Come spiegare lautismo ai bambini

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SCRITTO DALLA DOTT.SSA CLAUDIA RECCHIA, TERAPISTA ELLA NEURO E PSICOMOTRICITA’ DELL’ETA’ EVOLUTIVA

Oggi 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale dell’Autismo, istituita nel 2007 dall’Onu. Molti gli appuntamenti e le iniziative messe in campo in tutta Italia da enti ed associazioni per sensibilizzare ed informare rispetto ai disturbi dello spettro autistico. Anche quest’anno noi abbiamo voluto dare il nostro contributo, provando a fornire a genitori ed insegnanti spunti di riflessione e consigli per affrontare l’argomento a casa e a scuola con i bambini.

Molto spesso vengono proposti corsi di formazione e informazione sull’autismo dedicati a insegnanti, genitori e professionisti del settore. Sono sempre più numerosi gli interventi nelle scuole per migliorare la qualità di vita e le possibilità di apprendimento dei bambini con autismo: formiamo gli insegnati, i genitori, e talvolta modifichiamo anche gli ambienti per renderli più adeguati ad accogliere bambini con questo disturbo.

Ma c’è un tassello fondamentale che troppo spesso non viene considerato o che viene affrontato con poca attenzione. I bambini con autismo vanno a scuola come tutti e sono inseriti in un gruppo di pari ed è proprio al gruppo dei pari che con questo articolo vogliamo rivolgere la nostra attenzione.

Capire l’autismo non è facile per un adulto, immaginatevi per un bambino; eppure sono proprio loro a viverci a stretto contatto. Quante volte ci sono state rivolte domande del tipo “perché Andrea urla sempre?” o “perché Martina fa sempre quelle cose strane con la mani?”, o più semplicemente “ma che cos’è l’autismo?”.

Come possiamo rendere a prova di bambino un argomento così vasto e complesso?
Il nostro consiglio è quello di staccarsi da quello che c’è scritto sui manuali diagnostici e di concentrarsi sul bambino autistico in questione. Anche lui, come tutti, ha le sue caratteristiche individuali, le sue paure, i suoi punti di forza e di debolezza e da qui dovremo partire per aiutare i compagni di classe a comprendere quei comportamenti che a loro sembrano così strani.

Ecco un esempio: Andrea è un bambino con autismo che fa spesso movimenti ripetitivi e stereotipati, a volte sfarfalla con le mani, altre volte cammina avanti e indietro o ciondola con la testa e il busto o ancora gira su se stesso.  Agli occhi dei suoi compagni è un comportamento alquanto bizzarro e insensato ed è giusto e normale che chiedano perché Andrea si comporta così. In questo caso potremmo spiegare che è un semplice modo di scaricare la tensione o il suo modo di dimostrare che è estremamente felice ed eccitato per quello che sta succedendo.

Fare esempi e parallelismi con noi può essere estremamente utile: chi è che quando è molto eccitato riesce a stare fermo?

Un altro esempio: Mattia presenta un’ipersensibilità acustica, batte continuamente le mani sulle orecchie in situazioni chiassose (come può essere una classe di materna) o in luoghi dove i rumori sono accentuati e rimbombano (una palestra scolastica). Possiamo aiutare i compagni di classe di Mattia a comprendere quel comportamento che sembra bizzarro, spiegando loro che molti bambini hanno paura dei rumori forti, Mattia ha un po’ più paura di loro e lo manifesta in quel modo.

E ancora: Luca diventa aggressivo senza motivo. In realtà un motivo c’è sempre, fatta eccezione per alcuni casi in cui l’urlo è una stereotipia verbale, se il bambino con autismo di punto in bianco si arrabbia e aggredisce, deve esserci qualcosa o qualcuno che ha innescato la reazione. In questo caso, prima ancora di spiegare agli altri bambini il perché, sarà necessario che le stesse insegnanti, attraverso un lavoro di attenta osservazione, cerchino di capire cosa possa aver provocato la reazione. Ricordiamoci che spesso un qualcosa di estremamente insignificante per noi, può essere un qualcosa di estremamente fastidioso o terrificante per un bambino con autismo. Una volta capito il perché, si potrà spiegare anche ai bimbi.

Per esempio: Maestra stavamo solo giocando ad acchiapparella e Luca senza motivo mi ha morso, ma perché? Probabilmente il correre in maniera caotica e le urla hanno sovraccaricato a livello sensoriale Luca, o il compagno ha strillato in maniera molto acuta spaventandolo. Le possibilità sono davvero infinite, e anche qui mi ritrovo a sottolineare l’importanza di conoscere e comprendere il bambino con autismo che abbiamo di fronte.

Martina è una bambina con autismo che tollera poco la confusione, i suoi compagni di classe chiedono alla maestra: “Perché non possiamo giocare tutti insieme con Martina ma solo uno o due per volta?”. Anche qui basterà far osservare al compagno di classe di Martina quanto caos si crea durante i momenti di gioco libero, e noi sappiamo già quanto a lei il caos non piaccia! Quando direte ai compagni di Martina che lei “deve imparare a giocare”, probabilmente vi troverete davanti dei bambini increduli, giocare è una cosa così bella e naturale che risulta difficile immaginarsi di doverla imparare proprio come si impara la matematica! A questo punto entreranno in nostro aiuto gli esempi pratici: prima di giocare a nascondino hai dovuto imparare le regole del gioco, prima di colorare un disegno hai dovuto imparare ad usare il pennarello, prima di costruire quel bel castello hai dovuto imparare come si faceva, e così via. Anche Martina deve imparare a giocare ma se cercassimo di insegnarglielo tutti insieme si creerebbe proprio una grande confusione, quindi meglio uno o due bambini per volta.

Far capire al gruppo dei pari quali sono le caratteristiche del compagno con autismo e spiegare il perché spesso si comporta in quel modo “bizzarro” ai loro occhi, è il modo più chiaro e semplice per sciogliere con serenità tutti i loro dubbi.

Spesso, per paura di sbagliare o di non essere in grado di spiegare una cosa così difficile e complessa, siamo proprio noi adulti a trasmettere il messaggio sbagliato. I bambini imparano da noi e tutti noi abbiamo il dovere di spiegargli che la diversità non ci deve spaventare ma piuttosto è un’enorme fonte di ricchezza e, soprattutto, che in fondo non siamo poi così diversi!

Questi sono solo alcuni esempi, ad ogni modo se avete un bambino con autismo in classe, avrete sicuramente anche una terapista che lo segue e lo conosce. Organizzare incontri con genitori, terapisti e insegnanti è fondamentale, la terapista potrà darvi preziosi consigli e aiuti su come interpretare e gestire i comportamenti del bambino. La comunicazione e lo scambio sono strumenti potentissimi per migliore la qualità di vita non solo del bambino autistico, ma di tutte le figure che gli ruotano intorno, adulti e gruppo dei pari.

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Come spiegare l'autismo ai compagni di classe?

Far capire al gruppo dei pari quali sono le caratteristiche del compagno con autismo e spiegare il perché spesso si comporta in quel modo “bizzarro” ai loro occhi, è il modo più chiaro e semplice per sciogliere con serenità tutti i loro dubbi.

A cosa è dovuto l'autismo?

Le cause dell'autismo, oggi, sono ancora sconosciute. La maggioranza dei ricercatori, comunque, è d'accordo nell'affermare che esse possano essere genetiche ma che alla comparsa di questa patologia concorrano ancora cause neurobiologiche e fattori di rischio ambientali.

Perché l'autismo non è una malattia?

Uno riguarda la definizione stessa: l'autismo non è una malattia ma il sintomo/quadro sintomatologico di un insieme di condizioni, i disturbi dello spettro autistico, appunto.

Quali sono i disturbi dello spettro autistico?

I disturbi dello spettro autistico sono condizioni nelle quali le persone hanno difficoltà a stabilire relazioni sociali normali, usano il linguaggio in modo anomalo o non parlano affatto e presentano comportamenti limitati e ripetitivi. Inoltre, manifestano difficoltà di comunicazione e relazione con gli altri.