μ, ν, ρ- cade con allungamento di compenso. In età posteriore -σ- dopo -λ- e -ρ- è rimasto inalterato oppure si è assimilato. Se invece il -σ- è davanti a -μ- o -ν- esso cade con allungamento di compenso. In età posteriore la sibilante nei gruppi -σμ, σν- si è assimilata. Antica semivocale -jod-[modifica | modifica wikitesto]La -jod- iniziale è caduta. Per lo più ne è rimasta traccia sulla vocale seguente che ha perso lo spirito aspro oppure talvolta invece del -jod- si è mutata in -ζ-. La -jod- intervocalica è invece caduta senza lasciare traccia. La -jod- preceduta da -α, ε, ο- si è vocalizzata in -ι- mentre quella preceduta da -ι, υ- è caduta con allungamento di compenso. La -jod- preceduta da consonante ha determinato vari mutamento fonetici di cui i più importanti:
I gruppi -αιν, ειν, αιρ, ειρ- risultano dalla vocalizzazione di -j- in -ι- e dalla successiva metatesi, per cui -ι-, internandosi, ha formato dittongo con la vocale del tema (ανj > ανι > αιν, ecc.). Antica semivocale -digamma-[modifica | modifica wikitesto]Il digamma iniziale è caduto. Talvolta ne è rimasta traccia sulla vocale seguente, che ha preso lo spirito aspro. Il digamma intervocalico è caduto senza lasciare traccia. Il digamma davanti a consonante o in fine di parola si è vocalizzato in -υ-. Interessanti sono inoltre le derivazioni del gruppo consonantico -τ + F-:
Sincope, epentesi, metatesi, paragoge[modifica | modifica wikitesto]Si ha sincope (συγκοπή) quando, per ragioni eufoniche, cade un'intera sillaba nell'interno di parole. Si ha epentesi (ἐπένθεσις) quando avviene il fenomeno contrario cioè quando fra due consonanti della medesima natura se ne inserisce, per ragioni eufonetiche, una terza. Così per facilitarne la pronuncia nei gruppi -μρ, μλ- si inserisce un -β- mentre nel gruppo -νρ- si inserisce un -δ-. Si ha metatesi (μετάθεσις) quando per ragioni eufoniche, in una stessa parola avviene la trasposizione di due suoni vicini o lontani. Si può definire metatesi dell'aspirazione quando in una parola scompare una consonante aspirata (perché si è fusa con sigma in una consonante doppia: es. Χ + σ = ξ; φ + σ = ψ), l'aspirazione passa nella sillaba iniziale. Si muta in aspirata l'eventuale tenue (τ > θ), si muta in aspro l'eventuale spirito dolce. Si ha paragoge (παραγωγή) quando si aggiunge una consonante finale a una parola che termina per vocale, quando anche la parola seguente incomincia per vocale. Tali consonanti si dicono mobili e sono:
Classi verbali[modifica | modifica wikitesto]Divise in due principali gruppi verbali, quelli col tema verbale in -ω e gli atematici con la desinenza della I persona singolare del presente indicativo in -μι, tali gruppi si dividono in 8 sotto-gruppi. La classificazione secondo le otto classi tradizionali[modifica | modifica wikitesto]Spesso questa suddivisione viene in realtà ridotta a sole sette classi, accorpando la seconda nella prima. Inoltre parecchi verbi, pur appartenendo a determinate classi in base alla loro terminazione (è un esempio πίπτω che dovrebbe essere nella terza), confluiscono in altre per i grandi mutamenti che registrano nel tema verbale; per questo vengono spesso accomunati all'ottava classe che raggruppa tutti quei verbi che hanno un tema verbale completamente diverso da quello del presente o che comunque non può essere collegato a quello del presente con spiegazioni delle trasformazioni o regole. Prima classe[modifica | modifica wikitesto]Fanno parte della prima classe verbale tutti quei verbi che formano il tema del presente aggiungendo direttamente la vocale tematica al tema verbale. Essi sono tutti i verbi con il tema in vocale e alcuni uscenti in consonante occlusiva. Seconda classe (prima bis)[modifica | modifica wikitesto]Come già detto sopra, spesso questa classe viene inglobata nella prima, in cui i verbi vanno a formare il gruppo di quelli con tema impuro, mentre quelli già presenti hanno tema puro; il perché abbiano tema impuro è ora spiegato. Infatti alla seconda classe fanno parte i verbi con apofonia senz'alcun altro ampliamento nel tema del presente. I temi di questi verbi mostrano nel presente il grado normale, mentre nel tema verbale presentano il grado debole. I seguenti verbi in ε presentano apparentemente due temi del presente, poiché uscivano originariamente in εϝ, che diventa ευ se seguito da consonante, mentre se seguito da vocale, il digamma cade senza lasciare traccia.
I due verbi καίω (o κάω) brucio e κλαίω (o κλάω) piango hanno il tema verbale in -αυ-, poiché originariamente erano in -αϝ-. Terza classe (seconda)[modifica | modifica wikitesto]La terza classe comprende i verbi con il tema verbale in labiale che formano il tema del presente aggiungendo uno jod, che dà origine al gruppo -πτ. Es.
Nell'ultimo verbo l'aspirazione, in accordo con la legge di Grassmann, si annulla sul primo elemento (θ) solo quando compare il secondo (φ): θάπτω (presente; l'infisso -τ- deaspirantizza φ, permettendo il mantenimento di θ), ἔθαψα (aoristo attivo primo; il -φ- si fonde con l'infisso caratteristico -σ- dell'aoristo primo deaspirizzandosi e permettendo il mantenimento di θ), ἐτάφην (aoristo passivo secondo; il mantenimento di φ causa la deaspirazione di θ); nell'aoristo passivo primo ἐθάφθην appaiono invece irregolarmente tutt'e due. Quarta classe (terza)[modifica | modifica wikitesto]nella quarta classe sono presenti i temi che nel tema verbale presentano uno j (jod). Di conseguenza incontrando diverse lettere ci sarà una trasformazione; esempi:
Quinta classe (quarta)[modifica | modifica wikitesto]La quinta classe raggruppa parecchi verbi che presentano un infisso nasale (ν, eventualmente preceduto da una vocale) nel tema del presente, divisi a loro volta in cinque categorie:
Sesta classe (quinta)[modifica | modifica wikitesto]Fanno parte della sesta classe i verbi incoativi, che hanno due terminazioni.
Alcuni verbi in vocale lunga tuttavia prendono il suffisso -ισκω; in questo caso, lo iota si sottoscrive: θνῄσκω morire (tema verbale θαν/θν.η-). Settima classe (sesta)[modifica | modifica wikitesto]La settima classe si può dividere in due gruppi:
I verbi appartenenti al primo gruppo sono:
Mentre quelli del secondo gruppo sono:
Ottava classe (settima)[modifica | modifica wikitesto]Dell'ottava classe fanno parte i verbi politematici, cioè alcuni verbi che per la formazione di tempi diversi dal presente e dall'imperfetto utilizzano diverse radici verbali; sono, in ordine alfabetico, αἱρέω "prendere", ἐσθίω "mangiare", ἔρχομαι "andare", λέγω "dire", ὁράω "vedere", πάσχω "soffrire" (originariamente della sesta classe), πίπτω "cadere" (originariamente della terza classe), τρέχω "correre" e φέρω "portare". αἱρέω t.v. ἑλ-: aoristo εἷλον (aumento in ει-) ἐσθίω t.v. ἐδ-/φαγ-: presente da *ἐδθιω; futuro ἔδομαι; aoristo ἔφαγον ἔρχομαι t.v. ἐλευθ-(ἐλυθ-)/ἐλθ-: futuro ἐλεύσομαι; aoristo ἦλθον λέγω t.v. ἐρ-(ῥη-)/ἐπ-: futuro ἐρῶ (fut. pass. ῥηθήσομαι); aoristo εἶπον (aoristo raddoppiato, con doppia caduta di digamma) ὁράω t.v. ὀπ-/ἰδ- εἰδ- οἰδ- (apofonico): futuro ὄψομαι; aoristo εἶδον πάσχω t.v. πενθ- πονθ- παθ (<*πνθ): presente da *παθσκω > πάσχω: caduta di dentale davanti a sibilante e metatesi dell'aspirazione; futuro πείσομαι (da πενθ, con caduta di -νθ- davanti a sibilante e allungamento di compenso); aoristo ἔπαθον (da παθ) πίπτω t.v. πετ- ποτ- πτ-: presente πι-πτ-ω (grado zero e raddoppiamento del presente); futuro (dorico) πεσούμαι (da *πετ-εσ-ομαι > *πετ-εομαι > *πεσ-εομαι, caduta del sigma intervocalico e assibilazione della dentale del tema); perfetto πέπτωκα (da πτο) τρέχω t.v. θρεχ-/δραμ(η)-: futuro δραμοῦμαι; aoristo ἔδραμον φέρω t.v. οἰ-/ἐγκ-: futuro οἴσω; aoristo ἤνεγκον (raddoppiamento nel tema dell'aoristo) La classificazione secondo la presenza o meno di jod nel tema del presente[modifica | modifica wikitesto]I verbi in -ω si possono dividere in due classi: verbi senza interfisso jod, e verbi con interfisso jod. Prima classe[modifica | modifica wikitesto]I verbi che appartengono alla prima classe possono avere o meno un ampliamento e un raddoppiamento del presente (o entrambi). Senza ampliamento[modifica | modifica wikitesto]Per mostrare in modo chiaro come le vocali tematiche della coniugazione si inseriscano tra le desinenze e il tema, verranno illustrate le voci della 1ª persona plurale.
Con ampliamento[modifica | modifica wikitesto]I possibili interfissi che si possono incontrare sono: αν, ε, ισκ (σκ), ν. Non c'è una regola precisa per distinguere quali temi prendono questi suffissi. Si possono fare degli esempi: infisso -αν-: ἁμαρτ-άν-ο-μεν. infisso -ε-: δοκ-έ-ο-μεν > δοκοῦμεν infisso -σκ-/-ισκ-: ἱλά-σκ-ο-μαι, στερ-ίσκ-ω infisso -ν-: τέμ-ν-ο-μεν.
Seconda classe[modifica | modifica wikitesto]Della seconda classe fanno parte temi verbali in consonante che producono esiti diversi incontrandosi con l'interfisso ϳ. Sono elencate di seguito le terminazioni verbali che risultano dall'incontro delle consonanti finali con l'interfisso ϳ.
I 7 verbi politematici[modifica | modifica wikitesto]Il verbo greco conserva in modo evidente le caratteristiche dell'indoeuropeo, in cui non esisteva una coniugazione sistematica: i temi verbali, propri dei vari tempi e non di necessità appartenenti a una stessa radice, erano flessi in modo autonomo; talvolta nell'ambito di ciascun tema temporale giocava un ruolo importante anche l'apofonia, che con la formazione vera e propria del greco antico nel VII-V secolo a.C., caratterizzò vari tempi, e sotto-tipologie dei tempi stessi, come l'aoristo I debole, l'aoristo II forte e l'aoristo III fortissimo o atematico. Nel greco omerico e arcaico non esistono dei veri e propri verbi, ma solo temi temporali e radici isolate legate a un tema temporale (presente, aoristo, perfetto ecc.), data la forte rilevanza dell'aspetto dell'azione in sé. Degli esempi, conservati anche nel greco classico formatosi nel V secolo a.C., sono i verbi "politematici" cioè a più temi, che indicano l'aspetto di una precisa azione; per il "vedere" infatti si usa il presente ὁράω, il "vedere" come azione momentanea nel tema dell'aoristo è *ϝιδ (caduta di digamma e aspirazione e allungamento in εἶδον Aristo II forte), come azione compiuta nel passato, cioè nel tempo perfetto, si ha il tema ὄπ che dà ὄπωπᾰ (per un'azione stativa "ho visto"), ma anche ἑώρᾱκᾰ (resultativa "io vidi"). Un terzo perfetto, quello fortissimo atematico, del concetto di "vedere", che forse rende la caratteristica speciale del valore aspettuale del greco arcaico, nonché una delle preziose eredità linguistiche dall'indoeuropeo, è la forma οἶδα ("ho visto" quindi "io so" che), che si traduce in italiano al presente. Per il futuro si ha invece ὄψομαι dall'incontro di -π del tema verbale con il sigma del futuro sigmatico, dunque si ha -ψ. Questi temi collegati tra loro solo a livello semantico, costituiscono appunto i "politematici", in tutto se ne hanno 7: ἀιρέω, ἔρχομαι, λέγω, ἐσθίω, ὁράω, φέρω e τρέχω
Rispettivamente sono tre diversi Temi Verbali per indicare il "dire" dal più comune λέγω.
Come nelle 3 declinazioni, anche e soprattutto nel verbo vale l'apofonia a stabilire la differenza totale di un tema verbale, che ne caratterizzano anche l'aspetto e il tempo stesso. L'apofonia è l'alternanza o la gradazione vocalica, il cambiamento di timbro della radice, di un suffisso o di una desinenza, che si può manifestare anche attraverso la totale assenza di una vocale (verbi in -μι). L'apofonia sottolinea funzioni morfologiche e lessicali diverse: temi dei vari tempi verbali, casi e numeri della declinazione nominale (soprattutto per la III), radici nominali o verbali. Nell'esempio, la radice λειπ- (ma ci sono molti altri temi verbali a triplice grado apofonico) che esprime il concetto di "lasciare", assume tramite la gradazione vocalica forme diverse:
La gradazione vocalica fa dunque da tratto differenziale tra le varie forme attraverso il mutamento delle vocali, mentre le consonanti restano invariate.- Le serie apofoniche sono per lo più basate su forme monosillabiche (a vocale breve in genere, e in altri casi la ε - ο lunga); meno frequenti sono i casi di radici bisillabiche, nelle quali è possibile avere l'apofonia in entrambe le sillabe. Si tratta di un fenomeno caratteristico delle antiche lingue indoeuropee, che si è conservato in modo netto nelle numerose lingue moderne, come nell'inglese e nell'italiano. L'apofonia si presenta in due tipi: quantitativa e qualitativa. La prima ha tre diversi gradi[11]:
L'apofonia qualitativa invece ha la caratteristica di potersi realizzare anche con un grado zero, anche con l'assenza totale della vocale stessa, come nella radice γν di γίγνομαι, questa forma del presente si trae appunto con γν, con il tema raddoppiato iniziale γι, mentre l'aoristo si trae dal secondo tema verbale γεν: ἐγενόμην. Insomma con questa apofonia cambia la quantità della vocale, a differenza della quantitativa, si può avere un timbro vocalico per una realizzazione e un altro per una realizzazione diversa della radice stessa, come per il radicale τρε-/τρο del verbo "τρέφω", forma presente realizzata con il timbro vocalico -ε; per il perfetto dallo stesso tema, con il timbro vocalico -ο, si avrà il perfetto τέτροφα. Questa apofonia a tre gradazioni tuttavia non si realizza per tutte quante le radici verbali e nominali, così come nella declinazione, non è che debbano per forza essere impiegati i due timbri vocalici ε e ο, ma le regole si adattano i base al tema stesso del radicale. Sostanzialmente l'apofonia è frequente nel dialetto ionico attico, con l'allungamento delle vocali. Un esempio è la tipica "declinazione attica" (che usa i termini della II greca), con allungamento delle desinenze, i cui termini più famosi sono λαός > ληός > λεώς con abbreviamento per legge di Osthoff, oppure ναός > νηός > νεώς. Per la terza declinazione, molto più apofonica delle altre (ad esempio per la I femminile è frequente l'apofonia in α lungo e breve, che produce l'α puro/impuro lungo e breve, con differenze di declinazione, l'impuro lungo con timbro modificato in η per il numero singolare dei casi, mentre per l'impuro breve soltanto il genitivo e il dativo singolare allungati in -η). Nella terza declinazione una triplice apofonia che usa tutte e tre le gradazioni vocaliche, si ha nel caso-genere-numero, nella declinazione dei termini "di parentela", come πατήρ, μήτηρ e θυγάτηρ. Valore della diatesi attiva, media e passiva[12][modifica | modifica wikitesto]Il fenomeno dell'apofonia nelle radici si ridusse con la semplificazione delle stesse durante l'avvento dell'ellenismo (IV secolo a.C.); avvenne il trasferimento sui suffissi temporali del valore dell'aspetto: la radice o il tema verbale ormai indicavano solo il significato del verbo. Quando il vecchio sistema verbale cessò di essere produttivo, cominciò ad affermarsi la coniugazione regolare, in base a cui partendo da un tempo qualsiasi e isolando il tema verbale, è possibile formare tutti gli altri tempi. La coniugazione regolare avvenne nel V-IV secolo a.C. nel dialetto attico, affermandosi la coniugazione regolare dei verbi derivati: verbi uscenti in -άω, -έω, -όω,- εύω, e molti uscenti in -ζω, -λλω, αίνω, -αίρω, -είρω, -ύνω, -ύρω. Mentre per vebi in -αω, -εω, -ύνω formati da temi nominali che per loro natura non hanno aspetto, con tema denominativo in tutti i tempi, risultando così molto semplice un paradigma verbale, per altri verbi con tema verbale originario diverso, come φέρω ma anche τείνω (tema verbale τεν- / -τα), ciò non è possibile, e lo si è visto con i verbi politematici. Gli elementi che caratterizzano le voci sono prefisso, tema verbale, suffisso temporale, caratteristica modale, vocale tematica, desinenza:
La diatesi esprime il tipo di partecipazione del soggetto all'azione indicata dal verbo, può essere attiva, media o passiva. Per motivi di utilità didattica, esistono tre "voci", e due "diatesi", marcatori morfologici, l'attivo e il mediopassivo, in cui confluiscono l'originaria voce media dell'indoeuropeo e la neoformazione del passivo. L'italiano si basa sull'opposizione attivo-passivo; nell'indoeuropeo il verbo opponeva l'attivo (dal punto di vista oggettivo) e il medio (dal punto di vista soggettivo). Il passivo è una formazione concettuale più tarda, e lo dimostra nelle strutture morfologiche; in greco infatti si è sviluppato in parte a spese dell'attivo intransitivo, in parte a spese del medio privo di complemento oggetto. Benché la diatesi media sia originaria dell'indoeuropeo, e più antica della passiva, fu in seguito sentita come intermedia tra l'attiva e la passiva (dunque al definizione anche semplicemente di "media", dalla posizione stessa tra le due). Dunque dei motivi storici spiegano l'oscillazione e la non perfetta corrispondenza nel sistema da una diatesi mediopassiva, una voce passiva e una diatesi attiva. Il mediopassivo è usato nei tempi del futuro e dell'aoristo, è assente nel presente, nell'imperfetto, nel perfetto, quest'ultimo che usa le stesse desinenze del presente, e nel piuccheperfetto, che usa le desinenze dei tempi storici, ossia dell'imperfetto.
Desinenze verbali[modifica | modifica wikitesto]Ai temi temporali del verbo eventualmente modificati da suffissi, infissi e vocali tematiche, sono aggiunte le desinenze, che indicano la persona, il numero, la diatesi e in parte il tempo. Le desinenze si distinguono in primarie, che si trovano nell'indicativo dei tempi principali (presente, futuro, parte del perfetto), nel congiuntivo di tutti i tempi, nella I persona singolare attiva degli ottativi uscenti in -οι e in -αι; poi le desinenze secondarie o storiche, che marcano la forma del passato, ricorrono all'indicativo dei tempi storici (imperfetto, aoristo, piuccheperfetto), ma caratterizzano anche l'ottativo di tutti i tempi, eccettuata la I persona singolare attiva degli ottativi in -οι-/αι, e gran parte delle II persone singolari attive dei presenti atematici. Ciascun tipo di desinenza si distingue tra diatesi attiva e media. Le desinenze mediopassive sono sostanzialmente identiche sia per la flessione tematica che per l'atematica, esse servono a esprimere la voce passiva in quasi tutti i tempi. L'imperativo ha desinenze proprie, così pure il perfetto indicativo attivo nelle prime tre persone singolari (sia nel I debole, nel II forte e nel III fortissimo), mentre per il resto della coniugazione ricorre a quelle dei tempi principali. In alcuni casi, come nel presente contratto, ma anche nel futuro attico e dorico, le desinenze si fondono con la vocale tematica e non sono separabili, così sono dette "terminazioni".
Nell'attivo della flessione tematica la I persona singolare non presenta una desinenza, ma la vocale tematica -ο- allungata, le desinenze della II e III singolare derivano da uscite atematiche *λυεσι, per la II in questo caso la caduta di sigma determinò l'aggiunta del sigma finale ς per differenziare la persona dalla III; questa probabilmente usciva in *λυετι, successivamente subì l'assibilazione e poi caduta del sigma, venendo come la si vede oggi. I dialetti dorici hanno per la I persona plurale la desinenza -μες, per l'indoeuropeo esistevano 3 forme alternanti apofoniche *-enti/ *-onti / *-nti, di quest'ultima si ha traccia solo nel verbo εἰμί. La desinenza generalizzata -ντι, presente nella III persona plurale del dorico, dà luogo a -νσι per assibilazione, con successiva caduta del ν e allungamento di compenso della vocale tematica; secondo altri questo ν sarebbe efelcistico o mobile, dato che appare alla fine della desinenza, non sempre. Nell'attivo della flessione atematica, la desinenza -σι della II singolare ha lasciato traccia nell'allungamento εἶ (uguale alla II singolare presente di εἰμί), nata da un *εσ+σι > *εσι con caduta di sigma; presente anche nel verbo εἶμι <*εj+σι. Questo fenomeno del sigma è evidente soprattutto nel dialetto eolico, ossia in Saffo. Nella III singolare la forma -τι (εσ-τι) in genere passa a -σι per assibilazione; nella III plurale è probabile che dall'originario *-nti indoeuropeo con N° sonante vocalizzata in α[13], si inserisse o il ν efelcistico, risultando *-αντι, e dopo l'assibilazione in *-ανσι, con caduta del ν davanti a sibilante, sia risultato definitivamente in -αι con α allungata per compenso. Le desinenze primarie mediopassive, con l'assenza della diatesi media tipica dell'aoristo e del futuro, sono comuni sia nella flessione tematiche che atematica, restano inalterate. Solo nella II singolare del presente tematico, dell'aoristo I debole e del IV cappatico si ha caduta di sigma intervocalico, e successiva contrazione *λυ-ε-σαι > λύεαι > λυῃ con lo iota sottoscritto, o anche λύει, con dittongo lungo chiuso, frequente a partire dal IV secolo a.C.. La I plurale in -μεσθα è molto antica, frequente in Omero e nell'attico arcaico, ridotta con caduta di sigma e allungamento di ε, e ripresa nella forma arcaica dagli scrittori ellenistici. Per la flessione atematica, Omero usa la III persona plurale in -ατι.
Riguardano i tempi storici:
Le desinenze secondarie divergono dalle primarie in pochi punti, nell'attivo la I singolare che deriva dall'indoeuropeo *-m° sonante, nella coniugazione tematica viene in -ν, nell'atematica è sempre -ν dopo vocale, e α dopo consonante, esempio nell'aoristo I di λύω si ha ἔλῡσᾰ anziché la forma dell'imperfetto ἔλυον. L'α ricorre anche nell'imperfetto di εἰμί, la desinenza della II singolare -ς è probabilmente quella che ricorre nei presenti atematici attivi, mentre (σ)θα mostra una derivazione dal perfetto. La desinenza consonantica della III plurale, dall'originaria alternanza indoeuropea *-enti/*-onti/*-nti, la forma *nt nella flessione tematica diventa -ν per caduta di dentale, frequente nell'imperfetto, che ha la III plurale uguale alla I singolare nell'attivo, mentre per *-onti non ci sono attestazioni in attico, mentre -εν (con caduta di dentale finale), caratterizza la III dell'ottativo (λύοιεν). Nella flessione atematica si è generalizzata una desinenza in -σαν, in origine usata nell'aoristo I, ma poi esteso anche nell'aoristo III e IV. Nel mediopassivo le desinenze secondarie sono quasi uguali nei due tipi di flessione, la desinenza -σο della II singolare ha fenomeni analoghi alla corrispettiva desinenza primaria, cioè con la caduta di sigma (nella coniugazione tematica dell'imperfetto, dell'aoristo II e IV cappatico), con tale caduta si ha contrazione *ἐλυ-ε-σο >*ἐλεο > ἐλύου; anche se nell'imperfetto atematico si usa il -σο normalmente, come ἐδίδοσο. Formazione dell'imperativo[modifica | modifica wikitesto]Le desinenze dell'imperativo tematico e atematico differiscono poco. Le forme della III persona plurale attiva e mediopassiva sono sempre in -τωσαν (forma abbreviata -ντων) per l'attivo, e -σθωσαν per il mediopassivo, forme attestate a partire dal V secolo a.C., e affermatesi nella koinè, sarebbero nate dall'aggiunta della desinenza secondaria di -σαν a quelle della III singolare dell'imperativo. Nel duale sia attivo che medio la II persona con vocale breve, identica all'uscita dell'indicativo, si oppone alla III, con la vocale allungata. Le II persone plurali sia attive che mediopassive sono identiche alle rispettive uscite dell'indicativo. Diversità evidenti sono riscontrabili nella II persona singolare in base all'incontro con la vocale tematica precedente nelle desinenze primarie, e in base ai tempi verbali. Nella flessione tematica la II singolare attiva non ha desinenza, ma la vocale tematica -ε (nel presente), con l'accento circonflesso per la legge del trocheo finale; nella flessione atematica invece c'è l'oscillazione -θι (per i verbi in -μι come ἵσθι /da εἰμί/ - il ι deriva dall'indoeuropeo *-dhi), talora anche il puro tema ῐ̔́στη al presente, per i verbi in -μι, o l'estensione della vocale tematica -ε, come nel caso dei verbi a tema raddoppiato δίδωμι: δίδου <*δι-δο-ε, oppure anche τίθει <*τιθε-ε. La vocale tematica -ε per l'attivo appare anche nell'imperativo perfetto, quanto a II singolare, mentre per l'aoristo (flessione atematica) si usa la desinenza -ον nell'attivo. Nella II persona singolare mediopassiva, per l'aoristo I sigmatico si trova la desinenza -αι (*σαι con caduta di sigma intervocalico), la desinenza -ου con accento circonflesso, per l'aoristo II forte, e -θι per l'aoristo III fortissimo. Nel caso speciale dei 3 verbi dell'aoristo IV cappatico, per la diatesi attiva nella II singolare si ha la desinenza -ς, per la media la desinenza -ου con accento circonflesso, derivata probabilmente da *-σο con caduta di sigma e successiva contrazione. Per l'aoristo passivo con il suffisso -θη, per la II singolare si usa la desinenza -τι, mentre le altre rimangono quelle della coniugazione attiva. Imperativo attivo
Formazione del congiuntivo e dell'ottativo[modifica | modifica wikitesto]Il congiuntivo per tutti i tempi sia nella flessione tematica che atematica, è caratterizzato dall'allungamento della vocale tematica -ο del presente. Per analogia, anche nelle coniugazioni atematiche, il congiuntivo ha esteso questa coniugazione a tutti i tempi, e naturalmente nella coniugazione non presenta l'aumento nell'aoristo, mentre per il perfetto passivo, si realizza con la resa al participio mediopassivo del tema, con l'aggiunta del congiuntivo del verbo εἰμί. Per l'aoristo passivo, il congiuntivo si coniuga sempre con l'allungamento della vocale tematica, nella forma attiva. Nella diatesi attiva e passiva dei verbi contratti, naturalmente avviene la contrazione dell'accento, rispettando anche la legge degli esiti dell'incontro tra le diverse vocali. Diatesi attiva
La diatesi media atematica rispecchia le desinenze di quella tematica. Stessa cosa può dirsi per l'ottativo, caratterizzato dal suffisso -οι + desinenza, sia nell'attivo che medio, mentre per i verbi atematici in -μι si ha il suffisso -ιη + desinenza nell'attivo, e nel medio il suffisso -ι lungo + desinenza. Diatesi attiva tematica
Per la coniugazione atematica dei verbi in -μι si usa il Tema verbale ad apofonia ridotta, esempio φήμι (tema verbale φη-φα si rende ad esempio la I singolare dell'ottativo φαίην) Diatesi media
La diatesi media è uguale sia per i verbi tematici che atematici. Inutile dire che anche l'ottativo come il congiuntivo, nei tempi storici non presenta l'aumento. Nel caso dell'ottativo perfetto passivo, esso come il congiuntivo, si forma con il participio passivo declinato in singolare, duale e plurale, + l'aggiunta del verbo εἰμί nella coniugazione dell'ottativo. Formazione del participio[modifica | modifica wikitesto]Tabella del participio presente attivo di ὀρμάω Il participio attivo, eccettuato il perfetto, è caratterizzato dal suffisso -ντ- (femminile -ντ+j) e si aggiunge ai temi temporali dei tre generi maschile, femminile e neutro + la relativa desinenza del caso e numero, salvo poi cadere provocando l'allungamento di compenso della vocale tematica. Nei temi temporali tematici (presenti, futuro, aoristo II forte) il suffisso si aggiunge al tema del verbo tramite la vocale tematica -ε-/ο-. Poiché è -ο- quando il suffisso inizia per nasale, il tema temporale del participio esce sempre in -οντ; la terminazione del nominativo singolare del participio è-ων, ουσα, ον (da *οντ, *οντjα, *οντ). Nei temi temporali atematici (presenti atematici, aoristo I debole e III fortissimo, e aoristo passivo), il suffisso -ντ si aggiunge direttamente al tema temporale, mancando esso di vocale tematica: il nominativo maschile singolare è sigmatico, la vocale finale del tema, con la caduta di -ντ, davanti a sigma, subisce l'allungamento di compenso. Se la vocale del tema temporale è -ο (presenti atematici, aoristo III) la terminazione del participio è -ους, ουσα, ον (raramente ουν al neutro). Se la vocale finale del tema è -α (presenti atematici, aoristo I, aoristo III) nei verbi in -μι, la terminazione è -ας, ασα, αν. Se la vocale finale del tema è -ε, la terminazione è -εις, εισα, εν. Se la vocale del tema è -υ, la terminazione viene -υς, υσα (e non ουσα), υν. Il participio attivo si declina sempre per il maschile e neutro, secondo la III declinazione, per il femminile secondo la I declinazione femminile dell'α impuro breve. Il participio passivo (o mediopassivo in questo caso), si forma nella stessa maniera sia per i verbi tematici che atematici, ad eccezione dell'aoristo passivo, mentre per il futuro passivo si usano le desinenze qui sotto riportate, precedute dal suffisso caratteristico -θη, eccettuati casi particolari di caduta di questo, fenomeno che può avvenire anche nell'aoristo passivo per contrazione. Il maschile e il neutro si formano con il radicale -μεν + i termini desinenziali della II declinazione, per il femminile invece lo stesso radicale + le desinenze della I declinazione femminile in α impuro lungo.
Il participio perfetto è un caso a parte, ricorre al doppio suffisso -οτ-/-οσ (dall'originale *ϝοτ/*-ϝοσ-); il suffisso -οτ forma tutta la declinazione del maschile e del neutro, facendo rimanere sempre l'accento sull'ο, mentre dal suffisso -οσ derivano il nominativo allungato in -ως, e il nominativo neutro in puro tema -ος. Il femminile attivo si è formato dal grado zero del suffisso *ϝσ- > -υσ, con aggiunta del suffisso femminile -jα tipico del participio attivo greco. Con la trasformazione in u del digamma, e successiva caduta di sigma e vocalizzazione di j, si ha il suffisso + desinenza del nominativo femminile singolar in -υια con allungamento dell'accento in circonflesso. La declinazione segue l'alfa puro lungo della I femminile. Naturalmente è inutile dire che, ad eccezione del perfetto raddoppiato sia attivo che passivo, anche il participio come il congiuntivo, l'ottativo e l'imperativo non ha l'aumento nella coniugazione. Per la forma passiva del participio perfetto, esso segue sempre la terminazione -μενος-ενη-ενον, solo che ha la caratteristica di avere l'accento fissato sulla vocale dopo il -μ. Ecco degli esempi di participio, quello
tematico presente attivo e passivo di γράφω, e l'atematico di τίθημι. Singolare
Nei temi temporali atematici (presenti atematici, aoristo I debole e III fortissimo, e aoristo passivo), il suffisso -ντ si aggiunge direttamente al tema temporale, mancando esso di vocale tematica: il nominativo maschile singolare è sigmatico, la vocale finale del tema, con la caduta di -ντ, davanti a sigma, subisce l'allungamento di compenso. Se la vocale del tema temporale è -ο (presenti atematici, aoristo III) la terminazione del participio è -ους, ουσα, ον (raramente ουν al neutro). Se
la vocale finale del tema è -α (presenti atematici, aoristo I, aoristo III) nei verbi in -μι, la terminazione è -ας, ασα, αν. Se la vocale finale del tema è -ε, la terminazione è -εις, εισα, εν. Se la vocale del tema è -υ, la terminazione viene -υς, υσα (e non ουσα), υν. Per abbreviare il procedimento, si inseriranno solo le tre desinenze di ciascun genere, caso e numero, la diatesi attiva sarà inframmezzata dalla passiva mediante la /.
Per il participio si possono osservare queste due tabelle: Esempio del verbo λύω, declinazione del participio perfetto attivo e medio Formazione dell'infinito[modifica | modifica wikitesto]La flessione tematica dell'infinito, ha la desinenza -εν, che si contrae a contatto con la vocale tematica, nelle diatesi attive tematiche, allungandosi non in dittongo ει (ma /e/ lunga chiusa, quindi -ειν. Nella flessione atematica si alternano -ναι e -εναι in base alla vocale che precede, come nei temi in δο/δω, in cui si ha per contrazione δοῦναι. L'aoristo I presenta -αι, forse lo stesso elemento contenuto in -ναι: si è prima formata l'uscita in -σαι (nell'aoristo I sigmatico), e poi quella dell'aoristo I asigmatico come φῆναι per φαίνω. Altre considerazioni[modifica | modifica wikitesto]L'accento nelle forme dei modi finiti tende a ritrarsi il più possibile verso l'inizio del verbo, compatibilmente con la legge di limitazione del trisillabismo. Le terminazioni verbali -οι e -αι sono considerate brevi, tranne che nell'ottativo (esempio in τιμάω l'aoristo ottativo è τιμήσαι). Questo comportamento della ritrazione dell'accento non ha una definizione precisa, si suppone che sia un'eredità dall'indoeuropeo, dove il verbo era atono, e si comportava come un'enclitica, nelle proposizioni principali, tonico nelle subordinate. il verbo greco, spostando il più possibile a sinistra l'accento, riprodurrebbe un originario comportamento enclitico Le voci verbali contratte però non seguono questo comportamento, per altre ovvie leggi sull'accentazione e sulla contrazione delle vocali; gli ottativi della flessione atematica, che in genere al duale e al plurale mantengono l'accento sulla caratteristica modale. Inoltre le forme nominali della flessione atematica attiva recano l'accento sulla sillaba che precede la desinenza dell'infinito o il suffisso del participio, mentre nella diatesi mediopassiva si ritraggono il più possibile (infinito attivo διδόναι e mediopassivo δίδοσθαι); lo stesso avviene per l'aoristo I, e nelle forme nominali dell'aoristo II, in cui l'accento cade, seguendo l'antico uso dell'indoeuropeo, sulla vocale tematica finale. L'aoristo III e l'aoristo I passivo e II forte collocano l'accento sulla sillaba che precede la desinenza o la terminazione. Il perfetto ha l'accento sulla penultima sillaba sia nell'infinito attivo che passivo, così come nel participio passivo. Il participio passivo maschile e neutro in origine era ossitono, come il corrispondente attivo, poiché la maggio parte di queste forme seguiva una sequenza dattilica — ∪ ∪ (*λελειμμενός), ma poi per Legge di Wheeler si è spostato. La ritrazione dell'accento riguarda anche i verbi composti con preverbio o prefisso, tuttavia i monosillabi ossitoni con vocale breve, nel verbo semplice formano composti parossitoni. Se il verbo è composto da due o più preverbi, l'accento non risale oltre il primo; la norma vale anche per le forme con l'aumento, che viene considerato come preverbio, per cui l'accento non risale oltre l'aumento stesso. I congiuntivi e gli ottativi dei verbi in -μι composti mantengono l'accento sulla stessa sillaba del verbo semplice. Coniugazione[modifica | modifica wikitesto]Il presente[modifica | modifica wikitesto]Il presente attivo congiuntivo di παύω Presente congiuntivo mediopassivo di δείκνυμι Comprende forme attive e medio-passive, che si riconducono a due tempi: il presente e il derivato imperfetto, che a differenza del precedente, che ha tutti i modi, ha solo l'indicativo, sprovvisto anche dell'infinito. In base al valore aspettuale, l'indicativo del presente colloca nel presente l'azione durativa, l'indicativo imperfetto esprime la stessa qualità dell'azione però nel passato. Gli altri modi, congiuntivo, ottativo, participio ecc esprimono sfumature modali dell'aspetto del processo verbale. Il tema del presente a volte coincide con la radice verbale, talora con mutamento apofonico della vocale radicale o con il raddoppiamento della medesima, e si dice quindi radicale; altre volte si è formato con meccanismi come il raddoppiamento del tema e l'aggiunta di suffissi e prefissi o infissi. Il tema è radicale o suffissale, radicale quando il tema temporale coincide con la radice verbale, cui viene eventualmente aggiunta la vocale tematica. La radice monosillabica esce in consonante muta o liquida o nasale ἄγω dalla radice αγ-, tema del presente αγ-ε-/-ο; in alcuni casi il tema è costituito da una variante apofonica della radice verbale: πέμπω rad. πεμπ-/πμπ-, tema del presente πεμπ-ε-/ο. Ancora più particolare risultano temi che si sono sviluppati nel radicale da una consonante sonante dell'indoeuropeo: τρέπω dall'originale *τr°π > τρεπ-/-τροπ-/τραπ: 3 uscite diverse apofoniche che serviranno per formare i rispettivi tempi del presente, del futuro e dell'aoristo; e questo non è il solo, come si è visto, a mostrare tali caratteristiche. Sono assimilati ai radicali numerosi presenti il cui tema era in origine caratterizzato dal suffisso *j, si tratta dei cosiddetti verbi "contratti" in -άω, -έω, -όω, o anche terminanti in -ύω o -εύω; poiché *j si venne a trovare tra la vocale finale del tema e la vocale tematica (esempio βασιλεύω < *βασιλευj -ε-/ο), dovette cadere perché non più pronunciato correttamente, gli si preferì la velare -υ. In altri verbi esisteva un sigma /s/ intervocalico, che in certi casi cadde senza lasciare traccia (soprattutto quando si trovava in finale). Il tema del presente radicale è "a raddoppiamento" quando è caratterizzato da una ripetizione della consonante iniziale del tema verbale (per lo più a grado zero), seguita da vocale -ι (esempio διδάσκω, dove -δα è il tema, δι è il raddoppiamento, e qui di ha anche la particolarità di avere anche un infisso -σκ, tanto da rendere questo un verbo abbastanza composto e articolato). Il raddoppiamento del presente ha la caratteristica di renderlo riconoscibile e di diversificarlo da un aoristo o da un futuro, poiché viene impiegato lì solo il tema verbale. Il raddoppiamento dei verbi in -ι che iniziano per vocale, come si è detto, avviene ma non si vede, se non nello spirito dell'aspirazione. I presente "suffissale", come accennato poco prima ha nel tema aggiunte di vario genere: (*j, -ν, -αν, -σκ), e talora anche prefissi, come in διδάσκω. Ci sono presenti a suffisso *j (j-ε-/ο-), tra i più diffusi, che con la caduta dello jod si sono modificati nel tema. Quelli provvisti oltre a *j anche del sigma, hanno avuto delle modifiche fonetiche come in τελέω < *τελεσ-jε/ο. Benché nel presente /s/ scompaia, appare nel futuro o nell'aoristo. Sono assimilabili ai radicali i verbi derivanti da radici bisillabiche come καλε-κλη *καλε-jο > καλέω. Particolare è il caso di καίω, che fa parte di un gruppo limitato di verbi con uscita in υ/ϝ *καυ-jε/ο > *καϝ-jε-/ο - metatesi di jϝ incontrati in -ιε- + desinenza del presente. Nei temi in consonante, *j dà esiti uguali incontrandosi con elementi diversi: un presente in -ζω può risalire a un tema verbale in velare o a uno in dentale; un presente in -ττω/-σσω può aver origine da un tema verbale in -γ. o in -θ-, che unendosi a *j danno origine a presenti in -ττω, si faccia l'esempio di φυλάσσω < *φυλακ-j-ε/-o, oppure ὀρύσσω < *ὀρυχ-j-ε-/o. I temi in labiale che si incontrano con *j danno esito -πτ tipo βάπτω < *βαφ-j-ε-/o; i temi in liquida e nasale in λ, possono avere un esito in doppio lambda -λλ di βάλλω, i gruppi αρ, αν dove *j si vocalizza in iota avendo poi una metatesi con la nasale o la liquida danno esiti: *αρj > αιρ, *φαν-j-ε-/ο > φαίνω. I temi a suffisso nasale alternante, perché derivante da N° sonante indoeuropea, sanno esito -ν o -αν. A seconda del suffisso si hanno tre tipi di formazione
Alcuni presenti hanno il suffisso -ισκ, e hanno un valore incoativo, indicante l'inizio di un processo verbale, e presentano anche raddoppiamento della radice verbale, parziale o totale. Ci sono tuttavia delle differenze di significato tra γηράσκω (invecchio) e γηράω (sono vecchio, stato già acquisito). I suffissi -ιζω e -αζω provengono dall'incontro di *j con la dentale finale del radicale, come nel caso di ἐλπίζω. Altri verbi sono dei "derivati" da nominativi, come βασιλεύω (io governo, dal sostantivo della III declinazione che vuol dire "re, signore"), hanno una formazione tarda (V-IV secolo a.C), altri sono dei composti del tutto eccezionali, come i grammelot di Aristofane, oppure creati appositamente per avere un effetto puramente artistico e metrico in drammi, poemi o componimenti poetici, mentre i verbi con suffisso in -σείω hanno valore desiderativo. La contrazione nei verbi, al presente, era effettuata soprattutto nel dialetto ionico attico, e nasceva dall'incontro di due vocali in iato, della vocale tematica con la desinenza, tale fenomeno è presente soprattutto nei verbi in -άω, έω ecc., la contrazione rispetta naturalmente la tabella degli esiti vocalici riguardante i loro incontri. I verbi bisillabici come θέω o πλέω contraggono solo quando la vocale tematica presenta la forma -ε, e dà esito in -ει. I presenti "atematici" in -μι sono minori di quelli tematici, in casi come φημί il tema temporale coincide con la radice verbale, mentre altri, come σβέννυμι, mostrano l'evidente aggiunta di un suffisso -ννυ, in simil modo dei presenti tematici. Questi verbi radicali sono molto antichi, molti col passare dei secoli scomparvero perché si crearono dei doppioni nella coniugazione tematica, durante la fase di "normalizzazione" della lingua koinè, altri rimasero perché legati essenzialmente a concetti della vita umana. φημί, come altri verbi atematici, avendo radice a doppia apofonia (zero e allungato), nel presente vede l'alternanza dell'allungato nelle prime III persona singolari, e poi il grado zero nelle altre dell'indicativo, l'allungamento tipico per il congiuntivo, il grado zero per l'ottativo, più il suffisso dei verbi atematici -ίη, per il participio ugualmente si usa il grado zero. Tra questi rimasti, c'è εἰμί (io sono), antichissimo, che consta solo di diatesi attiva, e si coniuga nel tempo presente, imperfetto e futuro, insieme al simile εἶμι (che però vuol dire "io vado"). Il grado normale della radice *εσ- è stato esteso a quasi tutto il sistema, dal grado zero σ- si formano solo nell'indicativo la III persona plurale con desinenza -εντι e spirito dolce analogico *σ-εντι > *εντι > *ενσι > εἰσί. Il tema originario εσriguarda anche il congiuntivo *εσ-ω da cui si è formata la I persona singolare ὦ, con caduta di sigma e contrazione del tema e della desinenza. Tra i presenti atematici suffissali si ricorda il verbo δείκνυμι, al cui suffisso -νυ si aggiungono le desinenze atematiche. Alcuni esempi di coniugazione di verbo della I classe in -ω: Coniugazione attiva (Io Sciolgo)
Il participio e l'infinito hanno le seguenti forme:
Coniugazione medio-passiva (Mi sciolgo, Sciolgo per me, Sono sciolto)
Il participio e l'infinito medio-passivi hanno le seguenti forme:
Alcune Osservazioni da fare sono:
Verbi contratti in -εω e -αω (contrazione della vocale del tema + la desinenza):
Il participio e l'infinito hanno le seguenti forme:
Il participio e l'infinito hanno le seguenti forme:
Alcuni esempi di coniugazione di verbi della II classe atematica in -μι
Il participio e l'infinito hanno le seguenti forme:
Il participio e l'infinito hanno le seguenti forme:
Il participio e l'infinito hanno le seguenti forme:
Questo verbo è a radice consonantica, con vocale del tema -υ. Notare che nella III persona plurale del presente attivo, l'originale desinenza *-n°τι siccome sonante e davanti a consonanti di vocalizza in α, e il tau subisce l'assibilazione in -σ quindi -ύασι(ν). L'imperfetto[modifica | modifica wikitesto]Definito dagli antichi un "passato non compiuto", proietta nel passato l'aspetto durativo dell'azione al presente, da cui si forma, solitamente in italiano si traduce con l'imperfetto, o anche con un participio o un passato prossimo. Ha solo il tempo indicativo come il piuccheperfetto, e rende oltre l'aspetto anche il tempo. Il tema del presente con il suo aspetto è sufficiente per esprimere gli altri modi. Imperativo mediopassivo del presente di τίθημι - ἵστημι -δίδωμι A marcare l'imperfetto è l'aumento, ma esso caratterizza tutti i tempi storici, come l'aoristo e il piuccheperfetto, ma solo nel modo indicativo, può essere sillabico o temporale:
Nella lingua omerica la presenza dell'aumento è facoltativa, legata per lo più a esigenze metriche, che in parte differiscono quanto a quantità della sillaba o della desinenza dai cosiddetti "piedi". Ad esempio un dittongo ha sempre valore lungo in metrica, mentre il dittongo della desinenza -αι nominativo plurale della I declinazione femminile, ha valore breve. Per queste esigenze metriche, in Omero e in altri poeti arcaici si trovano gli imperfetti senza aumento, caratterizzati dal suffisso incoativo -σκ. Per i verbi composti o con un prefisso, l'aumento si inserisce tra il preverbio e il verbo, esempio συλλέγω = συνέλεγον. Nelle particelle come απο, εκ, περί, l'esito è sempre quello dell'aumento -ε, che in certi casi di prefissi terminanti in vocale crea una contrazione, come in προβάινω > πρὀύβαινον. Solitamente per riconoscere il presente da un imperfetto, si isola l'aumento, se è temporale, si tende a ridurre il valore della vocale, oppure risalendo al tema verbale. Alcuni verbi che iniziano in ἐ aspirata hanno l'aumento in -ει anziché in -η, poiché le radici derivano dalla presenza di un ϝ che venne a incontrarsi con -εσ dell'aumento; un esempio è il verbo comune ἔχω = εἶχον > *σεχω. Per i verbi in -μι, si segue il modello dell'imperfetto di ἵστημι = ῑ̔́στην, salvo alcuni casi come δύναμαι che può avere l'aumento sia in -ε che -η. Un esempio di verbo in -ω
Per i verbi in -μι si hanno varie possibilità di soluzioni nella contrazione della vocale della radice con la desinenza dell'imperfetto: δίδωμι
Da notare qui, come in ἵστημι, l'alternanza vocalica delle prime tre persone del singolare, e le altre tre del plurale e le due del duale, che presentano grado allungato e grado zero. Il futuro[modifica | modifica wikitesto]Generalità e futuro attivo[modifica | modifica wikitesto]Tempo principale, ha desinenze relative che rispecchiano quelle dei tempi primari[14], ha due soli modi finiti: indicativo e ottativo, poi l'infinito e il participio, ha tre diatesi, attiva, media e passiva, provvista insieme all'aoristo passivo del suffisso -θη che lo rende ben riconoscibile. L'attiva e la media si formano dal medesimo tema temporale, quella passiva deriva dal tema dell'aoristo passivo; tra la diatesi attiva e media la più operante è la seconda, forse perché esprime meglio la partecipazione del soggetto all'azione che vuole realizzare. Il futuro, per il fatto di essere nato come tempo recente rispetto agli altri, è indifferente dall'aspetto. Il participio futuro attivo di θύω Futuro passivo indicativo e infinito di λύω Strettamente legato, per le desinenze della diatesi attiva e media a quelle del presente tematico, per i tempi sia tematici sia atematici, il futuro nacque non in forma unitaria, ma per lenti adattamenti della lingua, di cui se ne riconoscono tre principali:
Il suffisso sigmatico si unisce al tema verbale del presente, quando diverge da esso, di solito oppone un grado normale, rispetto a quello zero del presente (γενήσομαι rispetto al presente γίγνωμαι). Tutti i modi del futuro hanno valore di tempo e possono indicare sia un aspetto imperfettivo/durativo che uno assoluto, per questi si spiega la resa diversa doppia del verbo avere in ἕξω (io avrò con valore durativo) e σχήσω (io prenderò, con valore momentaneo, come nell'aspetto dell'aoristo). Un certo numero di futuri medi hanno valore prettamente passivo, altri sia medio che passivo, mentre altri sono deponenti con valore attivo tipo γιγνωμαι. Di futuro si riconoscono 2 tipi principali: sigmatico e asigmatico, e poi 2 forme contratte di "futuro attico" e "futuro dorico". Per il futuro sigmatico, sia i verbi in -ω e che in -μι si coniugano con le desinenze primarie. I verbi che hanno il raddoppiamento ovviamente lo perdono (è caratteristico del presente) e utilizzano la radice a grado lungo: δώσω (δίδωμι), θήσω (τίθημι), στήσω (ἵστημι), ἥσω (ἵημι), πλήσω (πίμπλημι). Anche i verbi con interfisso -(ν)νυ- perdono questa loro caratteristica, quindi da δείκνυμι avremo δείξω (<*δείκ.σω). Di εἶμι non esiste un futuro, perché, come detto, ha già esso stesso valore di futuro. Il futuro di φημί è φήσω. Il futuro di εἰμί è ἔσομαι, cioè ha forma media con valore attivo.
Coniugazione dei modi indefiniti
Alcune Osservazioni sono:
Le eccezioni sono:
Per altri il presente assume anche valore di futuro:
Coniugazione dei modi indefiniti
Si forma dal tema temporale dell'aoristo passivo con l'infisso -θη, cui si unisce il suffisso tipico del futuro -σε-σο, e le desinenze della diatesi media, (Es. λυ-θή-σο-μαι). Consta di due tipi: futuro passivo debole con il tipico infisso, e il futuro passivo forte, contratto. Dall'aoristo passivo debole si forma il futuro passivo debole o sigmatico, mentre dall'aoristo passivo II forte, il futuro passivo asigmatico o forte, in cui avviene la caduta di -θη, con allungamento di compenso della vocale del tema verbale + le desinenze (esempio di κόπτω = κοπήσομαι). Come il futuro attivo e medio, è privo di congiuntivo e imperativo. In alcuni casi può avere anche un valore intransitivo, se esso è presente anche nel corrispettivo aoristo passivo. Un esempio di coniugazione del futuro passivo primo o debole è: νικάω, "vincere".
Un esempio di coniugazione del futuro passivo secondo o forte è: φαίνω, "mostrare".
Alcune osservazioni:
L'aoristo attivo - medio - passivo[modifica | modifica wikitesto]L'aoristo è un tempo storico, esprime un'azione vista di per sé a prescindere dalla sua durata, conclusa nel passato, ed esprime dunque il valore della puntualità Se essa viene vista dal suo momento iniziale si ha un aoristo ingressivo, che si traduce al passato remoto, se invece l'azione è vista nel suo momento conclusivo, l'aoristo ha valore egressivo. Come il presente greco, l'aoristo possiede una flessione completa, includente indicativo, congiuntivo, ottativo, imperativo, infinito e participio, presenta tre diatesi: attiva, media e passiva, quest'ultima ha suffissi propri. L'indicativo presenta come l'imperfetto l'aumento, ed è quindi l'unico modo dell'aoristo dotato di un vero e proprio valore temporale (cioè appunto un tempo storico, a differenza dell'imperfetto, che è fortemente legato al presente greco per l'espressione temporale dell'azione). Gli altri modi invece dell'aoristo non hanno alcun valore temporale, non hanno l'aumento, e si differenziano dai corrispettivi presenti e perfetti soltanto per il diverso valore aspettuale, ossia per le desinenze, anche se in alcuni contesti sintattici, possono comunque indicare una distanza temporale. Lo studio moderno della grammatica suddivide l'aoristo greco in 4 tipi:
Include tutti i temi verbali in vocale debole e dittongo, e di vari temi in consonante, si formava in modo atematico unendo al tema temporale il suffisso -σ e le desinenze secondarie dei tempi storici. Dato che in seguito ad alcuni fenomeni fonetici, dovuti all'incontro di liquide e nasali con σ, tale suffisso può scomparire, è stata introdotta una suddivisione, per lo più a scopo didattico, simile alla suddivisione del futuro greco, l'aoristo sigmatico e asigmatico in cui il sigma cade. Nel sigmatico i temi verbali in vocale presentano l'allungamento della stessa iniziale (τιμάω, tema verbale τιμα-τιμη, aoristo = ετίμησα). I temi verbali con radice in vocale usano il grado apofonico allungato. I temi verbali in consonante muta presentano alcune modifiche fonetiche dovute all'incontro della consonante finale del tema verbale con il σ del suffisso (π β φ + σ = ψ / κ γ χ + σ = ξ / τ δ θ + σ = σ). Se dentale è preceduta da ν, cadono interi gruppi tipo νδ o ντ e la vocale che precede subisce l'allungamento di compenso. Aoristo, perfetto e piuccheperfetto indicativo attivo di λύω Aoristo passivo indicativo di λύω L'aoristo asigmatico primo, per comprendere il suo presente, si può procedere come nel futuro, eliminando l'aumento e il suffisso in sigma, in modo da risalire al tema verbale. Questo aoristo si verifica nei verbi con tema in liquida o nasale che si fondono con sigma del suffisso, la consonante finale cade, provocando l'allungamento di compenso della vocale che precede la liquida o la nasale, esempio τίλλω = έτιλα. Esso, come detto, è proprio dei verbi col tema in liquida (λ, ρ) e in nasale (μ, ν). Aggiungendo a tali temi il suffisso -σα-, si hanno i gruppi fonetici -λσα, ρσα, μσα, νσα- in cui il -σ- cade provocando l'allungamento di compenso della vocale del Tema Verbale secondo le note regole per cui:
Aumento + tema verbale allungato + α + desinenze Storiche (ἔ-φην-α-ν). Da notare è che nella forma -ἦρα-, aoristo di -αἴρω, la -η- rappresenta lo aumento temporale, non l'allungamento di compenso dell'-ᾰ- del tema, che diviene -ᾱ-; quindi nel congiuntivo, nell'ottativo, nell'imperativo, nell'infinito e nel participio in cui non c'è aumento, le forme sono, rispettivamente: ἄρω, ἄραιμι, ἆρον, ἆραι, ἄρας. Eccezioni sono:
Un esempio di aoristo debole asigmatico è φαίνω, "mostrare".
Il participio e l'infinito hanno le seguenti forme:
Il participio aoristo debole attivo asigmatico maschile e neutro ha il tema -αντ- (il maschile singolare, sigmatico, fa cadere -ντ- davanti a sigma allungando per compenso -α-, mentre il neutro mostra il puro tema con caduta di -τ-; in entrambi il genitivo è -αντος) mentre il femminile segue la I declinazione in alfa impuro breve (come μοῦσα). Alcune osservazioni da fare sono che la coniugazione dell'aoristo debole asigmatico è in tutto analoga a quella dell'aoristo debole sigmatico. Da notare che aoristi deboli asigmatici si possono considerare anche: εἶπα = dissi (presente λέγω); ἔχεα = versai (presente χέω); ἤνεγκα = portai (presente φέρω) ed altre forme di terza persona plurale (ἧλθαν, εὗραν), che si incontrano nel Nuovo Testamento.
Ha una forma molto antica, il tema temporale è formato dalla radice (per questo tale aoristo è detto anche radicale) cui viene aggiunta la vocale tematica -ε/ο; la struttura morfologica delle desinenze risulta simile a quella dell'imperfetto, solo nell'indicativo, e per gli altri modi del congiuntivo e dell'ottativo e del participio alle desinenze del presente. Hanno l'aoristo forte quei verbi i cui temi hanno l'apofonia, poiché i temi si formano con due gradi apofonici diversi, per la radice λειπ/λοιπ/λιπ-, si forma il presente λείπω, l'aoristo II è ἔλιπον, con apofonia grado zero, che risulta distinto oltretutto dall'imperfetto ἔλειπον. L'aoristo forte si forma anche con radici verbali che hanno suffissi e infissi nel presente, come λαμβάνω = ἔλαβον. I temi verbale che hanno l'aoristo forte esce sempre in consonante ed è monosillabico, cioè si identifica con la radice del verbo. Se tale radice presenta variazioni apofoniche, l'aoristo si forma dal tema verbale di grado ridotto (ad esempio -λιπ- rispetto a -λειπ, λοιπ-). L'aoristo forte non si può confondere con l'imperfetto (benché abbiano in comune l'aumento, la vocale tematica e le desinenze storiche), perché si forma dal tema verbale e non dal tema del presente. Hanno l'aoristo forte, quindi, sono solo i verbi il cui tema del presente differisce dal tema verbale o per uno speciale suffisso (seconda, terza, quarta e quinta classe) o perché presenta il grado medio anziché quello ridotto, o perché deriva da radice del tutto diversa. Per un esempio di aoristo forte attivo e medio si propone quello di λείπω, "lasciare".
Il participio aoristo forte attivo maschile e neutro ha il tema -όντ- (il maschile singolare fa cadere -τ- e allunga per apofonia -ο- in -ω-, mentre il neutro mostra il puro tema con caduta di -τ-; in entrambi il genitivo è -όντος) mentre il femminile segue la I declinazione in alfa impuro breve (come μοῦσα). Alcune osservazioni ed eccezioni sono:
Questo aoristo è la forma più antica di questo tempo, esistente già in Omero, nel dialetto attico è formato solo da una decina di verbi che possiedono l'intero sistema, poi da alcune forme isolate, per lo più attive con significato intransitivo. Essendo atematico, si forma con l'aumento, senza la presenza di infissi, poiché riguarda solo il tema verbale + l'aggiunta delle desinenze storiche (per l'indicativo); il congiuntivo è il solo modo che possiede una flessione tematica con le desinenze del presente in -η-ω, l'ottativo è diverso, ha la caratteristica modale -ιη (anziché oι)-ι, usata anche nei verbi contratti. Il participio presenta l'abbreviamento della vocale per la legge di Osthoff, e la caduta del suffisso -ντ con successivo allungamento di compenso della vocale. Esempio di aoristo fortissimo è il paradigma di γιγνώσκω, "conoscere"
I participio dell'aoristo III segue al maschile e neutro la terza declinazione con il tema -ντ-, aggiunto alla radice abbreviata secondo la legge di Osthoff (*βηντ > βᾰντ, *γνωντ- > γνοντ-, ecc.); il maschile, sigmatico, fa cadere davanti a sigma il gruppo -ντ- e allunga per compenso la vocale radicale, il neutro mostra il puro tema con caduta di -τ-, e in entrambi il genitivo e in -ντος. Il femminile si forma come negli aggettivi della seconda classe a tre uscite con il suffisso -jᾰ aggiunto al tema maschile/neutro (per γνοῦσα: *γνοντ-jα > *γνονσjα > *γνονσα > *γνοσα > γνοῦσα) e segue la prima declinazione in alfa impuro breve. L'ottativo del duale e del plurale, oltre a formarsi con la caratteristica -ι- propria di questo modo al grado zero, può utilizzare come tema la terza persona singolare, che, non avendo desinenza, è stata sentita dai Greci come puro tema e quindi utilizzata anche per il resto della coniugazione dell'ottativo; queste forme sono messe fra parentesi. Altro esempio di aoristo fortissimo è il paradigma di βαίνω, "andare"
Alcune osservazioni sono:
Antichissima forma di aoristo, che presenta il suffisso -κα alla stessa maniera del perfetto I greco (per questo è detto cappatico), e si incontra soltanto in tre verbi del greco: ἵημι = ἧκᾰ, δίδωμι = ἔδωκᾰ e infine τίθημι = ἔθηκᾰ. Presenta sia diatesi attiva che media, il suffisso -κα è presente soltanto nelle prime 3 persone singolari, anche se nella storia della lingua, per analogia, il suffisso si estese in tutta la coniugazione. Nella formazione del medio, per l'esempio di ἵημι, in vista della desinenza in vocale lunga - μην della I singolare (così come per il secondo duale e per la I plurale), l'accento non è circonflesso come nelle altre, ma acuto, per legge dei tre tempi, oltretutto l'aumento risulta diverso, poiché nella ricostruzione *ε-jεμεν, lo j intervocalico cade, allungano l'aumento in dittongo, e realizzando l'attuale desinenza della I singolare, così come le altre.
L'aoristo passivo è morfologicamente distinto da quello attivo e medio e ha due forme:
Esso è proprio della maggior parte dei verbi sia in -ω- che -μι-. Si forma dal tema verbale (di solito di grado medio) a cui si premette l'aumento (solo nel mondo indicativo) e si fa seguire il suffisso -θη- e le desinenze storiche attive. Aumento + tema verbale + θη + desinenze storiche attive (Es. ἐ-λύ-θη-ν). Davanti al suffisso -θη:
Da segnalare:
Un esempio è coniugazione dell'aoristo passivo primo o debole del verbo νικάω, "vincere".
Alcune osservazioni da fare sono:
Particolarità a questa forma sono:
Differisce dall'aoristo passivo debole o primo unicamente perché il suffisso temporale si riduce alla sola vocale -η-. La sua coniugazione segue quella dell'aoristo passivo debole in tutto il paradigma. Aumento + tema verbale + η + desinenze storiche attive (Es. ἐ-φάν-η-ν). Hanno l'aoristo passivo forte circa quaranta verbi col tema, quasi sempre radicale e monosillabico, uscente in consonante muta, in liquida o in nasale. I temi soggetti ad apofonia assumono di solito il grado debole (come nell'aoristo forte). Un esempio di coniugazione dell'aoristo passivo secondo o forte è φαίνω, "mostrare, sembrare, apparire".
Da notare è che quando uno stesso verbo presenta due forme di aoristo passivo (Debole e Forte) talvolta la forma debole ha valore passivo mentre quella forte riflessiva (es. φαίνω "mostro" la forma debole ἐφάνθην "fui mostrato" mentre la forma forte ἐφάνην "mi mostrai, apparvi". In molti casi, invece, entrambe le forme hanno il medesimo significato passivo. Hanno invece l'aoristo forte passivo, di regola, solo i verbi che non hanno l'aoristo forte attivo. Fanno eccezione -τρέπω- (volgo), e -τρέφω- (nutro), che hanno l'aoristo forte sia attivo (ἔτραπον, ἔτραφον) che passivo (ἐτράπην, ἐτράφην). Il perfetto[modifica | modifica wikitesto]La sua caratteristica è il raddoppiamento, con il quale si esprime il compimento dell'azione, può avere aspetto stativo e resultativo:
Participio perfetto mediopassivo di λύω Il raddoppiamento classico riguarda il raddoppiamento, seguendo la legge di Grassmann sulle aspirate, delle consonanti iniziali di parola, inserendo delle corrispettive mute, ma come l'aumento dell'imperfetto e dell'aoristo, per i temi inizianti in vocale, oppure con la ρ aspirata per la presenza di un antico digamma, come nell'aumento temporale, si ha l'allungamento della vocale. Per i temi in consonante muta o seguita da liquida o nasale, escluso il gruppo -γν, il raddoppiamento è formato da una sola muta, seguita da ε. I temi verbali che iniziano con ρ o con due consonanti che non sono muta + liquida, o con gruppo γν, o con consonante doppia ξ o ψ, presentano una vocale ε identica all'aumento, ma che a differenza di quello dell'imperfetto e dell'aoristo, si mantiene per tutta la flessione, anche nel congiuntivo, nell'ottativo, nel participio, nell'imperativo e nell'infinito; esempio di ῥέω = ἐρρύηκᾰ, come si vede con la ρ c'è il raddoppiamento di consonante dopo l'aumento. Alcune particolarità da ricordare sono:
Un altro tipo di raddoppiamento è quello "attico", presente in antichità già da Omero, si raddoppia la vocale e la consonante iniziale del tema verbale, e nell'allungamento della vocale iniziale del tema stesso; esempio di ἀκούω = ἀκήκοα < ακοϝ. Sempre per la presenza originaria di un digamma o di un iniziale /s/, poi caduto nel tema verbale, alcuni raddoppiamenti avvengono in -ει, come nel caso di λαμβάνω = εἴληφα (*σλαβ) Perfetto attivo[modifica | modifica wikitesto]Perfetto I debole[modifica | modifica wikitesto]
Hanno il perfetto debole i verbi puri, i temi in dentale e la maggior parte dei temi in liquida e in nasale. L'incontro fra elemento finale del tema verbale e la -κ- determina i seguenti mutamenti fonetici:
Un esempio di coniugazione del perfetto primo o debole è λύω, "sciogliere"
Alcune osservazioni:
Eccezioni:
Perfetto II forte[modifica | modifica wikitesto]
Hanno il perfetto forte per lo più i verbi radicali e precisamente:
Nel perfetto forte il tema verbale rimane inalterato in alcuni verbi mentre in altri esso:
Un esempio di coniugazione del perfetto forte o secondo è φαίνω, "mostrare".
Alcune osservazioni:
Tre sono le notazioni da fare su questo argomento:
Perfetto III fortissimo, o atematico[modifica | modifica wikitesto]Il perfetto III fortissimo atematico, molto antico anche questo, è costituito dal tema raddoppiato, cui vengono aggiunte le desinenze personali; qui è ancora attiva l'alternanza apofonica tra il grado normale del singolare e il grado zero del plurale e del duale, segno che con il prevalere del valore stativo, dell'antichità della sua formazione. Pochi verbi hanno il perfetto fortissimo, come βαίνω, e ci sono, ad eccezione di ἵστημι con flessione completa, attestazioni parziali del congiuntivo e dell'ottativo. La caratteristica di questo perfetto è che per le prime 3 persona singolari si avvale del suffisso + desinenza -κα, -κας, -κε, mentre per le altre 3 persone del plurale e le 2 del duale, usa solo il raddoppiamento, la vocale tematica -α + le normali desinenze primarie. Questo è l'esempio di βάινω = βέβηκα, ας, ε, poi βέβατον (ambedue) e βέβαμεν, -ατε, βεβᾶ)σιν[15] in quanto l'α è risultato di una vocalizzazione della N° sonante indeuropea, con la presenza di un /s/ intervocalico caduto, provocando l'allungamento. Gli stessi verbi che hanno il perfetto attivo fortissimo hanno anche il piuccheperfetto fortissimo che non presenta suffissi o V.T., ma si forma aggiungendo direttamente al tema verbale, raddoppiato e preceduto dall'aumento, le desinenze storiche attive. Anche per il piuccheperfetto fortissimo manca il singolare per il quale si usano le rispettive forme deboli o forti. Aumento + raddoppiamento + tema verbale + desinenze storiche (es. ἐ-βέ-βα-σαν). Si possono distinguere due gruppi di verbi che hanno il perfetto e il piuccheperfetto fortissimo o misto:
Osservazioni da fare sono:
Perfetto mediopassivo[modifica | modifica wikitesto]Il perfetto mediopassivo si forma aggiungendo al tema verbale raddoppiato le desinenze principali mediopassive dei verbi tematici, dunque è un perfetto atematico e privo di suffissi. Il congiuntivo, l'ottativo e la III persona plurale si formano nella maniera perifrastica, con il participio mediopassivo + il verbo essere al congiuntivo e ottativo, per la III dell'indicativo ovviamente con il verbo essere al presente. Altra caratteristica del perfetto passivo riguarda i temi in consonante, che subiscono all'incontro con le consonanti iniziali delle desinenze -μαι, -σι, -ται ecc.. diversi fenomeni di assimilazione:
Un esempio con la coniugazione del perfetto passivo di γράφω, con consonante in labiale π + desinenza:
Perfetto medio-passivo indicativo, imperativo, infinito e participio di θύω, βλάπτω, πράσσω e ἐλπίζω.
Osservazioni:
Particolarità da segnalare:
Perfetto medio-passivo indicativo, imperativo, infinito e participio di θύω, βλάπτω, πράσσω e ἐλπίζω.
Il piuccheperfetto[modifica | modifica wikitesto]Attivo[modifica | modifica wikitesto]Trattasi di tempo storico, che esprime l'aspetto stativo resultativo nel passato, esso è caratterizzato dall'aumento, dal raddoppiamento del perfetto, e dalle desinenze secondarie, o dei tempi storici. In italiano si traduce solitamente come un trapassato remoto; come nell'imperfetto, questo tempo ha solo il modo indicativo, e diatesi sia attiva che passiva. L'aumento non è per forza obbligatorio, dato che ci sono attestazioni presso Omero e presso gli storici o gli oratori, forse per evitare un grande accumulo di prefissi in una sola parola. I verbi che formano un perfetto con raddoppiamento costituito dalla vocale ε o dall'allungamento della vocale iniziale, rimangono immutati, come nel caso di ἀγγέλλω = ἤγγελκειν. Come nel perfetto, per la particolarità di avere l'aumento, e in certi verbi, il suffisso -κ, il piuccheperfetto può essere I o debole, poi II o forte, o III fortissimo. Per il piuccheperfetto debole si può fare l'esempio di λύω = : ἐλελύκειν, ma la desinenza corretta arcaica è, per la I singolar,e in -η. Deriva da * ἐλελύκεσ + m° sonante indoeuropea, che si risolse, a contatto con la consonante /s/ in -α > ἐλελύκεσα, successivamente il /s/ in posizione intervocalica cadde, e si ebbe ἐλελύκεα, con la contrazione (ε+α) della desinenza in -η Le desinenze si alternano tra la η-ης-ει (prime 3 singolari) e le corrispettive -ειν-εις-ι, che sono più tarde, realizzate per analogia. Come nel perfetto mediopassivo (o passivo), anche il piucheperfetto usa per la III plurale la forma perifrastica, inoltre per i temi in consonante si realizzano degli esiti particolari proprio come nel perfetto, dall'incontro delle consonanti del tema con le relative desinenze. Il piuccheperfetto II forte si usa per verbi come λείπω = ἐλελοίπα, mentre il III fortissimo che ha valore di imperfetto in italiano, si forma con quei verbi che hanno un perfetto III con valore stativo, e dunque presente in italiano, come οἶδα, il piuccheperfetto è ᾔδη, nelle forme più recenti ᾔδειν. Piuccheperfetto I debole[modifica | modifica wikitesto]Il piuccheperfetto attivo primo o debole è formato dal tema verbale raddoppiato, preceduto dall'aumento e seguito dal suffisso temporale -κει- e dalle desinenze personali storiche. Aumento + raddoppiamento + tema verbale + κει + desinenze storiche (es. ἐ-λε-λύ-κει-ν). Hanno il piuccheperfetto debole gli stessi verbi che hanno il perfetto debole. L'incontro tra l'elemento finale del tema verbale e la gutturale -κ- del suffisso determina gli stessi mutamenti fonetici di cui si è detto a proposito del perfetto debole.
Osservazioni da fare sono:
Piuccheperfetto II forte[modifica | modifica wikitesto]Differisce dal debole solo per il suffisso temporale che si riduce al dittongo -ει- e le desinenze personali storiche. Aumento + raddoppiamento + tema verbale + ει + desinenze storiche (es. ἐ-πε-φήν-ει-ν). Hanno il piuccheperfetto forte gli stessi verbi che hanno il perfetto forte. Nel piuccheperfetto forte si ripetono i fenomeni fonetici riscontrati nel perfetto forte:
Piuccheperfetto III fortissimo o misto[modifica | modifica wikitesto]Il piuccheperfetto di βαίνω:
Sul perfetto e sul piuccheperfetto misto di -βαίνω- si modellano quelli derivanti dalla radice: στα, θνα, τλα, dei verbi ἵστημι, θνῄσκω, τέτληκα (perfetto difettivo senza presente). Da segnalare che dal tema -τλα- si ha anche il futuro τλήσομαι e l'aoristo ἔτλην. Le radici -θνα- e -τλα- invece davanti all'uscita del participio (ώς, υῖα, ός) vi sono forme in cui la -α- si allunga in -η- o muta in -ε- o scompare. Forme isolate di perfetti fortissimi sono:
Possono servire da paradigma per questo tipo di perfetto e piuccheperfetto quelli del verbo -δείδω- (temo), che nel singolare dell'indicativo assumono le forme forti, mentre presentano quelle fortissime nel duale, nel plurale e in tutti gli altri modi. Da segnalare è che le forme del perfetto e piuccheperfetto misto del verbo -δείδω- hanno significato rispettivamente di presente e di imperfetto mentre significato di perfetto e piuccheperfetto hanno le forme deboli δέδοικα, ἐδεδοίκειν. Un esempio di coniugazione di piuccheperfetto fortissimo.
Piuccheperfetto mediopassivo[modifica | modifica wikitesto]Si forma: Aumento + raddoppiamento + tema verbale + desinenze storiche medie (es. ἐ-λε-λύ-μην). L'incontro dell'ultimo elemento del tema verbale con la consonante iniziale delle desinenze personali determina i seguenti fenomeni fonetici:
Piuccheperfetto medio-passivo di λύω e φαίνω.
Osservazioni da fare sono:
Particolarità da segnalare sono:
Il futuro perfetto[modifica | modifica wikitesto]Ha valore stativo resultativo, indica un'azione compiuta già nel futuro, e in italiano si rende con un futuro anteriore ("io avrò avuto - io sarò andato"). Questo futuro non faceva parte del sistema del perfetto, ma era un futuro sigmatico con raddoppiamento e valore desiderativo, nei secoli a seguire per via del raddoppiamento venne sentito vicino al tempo perfetto. I temi in vocale allungano la vocale breve, come nel futuro sigmatico, e non la mantengono breve come avviene nel perfetto. Esso si forma sul tema temporale del perfetto a cui si aggiungono il suffisso del futuro sigmatico -σε-σο e a seconda della diatesi attiva o media, le desinenze del futuro attivo e medio. Come nel futuro, il tempo ha solo i modi indicativo, ottativo, participio e infinito. Il futuro perfetto attivo ha la forma perifrastica (e non come alcune grammatiche suggeriscono ricostruendolo, in un normale futuro sigmatico attivo, per le desinenze, con raddoppiamento del perfetto), costituita dal participio perfetto attivo, accompagnato dalle forme del futuro del verbo εἰμί; invece il futuro medio si coniuga normalmente con le desinenze relative, tipo: λελῡ́σομαι Un esempio di coniugazione perifrastica attiva del futuro perfetto è (sempre da λύω), λελυκώς, -υῖᾰ, -ός ἔσομαι, ecc, proseguendo con la declinazione al participio + il verbo essere al futuro. Ci sono, per il futuro perfetto attivo, solo 3 attestazioni, di costruzione tarda nella storia della lingua greca, che si formano con un futuro sigmatico sintetico, a raddoppiamento, ossia θνήσκω, ἵστημι e ἔοικα, facendo un esempio θνήσκω si realizza in τεθνήξω.
Esiste inoltre un futuro perfetto formato sul tema ἰδ-/εἰδ-/οἰδ-, e quindi derivante da οἶδα; il significato sarà ovviamente "saprò" (per aver visto). Ha una forma media dal significato attivo (εἴσομαι, da εἴδ-σομαι) e una forma attiva (εἰδήσω, con ampliamento in -η-):
Altre coniugazioni di verbi[modifica | modifica wikitesto]Il verbo εἰμί e εἶμι (io sono - io vado)[modifica | modifica wikitesto]
Il verbo ἔχω (io ho)[modifica | modifica wikitesto]
Temi in consonante[modifica | modifica wikitesto]
Aoristo II forte[modifica | modifica wikitesto]
Aoristo II e futuro passivo[modifica | modifica wikitesto]
Verbi contratti: temi in -άω ed έω[modifica | modifica wikitesto]
Verbo τῑμάω → τῑμῶ (tema τῑμα-) Attivo
Si noti che l'ottativo singulare dei verbi contratti generalmente esce in -οιην, -οιης, -οιη anziché in -οιμι, -οις, -οι come i verbi regolari. Medio
Verbo ποιέω → ποιῶ (tema ποιε-) Active voice
Temi in -όω[modifica | modifica wikitesto]Regole
Verbo δηλόω → δηλῶ (tema δηλο-) Attivo
Alcuni verbi atematici in -μι: δείκνυμι[modifica | modifica wikitesto]
Aggettivi verbali[modifica | modifica wikitesto]Sono come il participio, forme aggettivali del verbo, assimilabili gli aggettivi della prima classe a tre uscite, sono due.
Questo aggettivo corrisponde anche al participio passato latino in -tus (solutus, sciolto), che indica uno stato raggiunto; tuttavia il latino ha poi sviluppato un suffisso diverso, in -bilis (solubilis "solubile"), per indicare la possibilità (dunque si rifà al suffisso greco -τεο - τεα), anche se attestazioni doppie sono presenti in alcuni componimenti poetici della letteratura latina. Nel caso di aggettivi verbali che sono derivati da verbi composti, è possibile distinguere i due significati in base alla posizione dell'accento, poiché gli aggettivi che indicano la possibilità sono spesso ossitoni e hanno tre uscite (maschile, femminile, neutro); mentre quelli che indicano uno stato o una condizione ritraggono l'accento, e hanno solo due uscite in maschile e neutro (ἀπόρρητος - τον "vietato"). Gli aggettivi composti con ἀ privativo e con - Εὐ sono per lo più proparossitoni a due terminazioni (maschile e neutro), quelli composti col prefisso -δυσ esprimono la possibilità Poiché i suffissi si aggiungono direttamente alla radice o al tema verbale, e non a temi temporali, questi aggettivi sono privi di valore temporale e aspettuale, risultano estranei alla coniugazione, ma semplicemente si declinano come il participio. Sintassi: formazione della frase[modifica | modifica wikitesto]La frase in greco antico ha la stessa struttura, almeno per le componenti del discorso, dell'italiano, è formata da un soggetto, un predicato, i complementi, gli articoli, gli avverbi e le particelle pronominali. Il soggetto va sempre espresso col caso nominativo, il predicato può essere un verbo, o essere formato da un nome (sostantivo o aggettivo) legato al soggetto tramite copula, spesso e volentieri il verbo essere è sottinteso; la copula è il verbo essere εἰμί. La struttura della frase in italiano di solito ha l'ordine soggetto-verbo-complemento, in greco la costruzione si formula mettendo in primo piano la parola più importante dell'intera preposizione, dunque anche un verbo, un complemento, una particella, si tratta di un elemento chiave per la comprensione dell'intero discorso, ed anche per una corretta analisi logica della frase; spesso capita che il soggetto possa trovarsi alla fine della frase, oppure il verbo principale stesso, preceduto da un participio, o da un infinito. Solo in rari casi, come nell'introduzione di Tucidide de La guerra del Peloponneso, si ha la costruzione SVO (soggetto, verbo, complemento), in quanto Tucidide intendeva dare importanza a sé stesso, e poi alla sua opera, ritenuta di principale fondamento per comprendere le cause e le vicende di questo conflitto tra ateniesi e spartani. Al secondo posto, nella frase vanno elementi "accessori", come avverbi o pronomi, per quel che riguarda il verbo, non ha mai una collocazione precisa, lo si può trovare all'inizio della frase, nel mezzo o nella fine, ogni scrittore greco lo posiziona semplicemente in base al risalto che voleva dare a loro nella sua specifica opera. Per dare dunque una traduzione corretta occorre fare attenzione ai casi dei sostantivi, al numero dei verbi, ma soprattutto al senso generale del discorso, comprendendo il quale è anche più facile capire la disposizione delle parole. Occorre fare attenzione anche a significati dati per scontati o sottintesi dagli autori, come l'argomento di cui si sta parlando, fenomeno soprattutto presente in Tucidide, e al valore temporale del verbo, dato che i greci avevano una concezione ciclica del tempo, categorizzata in aspetto durativo (presente-imperfetto), puntuativo (aoristo) e resultativo (perfetto), con l'aggiunta del futuro, inizialmente usato come una sorta di congiuntivo, e poi definito come un'azione da concludersi nel tempo a venire. I complementi[modifica | modifica wikitesto]
Uso dei tempi verbali[modifica | modifica wikitesto]Uso dell'indicativo
Iscrizione nelle Terme Achilliane Nelle proposizioni indipendenti l'indicativo presente si trova per lo più in tutti i casi in cui ricorre anche in italiano: esprime un'azione o uno stato obiettivamente constatati, riferiti, negati nel loro valore temporale; in questa funzione è privo di particelle modali, e la sua negazione è οὐ, ma può avere anche la funzione modale con particelle:
Solitamente il valore ingressivo egressivo è espresso da quei verbi quali βασιλεύω (io regno) che al presente indicano uno stato continuo, all'aoristo ἐβασίλευσα (divenni re); l'aoristo può essere anche gnomico per sentenze e proverbi, oppure "tragico" nelle opere drammaturgiche, solitamente usato nella 1 persona singolare, in cui il personaggio esprime di aver compreso qualcosa e di averlo perfettamente digerito (io ho capito questa cosa); oppure può essere dialogico nelle proposizioni interrogative, molto frequente in Platone. Il perfetto può essere stativo o resultativo, il primo per la percezioni di stati d'animo, condizioni permanenti, il secondo è tradotto in italiano col passato prossimo, per questo può essere anche gnomico oppure storico, alla maniera del presente storico, quando è usato per narrare fatti passati come se si svolgessero al presente. Per differenziarlo nell'uso dall'aoristo, di cui nella koinè ellenistica del III secolo a.C. la confusione è assai evidente, i perfetti nella III plurale usarono la desinenza dell'aoristo, dall'altra parte alcuni perfetti stativi con il valore di presente furono considerati semplicemente dei presenti; e per rendere l'aspetto resultativo si ricorse a forme perifrastiche costituite da participio perfetto + il verbo εἰμί (nel congiuntivo e nell'ottativo). Oinochoe protocorinzia, Museo del Louvre Oinochoe con scena di armi, Museo dell'Agorà di Atene
Esempio: Πολλά ἀναγέγραπται ὑπέρ τῆς Άλεξάνδρου τελευτῆς (Si sono scritte molte cose sulla morte di Alessandro) Uso dell'indicativo con particelle ἄν e ὡς L'indicativo imperfetto e aoristo con la particella modale ἄν e la negazione οὐ esprimono la possibilità di un'azione nel passato, non di necessità avvenuta (irrealtà)[18]; l'azione prospettata come possibile nel passato, finisce per essere contrapposta al suo compiersi; di qui l'identità di rendere la potenzialità o l'irrealtà del periodo ipotetico. L'imperfetto indicativo si usa anche senza ἄν, con verbi che indicano la possibilità, dovere, necessità, convenienza, e corrisponde a un'analoga espressione italiana "dovevo - era opportuno che", o di frequente a un condizionale presente e passato: in greco le azioni possibilmente realizzabili sotto condizioni sono accettate, per questo usa l'indicativo imperfetto, o presente come con εἰμί. L'imperfetto e l'aoristo con la particella ἄν hanno un valore iterativo nel passato, in italiano si usa l'imperfetto indicativo, quando sono preceduti da ει oppure ὡς indicano il desiderio irrealizzabile, il rimpianto di qualcosa che non può verificarsi, l'indicativo assume sfumatura volitiva. Esempio dell'uso di ἄν con i tempi storici:
Particolarità: l'indicativo imperfetto senza ἄν può essere tradotto con il condizionale italiano, in espressioni impersonali che indicano convenienza e inopportunità, possibilità, necessità, come:
Le particelle Εἰ γάρ, εἴθε e ὡς in unione con un tempo storico dell'indicativo, esprimono un desiderio irrealizzabile. In particolare queste espressioni presentano l'imperfetto se il desiderio si riferisce al presente, e l'aoristo se il desiderio si riferisce al passato, come nel caso di utinam + congiuntivo imperfetto o piuccheperfetto nel latino; la particella per la negazione è μή.
Riveste la funzione volitiva (esortativo, proibitivo) con la particella μή ed eventuale, segnata dalla particella ἄν o negativa ού[19]. Il modo ha valore aspettuale e non temporale, sia indipendente che dipendente, il presente assume aspetto durativo di un'azione in via di svolgimento, l'aoristo il valore puntuale, mentre il perfetto quello resultativo. Nelle proposizioni principali si trova il congiuntivo esortativo e il proibitivo, usato sia al presente che in aoristo, il proibitivo usa l'aoristo preceduto dalla negazione μή. Il congiuntivo dubitativo deliberativo si trova nelle principali e nelle secondarie, esprime dubbio nel realizzare un'azione, si esprime con l'interrogativa, ed è espresso col presente o con l'aoristo. Nella forma negativa è preceduto da μή. Riveste funzione volitiva il congiuntivo "di timore" che è usato nelle principali, se preceduto da μή si teme che l'evento si verifichi; il congiuntivo può essere usato anche con valore finale accompagnato dalla particella ἄν oppure οὐ nella funzione di eventualità.
Uso dell'ottativo Ha espressione desiderativa, può esprimere la potenzialità accompagnato dalla particella ἄν, nelle proposizioni dipendenti di reggenti a tempo storico, compare frequentemente il cosiddetto "ottativo obliquo"[20], che sostituisce gli altri modi finiti della subordinata, indicativo e congiuntivo, e per questo la sua negazione può essere οὐ oppure μή. Gli ottativi aoristi, presenti e perfetti hanno valore aspettuale, il futuro invece è usato solo come obliquo, ha il valore temporale, ma nelle proposizioni subordinate enunciative dichiarative e interrogative indirette, l'ottativo obliquo può anche avere valore temporale, e ovviamente aspettuale. Durante l'ellenismo l'ottativo scomparve, venne ripristinato in età imperiale col fenomeno dell'atticismo. Vien usato come desiderativo l'ottativo al presente e al futuro, se è usato con tempo storico, ciò riguarda il significato di un'azione desiderata che si è compiuta. In Omero l'ottativo desiderativo rende anche un desidero irrealizzabile, e può essere preceduto da particelle, soprattutto in attico, come εἰ γάρ, ὡς, αλλά. L'ottativo "potenziale" esprime la possibilità che una determinata azione si verifichi.
Uso dell'imperativo Esso è un verbo usato per frasi di comando o esortazione, ha origine antica ed è vicina alla funzione del richiamo resa dal vocativo. L'imperativo è privo di caratteristiche modali dal punto di vista morfologico, si trova in dialoghi e discorsi diretti; in origine possedeva solo la II persona singolare e plurale, in seguito venne usata anche la III persona singolare e plurale per rivolgere un comando a persone assenti o per rendere una forma indiretta dell'ordine. Raramente è usato il perfetto o l'aoristo per un'azione già considerata conclusa nel passato. Uso dell'infinito Riguarda le proposizioni infinitive e quelle dipendenti e indipendenti. Può avere la funzione nominale o verbale; come forma sostantivata, l'infinito esprime il concetto astratto dell'azione vista nella sua assolutezza, e per questo può anche essere preceduto dall'articolo. Poiché l'infinito è indeclinabile, acquisisce varie valenze logiche in base ai casi espressi dall'articolo, e può essere preceduto da qualsiasi preposizione greca; può reggere in quanto verbo un complemento al pari dei modi finiti (come : "dire la verità"), è composto da diatesi attiva e media, se accompagnato dalla particella άν rende l'idea della potenzialità o dell'irrealtà del periodo ipotetico. Nel futuro l'infinito assume un valore temporale, negli altri infiniti rimangono i valori aspettuali. L'infinito "sostantivato" può essere preceduto dall'articolo, e può essere declinato normalmente, il suoi soggetto e il suo predicato se espressi e diversi da quello della reggente, si trovano all'accusativo; se il soggetto è identico, esso non compare nell'infinito, ma i suoi attributi sono al nominativo. In funzione di soggetto, l'infinito è accompagnato da sostantivi astratti indicanti l'opportunità o il dovere (bisogna, conviene); al genitivo riveste tutti valori propri di questo caso, preceduto da preposizioni, può avere valore finale, temporale, causale, concessivo, al dativo ha valore strumentale, all'accusativo ha valore di oggetto, dipendente da verbi indicanti la volontà e desiderio. L'infinito può avere anche valore esclamativo, iussivo (funzione di comando), desiderativo, di relazione e determinativo, qualificato qui da aggettivi, sostantivi.
Esempio per i sostantivi o aggettivi neutri sostantivati + ἐστίν: Καλόν ἐστι ἀγαθούς φαίνεσθαι (è bello apparire valorosi)
In dipendenza da verbi di percezione, la proposizione oggettiva è resa con l'accusativo + participio predicativo, anziché con l'accusativo + infinito.
Esso "partecipa" delle proprietà del nome e del verbo, è declinabile in genere, numero e caso come un aggettivo, usando l'infisso εντ - οντ - υντ - αντ; può reggere casi, esprimere tempo e diatesi come un verbo. Può unirsi a un altro verbo senza impiego di congiunzioni, completando la frase con formazioni essenziali o accessorie. Del participio sono le categorie del "nominale" o sostantivato, preceduto dall'articolo, quello col valore verbale (appositivo), il circostanziale avverbiale e il participio predicativo. Il participio appositivo che non è mai preceduto dall'articolo, funge da apposizione di un sostantivo e si distingue ulteriormente in participio congiunto e assoluto. La funzione nominale avviene quando esso non è accompagnato da sostantivi, ed è preceduto dall'articolo, mantiene il suo valore verbale perché regge i casi voluti dal verbo che lo ha generato. Il participio dato che è un aggettivo, può essere anche "attributivo", se si riferisce a un sostantivo con cui concorda in genere, caso e numero, determinandone una qualità o una condizione permanente, che lo distingue da altri sostantivi. Il participio è di solito in posizione attributiva, preceduto dall'articolo e seguito dal sostantivo. in italiano si può rendere con una proposizione relativa. La funzione verbale del participio riguarda l'esprimere un'azione, un avvenimento in relazione al verbo reggente, può far parte della proposizione come predicativo del soggetto o del complemento, oppure ne é staccato come una proposizione secondaria, preceduto da ώς. Il participio appositivo circostanziale avverbiale attribuisce al sostantivo cui si unisce, una qualità secondaria o accessoria. Si distinguono due usi, il congiunto e l'assoluto: il primo è concordato in genere, caso e numero con un termine della proposizione, e svolge la funzione di una subordinata circostanziale, che può avere valore temporale causale, concessivo, avversativo, e in italiano si rende con un gerundio o una proposizione subordinata esplicita o una relativa; il participio assoluto si esprime col "genitivo assoluto", e concorda in caso, genere e numero (appunto il genitivo) col sostantivo, e può tradursi sempre al gerundio o con una proposizione. Il participio temporale può tradursi con un gerundio o una proposizione, il participio strumentale o di circostanza esprime un legame col verbo reggente, con un valore che non si può sempre tradurre al gerundio. Il congiunto causale può essere preceduto da ώς, esprime anche intenzione, o apparenza opposta alla realtà, cioè causa addotta come pretesto, e viene reso in italiano con "come se"; il participio con causa oggettiva invece è preceduto in greco dalle congiunzioni άτε όιον ώστε. Il congiunto concessivo è spesso preannunciato da μέντοι o accompagnato da congiunzioni, ha affinità con l'avversativo. Il participi congiunto ipotetico o suppositivo di frequente rende la protasi di un periodo ipotetico; infine il participio ha valore finale quando esprime l'intenzione di compiere un'azione, è preceduto da ώς quando ha valore soggettivo, a volte corrisponde alla causale soggettiva o alla comparativa ipotetica del futuro ("non siamo giunti con l'intenzione di far guerra al re"). Il participio è anche predicativo, del soggetto, dell'oggetto. Per il primo caso si accompagna a verbi che esprimo un modo di essere, in italiano lo si può rendere come un verbo reggente, per altri la resa è data con avverbi e locuzioni avverbiali. I verbi possono essere anche di evidenza o apparenza, esso è retto anche da verbi o costrutti di percezione intellettiva. Il predicativo dell'oggetto invece si trova nelle categoria dei verbi d'affetto, dei dichiarativi, dei verba impediendi et recusandi e in quelli di percezione; il predicativo è retto dai reggenti, sono espressi in forma passiva; per l'espressione "sono consapevole di" può presentare il participio predicativo al nominativo o concordato col dativo del pronome riflessivo; per i verba dicendi et declarandi è di rilievo la costruzione tra la principale e l'infinitiva. Infine, il participio con la particella άν può avere valore modale, acquista la funzione dell'ottativo potenziale o dell'indicativo irreale. Formazione:
Il participio predicativo ha alcune espressioni personali, costituite dal verbo εἰμί + aggettivo, anteposto o anche posposto, che in italiano si rendono in forma impersonale (è chiaro che io - era evidente che - è giusto che...) Uso di ἄν[modifica | modifica wikitesto]La particella ἄν svolge la funzione logica simile al condizionale italiano, serve a indicare un'azione potenziale nelle proposizioni secondarie o subordinate: ciò che può o doveva verificarsi, oppure un'azione irreale, che si verificherebbe nel presente, oppure si sarebbe verificata nel passato in presenza di una condizione irrealizzabile:
Uso di ὡς[modifica | modifica wikitesto]Ha molteplici usi nelle proposizioni: può essere innanzitutto un avverbio, poi può essere una congiunzione e preposizione:
ὡς + ottativo esprime il desiderio realizzabile, e viene usato nelle esclamative.
Le proposizioni nella frase[modifica | modifica wikitesto]
Si suddividono in:
Note[modifica | modifica wikitesto]
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
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