Teoria dei media e cultura visuale unito

Scarica Appunti teoria dei media e cultura visuale e più Appunti in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! 1 TEORIA DEI MEDIA E CULTURA VISUALE 4/02/2019 I media sono i vettori di quest’epoca e i fautori della globalizzazione. ANALFABETISMO MEDIATICO E ICONICO 7 ore e mezzo al giorno davanti a schermi in tutta Europa; 4 ore davanti alla tv in Italia; il fatto che si abbia familiarità con gli schermi e rapidità di comprensione non significa che: 1. sia un medium semplice o più semplice di altri, 2. vi sia consapevolezza della sua complessità, 3. si sia in grado di gestire questa complessità, 4. se ne conoscano limiti e potenzialità e 5. che questa conoscenza sia profonda. La profondità è cercare di riconoscere l’intenzione che vi è dietro l’immagine; capito questo sono io che scelgo se continuare a guardare l’immagine o meno. La profondità, dunque, è capire la funzione che l’immagine ha in questa società e in questa cultura. Semplicità apparente della materia: le immagini hanno intrinsecamente una molteplicità di relazioni. MEDIA: medium, -ii = strumento, mezzo. Oggi questo termine viene usato in questa accezione grazie a McLuhan. È un errore credere che siano strumenti più semplici di altri. INVISIBILITÀ DELL’EVIDENZA: le immagini hanno stratificazioni di senso e diversi macro livelli di comprensione che costituiscono i limiti e i rischi della cultura iconocentrica. 1. Gran parte del nostro apprendimento avviene attraverso le immagini 2. Siamo influenzati dalle immagini anche se non lo vogliamo o non poniamo attenzione più di tanto. Vi sono strategie che mirano ad attirare la nostra attenzione che viene comprata e venduta. VISIVO STATICO: fotografie, giochi di colori, forme… VISIVO DINAMICO: relazioni degli elementi che cambiano. DIMENSIONE SONORA: parole, musiche, rumori, silenzio (anche gli elementi uditivi hanno sviluppo temporali). MONTAGGIO: accostamento di due immagini. I criteri su cui si basano questi accostamenti sono complessi, non danno solo vita ad una storia, ma soprattutto ad una molteplicità di significati anche complessi e astratti  MONTAGGIO INTELLETTUALE1 Orientamento verso una interpretazione dell’immagine o un’altra. Estetica = percepire, sentire, pensare. 1 V. Montaggio intellettuale Ejzenstein, p. 55. 2 5/02/2019 MEDIA: Importanti mezzi che compiono una mediazione tra noi e il mondo. Il nostro modo di osservare il mondo, di guardarlo e di percepirlo visivamente, di interpretarlo, con l’avvento dei media (trattasi di cultura visuale, delle immagini) è radicalmente cambiato. I principi su cui fondiamo la nostra interpretazione sono imparagonabili a quelli in possesso delle generazioni precedenti l’avvento dei media. Il modo in cui vediamo/guardiamo/interpretiamo il mondo sono storicamente determinati da fattori connessi gli uni agli altri, fattori di tipo culturale e che riguardano i mezzi con cui ci rapportiamo alla realtà. Le immagini, oggi, costituiscono il 90% dei contenuti ai quali ci esponiamo per più di 7 ore al giorno, quindi hanno avuto un ruolo fondamentale nella radicale trasformazione della nostra percezione del mondo; si tratta di immagini profondamente diverse da quelle pittoriche, totalmente differenti da quelle di cui ha fruito l’umanità per la maggior parte della sua storia. Walter Benjamin (filosofo, da pronunciare VALTER BENIAMIN se no caga il cazzo) è stato tra i primi ad interrogarsi sulle trasformazioni indotte dai media nella percezione, nella sensibilità e nei pensieri umani. Nel 1936, sosteneva che la riproducibilità tecnica delle immagini determina una situazione inedita, le immagini proliferano a partire dall’avvento della fotografia (metà 800) e del cinema (fine 8002). Alcuni studiosi hanno fatto una stima per rendere conto della immensa portata di trasformazioni dovuta alla riproducibilità tecnica delle immagini: quante immagini si vedevano nei secoli passati in media? Più si va indietro nel tempo, più il calcolo si fa esiguo: infatti, la stima non si può più fare sulla giornata, ma nell’intera vita di una persona: nel Medioevo si tratta di qualche decina di immagini IN UNA VITA (affreschi, bassorilievi, iconografia religiosa), mentre oggi migliaia al giorno. L’idea che noi abbiamo del mondo è data da immagini, mentre prima della riproducibilità tecnica, della fotografia e del cinema, il rapporto con la realtà era diretto, privo o quasi di mediazioni; oggi, con la riproducibilità tecnica, il rapporto con la realtà è un rapporto mediato, indiretto. Grazie alle immagini, possiamo vivere un’esperienza indiretta, mediata, che si avvale della mediazione delle immagini, di un altro che è stato là al posto nostro e ci mostra ciò che ha visto e vissuto. Da questa esperienza mediata apprendiamo qualcosa, ricaviamo un’interpretazione, ci facciamo un’idea e su di essa si fonda una conoscenza, un apprendimento, un pensiero della realtà. Questa è una condizione ormai naturale, per noi scontata. Apprendere attraverso le immagini costituisce un divario enorme con le generazioni passate. Siamo portati a credere che ciò che è familiare sia normale e ciò che è normale è naturale, quindi non artificiale, mentre l’artificio ESISTE ed è quello della tecnica, del medium, dello strumento tecnologico. 2 28/12/1895: i fratelli Lumière fanno nascere il cinema, proiettando la prima pellicola a pagamento. In realtà, negli anni precedenti, c’erano stati una serie di passaggi ed esperimenti. Si tratta, quindi, di una data convenzionale, per dare suggestione alla leggenda. Gli spettatori erano scioccati (si trattava della ripresa di un treno che arrivava in stazione e le immagini erano talmente realistiche che sembrava di essere investiti dalla macchina). 5 nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio.” Si parla delle ere in cui soprattutto le tecnologie si evolvono per la mobilità, in assenza di elettricità. Abbiamo diversi mezzi di trasporto: invenzione del motore a scoppio, del treno. La mobilità permette un minor tempo per percorrere distanze molto grandi. Queste tecnologie dei trasporti sono dei media meccanici che intervengono nel nostro rapporto con il mondo, lo mediano in un modo specifico, come se potessimo estendere il nostro corpo e potenziare le nostre gambe, rendendoci più veloci nelle relazioni che abbiamo con il mondo, accorciando le distanze (estensione del corpo). Poi, grazie alla globalizzazione e alla diffusione intensiva delle tecnologie e dei saperi, si aggiunge l’elettricità che permette la nascita e la diffusione del cinema, della radio, della televisione e la loro possibilità di offrirci un’esperienza di qualcosa, di fatti e avvenimenti che accadono lontano da noi nello spazio e nel tempo. Oggi viviamo nella istantaneità dei fatti e avvenimenti che accadono a centinaia di km da noi, c’è un’estensione in senso spaziale del nostro corpo e del nostro cervello e un’intensificazione dei nostri sensi. McLuhan parla di villaggio globale, quando ancora non si parlava di globalizzazione (anni ’90). L’estetica dello shock di Walter Benjamin è un concetto che si sviluppa a partire dalla influenza sulla nostra emotività: lo shock non ha a che fare solo con i sensi, ma con il sentire in generale, con l’emotività (AFFETTIVITÀ), assistiamo ad un bombardamento emotivo e si trasforma una parte fondamentale della nostra psiche. Il SENSORIUM è il nostro apparato sensibile. I nostri sensi sono legati alla sfera emotiva, alla mente, alla psiche. Non si può parlare di media, di estetica, senza parlare della nostra capacità di sentire, facoltà legata al pensiero più di quella percettiva. 11/02/2019 LA CULTURA DEI MEDIA I media sono capaci di trasformare storicamente l’esperienza sensibile, sottoponendo l’individuo moderno ad un autentico “training del sensorio”, che è proprio di una cultura non più logocentrica ed incentrata sull’aura, ma fondata sullo choc. (Walter Benjamin) Questi termini vengono usati con un preciso ordine, dall’esterno all’interno, dal contatto degli organi percettivi alla sensazione, perché dopo il contatto può esserci una neutralità (rarissimo, perché quasi sempre si ha un gradimento o meno). Può avvenire il contatto con la memoria, legato all’edificio del pensiero; memoria ed immaginazione ben conducono all’emotività e a livello emotivo viene chiamato in causa il nostro tipo di pensiero. I media attivano in maniera potente nell’individuo un training del sensorio, un allenamento, uno sviluppo di capacità nuove che erano in potenza ma non in atto. Questo è l’esercizio più praticato dagli esseri umani da quando esistono la riproducibilità tecnica, i media tecnologici, da quando si è passati dall’era della meccanica all’era dell’elettricità. Si tratta di fenomeni tipici di una cultura non più logocentrica, ma di una cultura nella quale le immagini hanno preso il sopravvento su tutto e sono diventate dominanti, in termini quantitativi, e influenzano il modo e la qualità del pensare e del sentire. La nostra è una cultura iconocentrica. Si 6 parla di svolta iconica della cultura (Minotti, Simaini, Cultura visuale) che, dagli anni ’20 del ‘900, è oggetto di diversi ambiti di studi. Benjamin insiste su come l’avvento di questa cultura abbia determinato lo choc percettivo che consiste in una saturazione percettiva: le capacità percettive ed interpretative dell’individuo vengono messe a dura prova da questa rapidità. AURA: uno dei concetti chiave, insieme a quello di choc, introdotto da Benjamin, che spiega le conseguenze concrete del passaggio dalla cultura logocentrica alla cultura iconocentrica. Quando non esisteva la riproducibilità tecnica delle immagini, l’opera di Leonardo Da Vinci era già al Louvre: per poterla vedere, ammirare e contemplare, bisognava recarsi al museo. Era possibile vederne delle copie, ma sempre brutte e imprecise. OGGI, tutti noi abbiamo conoscenza del quadro, pur non essendo stati al Louvre: le immagini è possibile vederle ovunque. Non siamo più noi che dobbiamo raggiungere l’opera fisicamente, per vederla, ma è l’immagine che raggiunge noi ovunque ci troviamo. L’aura è quindi un valore di CULTO, CULTUALE, cioè molto simile alle funzioni originarie delle immagini magico-religiose, propiziatorie. La funzione cultuale si trasforma e si laicizza (si sgancia dalla religione), si emancipa dal portato puramente religioso; rimane però il valore di culto, per cui l’opera è il frutto dell’ingegno umano, frutto di ispirazione dell’artista. L’aura è legata alla presenza contemporanea del fruitore dell’opera e l’opera stessa, legata all’hic et nunc. Queste due coordinate spazio-temporali sono fondamentali: sono i due fattori che determinano l’aura dell’opera, la fisicità, la concretezza, la materialità degli spostamenti. Il senso dello spazio è cambiato moltissimo con l’avvento dei media e tutto questo viene spazzato via. L’avvento della modernità estetica coincide con lo scomparire dell’aura. Se è così consueto vedere immagini e abbiamo grande familiarità con esse, il valore cultuale viene totalmente eliminato e subentra un nuovo valore: il valore ESPOSITIVO, vale a dire la possibilità che un’immagine ha di essere esposta al pubblico. Diventa un valore perché si entra in una logica di mercato, si passa da una dimensione qualitativa dell’originale a una dimensione quantitativa. La riproducibilità tecnica sorge dal momento in cui da un negativo di pellicola possono essere stampate un numero potenzialmente infinito di copie (cinema e fotografia). Non esiste più alcun originale, sono innumerevoli copie tutte considerabili come originale, viene meno sia concretamente e materialmente, sia dal punto di vista del sentire comune, del modo che oggi abbiamo di rapportarci alle immagini. A partire da questo momento, la cultura diventa un’industria: l’aura non c’entra più niente, l’hic et nunc non contano più; ciò che conta è quanti spettatori le mie immagini riescono a raggiungere. L’industria, oggi, deve fare i conti con la nostra visione nella distrazione, deve perciò produrre immagini che scuotano dalla distrazione e provochino uno choc non solo percettivo, ma soprattutto emotivo (vanno a colpire eros e thanatos). La saturazione percettiva fa sì che l’occhio si abitui alla velocità, al punto da avvertire la necessità di velocità delle immagini. Il training sensorio ha funzionato. La mente ama le emozioni forti, seppur negative. Ciò che è forte, storicamente cambia. Quello che oggi è forte, fra 40 anni non sarà considerato tale. Si vede qualcosa di forte, il bisogno mentale di emozioni forti viene appagato, 7 ne consegue un successo del film (passaparola), aumenta il numero di copie di quel film (valore espositivo). Allora altri competitor vedono che un certo “ingrediente” genera il successo e imitano. I film successivi devono essere sempre più espliciti, ampliare ulteriormente perché il pubblico è assuefatto, quindi bisogna andare in contro ai suoi bisogni. La nostra è diventata una società in cui lo spettacolo può prendere la strada del vedere, del guardare oppure quella che va in contro al bisogno fondamentale della mente di provare emozioni forti, quindi asseconda questo bisogno. Ecco che subentra la spettacolarizzazione, o sensazionalismo. Tendenza storica che pervade tutti i media (es. telegiornali). Ciò che ha un valore ed è soggetto a compravendita non è tano l’immagine, ma la nostra attenzione. Quello che si genera è un clima di assuefazione a tutto, non ci si impressiona più di fronte a nulla, si rimane indifferenti. Questa indifferenza comporta dei problemi seri: ne Il secolo degli spettatori, Bauman ci dice che oggi non possiamo più giustificarci di fronte alla nostra inerzia, non possiamo più nasconderci dietro lo schermo dell’ignoranza perché tutti sappiamo, tutti siamo al corrente di quello che accade nel mondo. Bauman sostiene che i media comprino la nostra attenzione e ci diano le notizie (molto dipende da come ce le danno). Il tipo di rapporto che noi instauriamo con la realtà è sempre più di indifferenza. Il secolo degli spettatori è il secolo in cui i media ci pongono di fronte a un’immensa sfida etica: siamo sempre più spettatori di questo mondo e meno cittadini del mondo. 12/02/201 I media non sono soltanto un’estensione del nostro sistema fisico e nervoso, anzi sono fondati sullo choc non tanto percettivo, quanto emotivo. Lo choc sottopone la nostra emotività ad una tensione continua, ad una prova continua, attraverso rappresentazioni di eros e thanatos. L’industria culturale si fonda sullo choc, dando a questa parola un’accezione vasta e complessa come quella introdotta da Walter Benjamin: non è qualcosa di temporaneo e transitorio, ma un training del sensorio (percezione sensoriale e sensibilità ed emotività). MEDIUM: un insieme costituito non solo dai supporti materiali a cui fa ricorso per visualizzare una determinata tipologia di immagini (fotografiche, cinematografiche, ecc.) ma anche le tecniche che possono essere esercitate su tali supporti. Es. medium del cinema: insieme dei supporti che rendono possibile registrare e visualizzare delle immagini cinematografiche (pellicola, file digitali4, schermi5) e delle tecniche che si possono utilizzare su tali supporti (ripresa6, sviluppo, montaggio7, post-produzione, proiezione, ecc.). Tutte queste variabile si compongono in maniera differente a seconda della interpretazione che l’autore vuole dare dei fatti: gli elementi dialogano tra di loro e intessono la complessità dell’insieme e questa possibilità è offerta dal mezzo tecnico. Perciò il medium non riguarda soltanto il supporto 4 Produzione delle immagini. 5 Fruizione delle immagini. 6 Fase complessa che riguarda altri criteri di scelta specifici a seconda del tipo di interpretazione che un autore vuole offrire di un fatto. 7 Scelta dei criteri secondo i quali accostare le immagini. 10 strategie dell’immediatezza, sia là dove a essere applicata è la strategia opposta, dell’ipermediazione. A contraddistinguere la produzione estetica è oggi la facilità con cui un testo si reincarna in un medium diverso da quello originario. Il transmedia story-telling diventa un tema chiave negli ultimi 10 anni, ma di fatto è sempre esistito dall’avvento della fotografia e del cinema in avanti. Le storie sono transitate dalla letteratura al cinema. Dagli anni ’10 del ‘900, Verga scriveva sceneggiature per il cinema; Pirandello negli anni’20; D’Annunzio si presta al cinema per pagare i propri debiti. In Francia, dagli anni ’10, si cerca di sfruttare il successo di opere teatrali e romanzesche (romanzi come Les Miserables). I primi scrittori che si occupano di cinema e di fotografia (v. Emile Zola) si appassionano a questi mezzi tecnologici, innovativi, di rappresentazione della realtà e li sfruttano come tecnica di scrittura, iniziano ad abbondare le descrizioni nei romanzi (v. L’Assommoir, Emile Zola). Vi è la necessità di restituire al lettore con precisione la realtà di una scena, di un ambiente. L’avvento della cultura visuale trasforma i codici semiotici, si decreta la morte della pittura realistica e nasce la pittura astratta (passaggio segnato dall’Impressionismo): non ha più senso rappresentare la realtà con minuzia, perché per questo esiste già la fotografia, perciò sorge la grande stagione della pittura astratta, dell’Astrattismo. I fenomeni culturali, infatti, non sono mai casuali: la complessità10 dell’ecosistema culturale viene perturbato dall’avvento della riproducibilità tecnica delle immagini. Pertanto, è necessario considerare il contesto storico di queste innovazioni. I codici semiotici vengono mutati in questo ecosistema e con l’avvento della digitalizzazione sono sottoposti ad una nuova stagione di rinnovamento reciproco, innovativo e integrato. Con questa convergenza, è evidente che il contenuto dei media digitali sono tutti gli altri media, perché il digitale è trasversale a tutti i media, non c’è più nessun medium tecnologico che non sia digitale (fotografia, cinema, TV). La nostra relazione con la realtà non è più pensabile in termini diretti, ma ciò che accade in un medium viene costantemente trasformato e circola in tutti gli altri media (es. notizia appare su un quotidiano online e inizia a circolare nei social, in internet, nei blog e qualcuno ci scrive su una storia): il rapporto con la realtà subisce una serie di intermediazioni plurime in questo circolo vorticoso. A distinguere i prodotti della cultura dei media è la facilità con cui un testo11 circola e attraversa media differenti, trasformandosi, reincarnandosi e rigenerandosi, venendo plasmato dal nuovo medium. Il testo è riconoscibile ma è mutato. L’ESPERIENZA MEDIATA I media come strumenti di una mediazione, un tramite tra noi e il mondo, mezzi di conoscenza e mezzi di comprensione (Cultura dei media, Montani). Non esiste una rappresentazione oggettiva della realtà. Un mezzo può rivelare in maniera PROPRIA la realtà, diversamente dagli altri media? Es. Il cinema rappresenta solo la realtà o la rivela? E questa rivelazione è autentica o trasformata? 10 Da cum pleto: intreccio insieme di diversi elementi 11 Non parlando più di cultura logocentrica, legata alla parola, ma di cultura visuale, “il testo” assume un’estensione del significato: diventa format, prodotto multimediale, immagine, film, una puntata di una serie. 11 Questa conoscenza si differenzia molto da quella scientifica, è un tipo di conoscenza specifica, con sue peculiari regole, processi e fenomeni e questa conoscenza si chiama comprensione, esperienza estetica. Mass media communication: funzione di mediazione regolata da istanze (esperienza mediata). Riguarda soprattutto l’esperienza mediata e non la remediation. Gli studi sulla mass media communication sono molto incentrati sulla comunicazione intesa secondo un’accezione logocentrica, fondata sulla parola. I cinema sono in fase di grande sviluppo, ma l’ottica che si adotta sui mezzi di comunicazione di massa è quella di una trasmissione di messaggi. Da questo tipo di studi emerge una funzione svolta dai media di rappresentazione della realtà regolata da alcune istanze precise: es. ci sono istanze precise in quanto, in questa prima fase della storia dei media, ci sono dei sistemi gestiti da produttori, imprenditori che offrono ad una massa indifferenziata di spettatori dei messaggi, decidono i produttori e gli autori quali messaggi fare circolare e come. Per garantirsi i profitti dell’industria culturale, i prodotti devono rispondere a determinate caratteristiche, in termini di contenuti, per garantirne il successo. La comunicazione avviene dall’alto, è a senso unico, si rivolge ad un pubblico indifferenziato: LA MASSA, con una astrazione che è quella definita come spettatore medio. Oltre alla nozione di comunicazione dei messaggi, c’è la questione del messaggio che parte dall’alto. Nella fase attuale, quella dei nuovi media, in cui i social hanno un’ importanza fondamentale, i media svolgono un ruolo di intermediazione tra noi e la realtà non più regolato da istanze: sul piano legislativo ci si imbatte in una questione di libertà di espressione che si faceva sentire nel secolo scorso, ma con l’avvento dei new media, del digitale, avviene un cambiamento e la libertà di espressione deve essere garantita in un panorama in cui la comunicazione (lo scambio di file, di testi, ipertesti, testi multimediali) diventa BIdirezionale. Le testate giornalistiche e i vecchi media permangono accanto ai nuovi, ma si trasformano moltissimo, mutano i loro codici continuamente perché ci si trova nell’epoca della rimediazione, in cui tutto è soggetto ad una metamorfosi perenne. Le istanze regolatrici (giuridiche e non) faticano a stare al passo con tutte le trasformazioni. Ci si trova di fronte ad un sistema molto fluido. La nozione di flusso (Bauman) intende dire che ci sono flussi di simboli, di forme, di codici, di format che circolano continuamente nel media escape. Non siamo solo spettatori passivi, si parla di utente  si sintetizzano due concetti: spettatore e produttore. L’utente può concorrere a manifestare la sua opinione, è una forma di interazione indiretta. L’evoluzione tecnologica è sempre più autonoma, incontrollabile e sfugge a ogni istanza regolatrice. Essa ha aperto possibilità inedite all’esperienza, al pensiero e alla conoscenza. La nostra cultura tecnocratica ha modificato i nostri stili di vita e i nostri modi di esperire e pensare il reale. Di più: le tecnologie sono divenute una necessità per la sopravvivenza. 12 18/02/2019 QUARTO POTERE, ORSON WELLES (1941) 19/02/2019 Uno dei film più importanti della storia del cinema, considerato uno dei capolavori del cinema americano. Orson Welles è stato uno dei primi a riflettere sulla novità tecniche introdotte. Quarto potere affronta uno dei nodi principali avvenuto con l’avvento dei media, nodi ancora irrisolti, che segnano la nostra epoca: il rapporto tra media, cultura e società. Autorevolezza dei media presso l’opinione pubblica, problema che emerge soprattutto in cui si mostrano la falsità e la manipolazione della realtà. 1940-1941 – Siamo nell’epoca della mass media communication, la comunicazione tra informazione giornalistica è a senso unico. La funzione di mediazione è regolata da istanze che vengono decise e stabilite dai comunicatori in primis e i comunicatori sono coloro che detengono un potere immenso. Dal film emerge la questione delle fake news, questione, oggi, tra le più rilevanti per cui si cerca di trovare delle soluzioni. False notizie prodotte anche dal pubblico che entra nei social, in rete, ecc, ma non si tratta di un problema superato perché si è passati in una nuova fase del processo di trasformazione dei media. Problema che deriva dalla gestione del potere, orientando l’opinione pubblica in una direzione piuttosto che in un’altra. In questo film abbiamo una rappresentazione molto critica del rapporto che si istituisce tra i media, la società e la cultura, con implicazioni specialmente di carattere economico e politico, ma anche giuridico: bisogna pensare che Citizen Kane affronta uno dei problemi principali delle democrazie nella tarda modernità, il problema della autonomia dei poteri dello stato. Una volta tanto, la traduzione non letterale di un titolo di un’opera risulta efficace nel cogliere l’essenza dell’opera stessa. Quarto potere fa riferimento al potere dei media, che si aggiunge agli altri tre, teorizzati da Montesquieu per porre le basi del concetto di Democrazia (legislativo, esecutivo, giudiziario). I tre poteri restano autonomi e indipendenti per potersi bilanciare reciprocamente, si tratta di un sistema con un equilibrio dinamico. Il film si riferisce alla carta stampata (che ancora oggi mantiene una certa importanza, seppur si tratti di “stampa online”) e quando i media entrano nella scena dei sistemi democratici, tali sistemi vengono minacciati. Ciò che Welles rileva è come l’avvento dei media intervenga sulla opinione pubblica con una influenza di carattere politico molto rilevante. Vengono rappresentati in maniera molto critica alcuni dei problemi chiave delle democrazie, ovvero l’influenza dei media sulla opinione pubblica, il venire meno della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, il destino politico ed economico viene decretato a partire dalle informazioni che circolano sulla vita privata delle personalità pubbliche. La distinzione tra le due sfere viene abbattuta dall’avvento dei media. 15 creare un gioco per cui gli scrittori sono consapevoli dell’autonomia e della libertà di ciascun lettore. Da qui la delusione che si manifesta quando si guarda un film tratto da un libro. L’immaginazione è sempre vaga, mai precisa. Evocare contiene in sé il portato di vaghezza, di indefinitezza. Le immagini sono precise, sono una registrazione di qualcosa di reale, di persone in carne ed ossa, di ambienti specifici. Al contrario di quanto accade per un testo teatrale, i tre elementi che costituiscono la struttura drammaturgica di un film o di un qualsiasi audiovisivo devono essere depositati in una sceneggiatura, su un testo scritto che non è un’opera, ma è una fase della produzione di un’opera, è uno strumento di lavoro, ma non ha una sua dignità di opera 12. La drammaturgia si fonda sull’azione e sulla parola13 nell’ambito del teatro, in cui questa architettura può ben definire i personaggi e l’opera: la parola, il dialogo, il monologo hanno una funzione chiave nel teatro. La psicologia del personaggi, nel teatro, si manifesta attraverso le parole che pronuncia e le azioni che compie. Lo spettatore vede l’intero svolgimento dell’azione, può osservare autonomamente su quali dettagli concentrarsi, ma l’azione si dispiega nella sua integrità dinanzi gli occhi dello spettatore, cosa che viene meno nel cinema, poiché guida costantemente lo sguardo dello spettatore lungo percorsi prestabiliti, perciò il cinema è arte visiva E spettacolo: la visione ha un ruolo chiave e fa la differenza nell’ambito della drammaturgia. Il cinema non si fonda sul binomio azione-parola, ma azione-movimento. Nel cinema, il personaggio non è quello scritto nella sceneggiatura, ma proprio per l’importanza dell’aspetto visuale accade che il personaggio è piuttosto quello creato dall’attore che non dallo sceneggiatore: è lo sceneggiatore che scrive dei personaggi su misura di certi attori. Il personaggio prende vita soltanto grazie all’attore. La sceneggiatura non è in sé un’opera, ma è una struttura che vuole essere altra struttura, una struttura scritta che si prepara ad essere una struttura visiva. Perciò non è il testo teatrale, è uno strumento, una fase di elaborazione di un film. A teatro, invece, il testo scritto è già opera. Quarto potere: “un giallo metafisico”14 che consiste nella rappresentazione di qualcosa di misterioso, da cui si dipana una storia incentrata su un personaggio, attorno al quale ruotano diversi altri personaggi. L’ambiente che ci viene mostrato è il contesto dell’alta borghesia imprenditoriale statunitense, negli anni ’40. La struttura drammaturgica non segue uno sviluppo cronologico lineare: parte dalla morte per ricostruire tutta la vita e ciò rappresenta una novità, è un film che si sottrae alle convenzioni rappresentative di allora, ma anche al codice emanato da Hollywood a tutela della autonomia degli autori, tutela che si fondava sulla semplicità, sulla facilità di comprensione (struttura drammaturgica lineare). Nel film, ci sono parti molto diverse le une dalle altre, eterogenee, nemmeno il flashback in sé è lineare, ma viene realizzato una sorta di mosaico, nel quale ogni intervista costituisce una tessera del mosaico che tenta di comporre il ritratto di Kane, rispondendo alla domanda: chi minchia è chistu? Struttura a mosaico molto interessante perché esprime in maniera efficace la complessità 12 Paradosso individuato da Pasolini. 13 Pirandello usava l’espressione azione parlata. 14 Borges 16 umana di questo personaggio: un’identità fatta di tante cose diverse perché c’è il ragazzo ribelle, il direttore di giornale straordinario che introduce delle novità, l’amico megalomane, il marito arido, un padrone eccentrico15. Tutte sfaccettature in contrasto le une con le altre, al punto che ciascuna prospettiva illumina una delle facce di Welles (metodo compositivo che all’epoca non ha eguali). Il giallo consiste nello scoprire una identità che sfugge da tutte le parti, che confonde lo spettatore. Viene fuori un ritratto straordinario della complessità umana con un forte realismo. Il giallo è chi fosse Kane, il grande mistero dell’identità umana. L’aggettivo “metafisico” si riferisce proprio alla struttura così complessa, tortuosa e disagevole da percorrere. Noi entriamo nella psiche di Kane, entriamo in una dimensione che ha molto a che fare con il ricordo, con il sentimento, con i nodi irrisolti e i traumi. Siamo nella dimensione dell’inconscio. C’è una dimensione sociale e politica che è quella che appare di più, quella macroscopica, ma parliamo di giallo metafisico perché entriamo nella mente16, dando rilievo alla parte più profonda della psiche. Il giallo metafisico finisce con Rosebud, parola pronunciata in punto di morte: era un ricordo legato alla sua infanzia, viene fuori l’elemento di vulnerabilità su cui ha costruito tutto se stesso, il suo dispotismo, il suo successo, la sua aridità con le donne; il momento di spontaneità, felicità e spensieratezza che coincide con il trauma che vive (venire strappato ai suoi genitori associato al loro rifiuto, credere che i genitori non lo amassero, al punto da volerlo allontanare). La parola chiave che apre e chiude il film in maniera emblematica è la chiave di lettura del ritratto psicologico di Kane e la risposta alla domanda è Kane, è quella ferita, quel trauma che ha determinato quel raggelamento dei sentimenti (neve), ha determinato la freddezza calcolatrice e cinica dell’imprenditore. 25/02/2019 Se si utilizzasse una sola delle due teorie (centripeta o centrifuga), si avrebbe una visione “monca” del quadro, si cerca invece un equilibrio tra i due orientamenti. I media sono strumenti che servono a mediare, a fare da intermediari tra noi e il mondo (McLuhan) e in questa funzione mediatrice possono essere utilizzati in un’infinità di modi diversi e, secondo il modo che scegliamo, possiamo provocare delle conseguenze positive o negative che non appartengono allo strumento in sé, ma appartengono al modo in cui lo si usa. I media hanno in sé delle intrinseche qualità negative. C’è una sorta di demonizzazione dei media che fa dire che i media non sono strumenti che possano favorire la fioritura della cultura, di grandi opere, ma sono necessariamente destinati ad una cultura bassa, popolare, scarsa di contenuti, a bassa densità di senso e di significato. Si radica, in questo modo, un pregiudizio dagli anni ’40 in poi, specialmente tra le élite colte che studiano i media da questa prospettiva: ne mettono in luce il degrado culturale e tutto quanto c’è di banale in essi. Trattasi di una prospettiva che ha fatto emergere dei fenomeni reali, tuttavia è una prospettiva 15 V. Pirandello: Uno, nessuno, centomila. 16 V. De Chirico. 17 fra le molte, diversa da quella di McLuhan (più equilibrata: sono strumenti che in se stessi non hanno nulla da demonizzare, ma dipende dall’uso che se ne fa). L’esistenza, la diffusione e la natura dei media determinano un primo ordine di problemi: 1) L’ESCLUSIONE SOCIALE: il possesso delle tecnologie segna l’inclusione o l’esclusione sociale. Non possedere queste tecnologie ci colloca ipso facto ai margini della società, così come possederle ma non saperle usare. La natura dei media è intrinsecamente sociale, le funzioni svolte dai media sono sempre state funzioni socioculturali. Diamo per scontata la diffusione dei media, al punto da non vederla e non renderci conto dell’esclusione sociale come conseguenza. Democrazia cognitiva: la disparità sociale determinata dalle tecnologie non è più solo di inclusione o esclusione sociale, ma di partecipazione democratica, di comprensione culturale e di gestione del pensiero e dell’azione. Le azioni che compiamo nella vita derivano dal modo di pensare che, a sua volta, deriva dalle influenze dei media. Specialmente per chi ha un basso livello di formazione e istruzione (o medio), la conoscenza viene acquisita attraverso i media. I molti dotati di tecnologia colgono solo informazioni isolate e sono incapaci di collocarle entro un sistema di conoscenza e di pensiero strutturati. Anche nelle società in cui la diffusione dei media è particolarmente ampia (Europa, USA, Australia, le grandi metropoli del mondo) accade che la maggior parte delle persone colgano soltanto una parte delle informazioni e il pensiero si destruttura sempre di più, siamo in preda ad una forma di pensiero rapsodica, flash di pensieri scollegati gli uni dagli altri, che raramente portano a verifiche e approfondimenti, e raramente comportano una messa in relazione di queste informazioni. Diventa nulla la capacità di confrontare queste informazioni e collocarle in una mappatura cognitiva, in un sistema di conoscenze che abbia un suo ordine, una sua struttura coerente. Questo tipo di approccio, massimamente diffuso che fa capire ‘na sega, non è quello che permette il massimo sfruttamento delle potenzialità dei media stessi. Questo tipo di impiego delle tecnologie è quello che si caratterizza attraverso un tipo di informazione estremamente sintetica: 1/2/3 frasi, senza soffermarsi, ciò che importa è la rapidità; si legge sempre di meno, i testi in internet sono sempre più brevi perché nessuno ha più pazienza di stare a leggere più di tanto, quindi si tende a scrivere in pochissime parole/frasi dei concetti estremamente vasti, banalizzandoli. Quest’ utilizzo non è certamente quello più consapevole e che permette il pieno sfruttamento delle possibilità e dei mezzi, ma è quello che si presta più facilmente alla manipolazione, alla mistificazione (politica -demagogia- ed economica -show business). Laddove c’è una bassa vastità di senso, laddove si ragiona per slogan, la capacità di riflessione, il pensiero articolato in maniera completa e complessa viene meno. C’è una diffusione molto vasta della conoscenza, molte più persone hanno accesso alla conoscenza rispetto al passato, quando la conoscenza era appannaggio di una ristretta élite, ma a caro prezzo: entrano in gioco la strumentalizzazione economica e politica. Un’altra possibilità di lettura che non ignora gli apporti di queste teorie, ma tende anche a cercare delle soluzioni è quella espressa da Edgar Morin ne La Via. Per l’avvenire dell’umanità: i media, specie con internet, sono diventati un sistema planetario che assomiglia a un gigantesco sistema neuro-cerebrale semi-artificiale, e che combina macchine e umani. Noi e lo strumento siamo un tutt’uno e costituiamo un nodo in questa rete globale che si è formata e che costituisce un 20 Un’altra strategia impiegata è la manicheizzazione. Il manicheismo è la tendenza a suddividere fenomeni, persone e fatti a partire da una distinzione tra il bene e il male. Questo è molto evidente nell’ambito della fiction, dove uno dei fenomeni più consolidati è la distinzione tra protagonisti con dei valori e delle qualità condivisibili e gli antagonisti brutti e cattivi. Già questa distinzione è un modo di interpretare la realtà secondo una visione manichea. Questo fenomeno avviene anche nell’ambito dell’informazione. La modernizzazione è un’altra delle strategie impiegate per la rappresentazione di fenomeni storici, ma che sono eterni, universali. Serve per interpretare fenomeni storici secondo la visione, gli ideali e i principi del momento in cui si vive. La modernizzazione nella cultura dei media è una nozione molto flessibile, non ha una periodizzazione precisa, si riferisce ad un determinato momento che può avere un’estensione di 2/3 anni, ma questa estensione diventa sempre più esigua perché è tipico della cultura dei media avere una prospettiva storica sempre più limitata dalle origini dei media ad oggi. Il moderno viene innalzato come vessillo di progresso, emancipazione, sviluppo = valore assoluto. Tutto ciò che non è moderno è negativo. Nell’ambito della cultura dei media, si è verificata l’attribuzione di un valore assoluto a ciò che è moderno17, rispetto a tutto il resto che moderno non è. Questo fenomeno è uno degli esiti più importanti dell’ideologia propria della cultura occidentale tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Il progresso riguarda molti fenomeni, diversi e vasti: l’ambito scientifico e tecnologico, ha valenza in ambito politico, nella diffusione del modello democratico come modello più evoluto e quindi capace di garantire diritti e libertà. Si tratta di fenomeni molto importanti nella società e nella cultura occidentale. Lo spirito del tempo ha a che fare con un certo modo di pensare di una determinata società in un momento storico, per cui chi è moderno è incluso nella società, cioè possiede tutta quella serie di qualità positive insite nella definizione di moderno; chi non è moderno è antiquato, emarginato, ha qualità negative. Ciò che è moderno, però, cambia in continuazione: ciò che per noi oggi è moderno, fra non molto tempo sarà visto come antiquato, arretrato. Per cui, la nozione di moderno è quanto di più relativo ci possa essere, ma è da noi investita di valore assoluto. Inclusione ed esclusione sociale sono nuovamente chiamate in causa. La cultura globale vive del senso di appartenenza alla società, al moderno, al presente. Dunque la modernizzazione è quella strategia attraverso cui si compie un lavoro di interpretazione della realtà molto importante: se si vedono i film storici, ci si rende conto del processo di modernizzazione delle diverse epoche (a seconda dell’ambientazione del film), per cui ciò che rimane dell’epoca non è altro che la ricostruzione degli ambienti, degli abiti, ma la sostanza interiore e più profonda è quella di una lettura della società di quell’epoca affine alla nostra. Fenomeno quasi di addomesticamento della storia, per renderla più comprensibile, più appetibile, più interessante, in modo tale da fare riconoscere lo spettatore nei personaggi  si vende meglio un film corretto dal punto di vista storico o uno modernizzato? Il concetto di attualizzazione entra in gioco nel momento in cui si esaspera la modernizzazione. Il modo in cui concepiamo il tempo è cambiato moltissimo dall’avvento dei media in avanti. Il fenomeno dell’attualizzazione determina un rinnovamento continuo di contenuti 17 Deriva da modum, avverbio latino che significa ora, adesso, quindi indica il presente. 21 e forme, il sistema dei media si genera, rigenera e autorigenera. La società dei media è una società che non ha memoria, vive sprofondata, immersa in una successione di istanti presenti che non hanno relazioni tra di loro (da un unto di vista cronologico). L’importante è vivere nell’istante presente, questa è la priorità: vuol dire essere moderni, alla moda, conoscere i trend, essere attuali. 27/02/2019 I media hanno creato una cultura condivisa della società-mondo e ne determina il senso di appartenenza. Il moderno come simbolo del progresso, dello sviluppo, dal punto di vista economico, politico e tecnologico è uno degli elementi alla base di questo senso di appartenenza. Lo spirito del tempo (Edgar Morin) riflette sul fenomeno della cultura globale, da non considerare solo in senso geografico. Si era in una situazione in cui le culture vivevano separatamente e poi è avvenuta la trasformazione, la globalizzazione, ma ciò non vuol dire che le culture si siano annullate. È vero, però, che la cultura globale ha determinato una massificazione, una standardizzazione della cultura e della società. La cultura globale vive di sincretismi culturali, cioè si nutre di peculiarità che derivano dalle culture tradizionali. Basti pensare agli apporti che la cultura visuale riceve da tutto il mondo e che risentono del retaggio di tradizioni culturali differenti, di storie plurisecolari specifiche. La cultura globale mette in circolazione molti elementi delle culture tradizionali e poi crea delle ibridazioni, degli intrecci tra elementi culturali appartenenti a tradizioni diverse (v. fenomeno del jazz). Con l’avvento dei media, spazio e tempo subiscono una trasformazione per ciò che concerne la nostra esperienza e la nostra cognizione del tempo e dello spazio  derivano in gran parte dai media. Il modo in cui noi facciamo esperienza del tempo e dello spazio è del tutto inedito rispetto alla storia dell’umanità che per millenni ha avuto concezioni del tempo e dello spazio stabili, prive di grandi trasformazioni; con l’avvento dei media, ciò che sperimentiamo essere il tempo e lo spazio è radicalmente cambiato. I media introducono un’esperienza non diretta e condivisa del mondo, condivisione che non ha precedenti nella storia; introducono un inedito rapporto (spaesato, errante, fluido) con lo spazio e con il tempo (immaginario e concreto), che si caratterizza con una confusione tra il qui e l’altrove, fusi e confusi insieme (es. per strada guardo un video ambientato in Australia: due posti diversi con mente e corpo). Si parla di dialettica tra reale e immaginario e Morin parlerà poi di dialogica, per cui le due entità dialogano, si influenzano reciprocamente. Tutta l’umanità è immessa in questo grande gioco dello scambio di comunicazione, di informazioni, dello scambio culturale, e sta diventando sempre più aperto a tutti. C’è uno sconfinamento perché c’è stata la standardizzazione già nella prima fase della storia dei media, durante la quale i media e la loro cultura venivano definiti mass media communication, caratterizzati da un forte conformismo. Ci sono, però, altrettanti fattori determinati dai media di inclusione sociale e uguaglianza. In questo inedito rapporto tra l’io e l’altro c’è anche una componente di tipo antropologico, cioè l’altro non è più soltanto il vicino di casa, ma è colui che si trova a New York o a Tokyo e non è più visto come un extraterrestre, lontano, sconosciuto, ma grazie ai media lo vedo più vicino a me, non vedo grosse differenze. Non siamo più così lontani da un abitante di Tokyo o uno di New York, perché pur rimanendo nel nostro luogo, l’avvertimento che abbiamo dell’altro ha molto a che vedere con un senso di familiarità, di similarità. L’altro non è 22 più un ignoto, uno sconosciuto come era una volta. La nostra società di comunicazione non è ancora una società di comprensione reciproca: permangono disuguaglianze e discriminazioni. Starà a noi rendere possibile la comprensione. La dimensione non concreta ma immateriale della cultura è il fattore che determina la trasformazione del sentire, anche nei confronti dell’altro; è altrettanto vero che materiale e immateriale rappresentano il binomio che ha determinato l’inedito rapporto con l’altro. La diffusione dei media ha portato non solo il venir meno dell’aura (v. Benjamin, “L’aura non c’è, è andata via”), ma si è determinato un senso di appartenenza, un qui ed ora immateriale.  Le cerimonie laiche attirano spettatori di tutto il mondo, vengono trasmesse in tv e tutti condividono la stessa esperienza: es. sbarco sulla Luna, un’esperienza che non si svolge sulla Terra, ma la visione crea un senso di appartenenza, si crea un’esperienza che si svolge simultaneamente per tutti e che determina un adesso e ora e proietta tutti in quell’ambiente altro, vissuto come un qui, non come un altro (+olimpiadi+oscar+matrimoni). La cultura mediale è uno dei primi fattori dell’avvento del processo di globalizzazione della cultura. Un tempo le connessioni tra individui e popoli erano di tipo locale: erano luoghi fisici in cui si instauravano connessioni sociali ed erano rarissime le connessioni con altri villaggi seppur vicini. Le connessioni di oggi, invece, sono di tipo globale, per cui si è determinata una comunità globale e, conseguentemente, un senso di appartenenza alla società-mondo, appartenente all’intera specie umana. Un tempo le connessioni erano quasi esclusivamente dirette, rapporti vis à vis, interpersonali, conflitti, corpo a corpo. Oggi, la stragrande maggioranza delle connessioni è indiretta, la situazione si è ribaltata completamente. Si tratta di fenomeni che hanno una storia breve, rispetto alla storia dell’umanità. La società un tempo era fortemente gerarchizzata e ciò determinava un tipo di connessione e comunicazione che avveniva tra pari, tra appartenenti ad uno stesso livello. Le comunicazioni che riguardavano le comunità erano verticali, arrivavano dall’alto, da chi deteneva la conoscenza, e riguardavano la politica, la fede religiosa, mentre oggi sono di tipo orizzontale: la società è meno gerarchizzata, la comunicazione non è più monodirezionale e questo la rende prevalentemente orizzontale. Le comunicazioni di oggi sono essenzialmente immateriali. LE NOZIONI DI CIVILTÀ E CULTURA Prima dell’avvento dei media, “civiltà” era una nozione che indicava le tecniche, gli oggetti, le abilità pratiche, i modi e i generi di vita. L’uso di determinati strumenti un tempo distingueva le civiltà le une dalle altre perché il loro utilizzo dà origine a determinate abilità. La nozione di civiltà tradizionalmente indica tutto ciò che è universalizzabile attraverso l’uso degli strumenti: l’impiego di uno strumento, specialmente quelli che sono un’estensione del corpo (ruota, automobile) e tutti gli strumenti che servono come mediazione fisica con l’ambiente, può essere facilmente condivisibile perché si apprende l’uso degli strumenti con una certa facilità, si apprendono delle pratiche, si cambia lo stile di vita con gli strumenti. La nozione di cultura riguarda i saperi, le credenze, le idee, i principi, i valori, i paradigmi, i miti, i simboli, le regole, le norme, i divieti. Tutto ciò che non ha a che fare con la dimensione 25 Senz’altro ci troviamo dinanzi un’inedita trasmissione del sapere. Le immagini diventano veicolo di elementi quali idee, nozioni, principi, valori. ELEMENTI DELLA NOOSFERA:  Presente (moderno, attualità, moda, trend, ecc.). Forme e contenuti delle immagini sono soggetti all’importanza del presente. Elementi a cui attribuiamo una preminenza, un valore più alto. Roma – Alfonso Cuaron : in bianco e nero perché riferito al passato, alla vita del registra. Tra le molte funzioni del bianco e nero vi è infatti la connotazione del passato, del flash back – che si distingue dal presente a colori.  Democrazia, laicità, realismo, tecnica, scienza, economia, materialismo, individualismo. Dagli anni ’20 in poi, il cinema hollywoodiano ha rappresentato un modello di vita della società di tipo democratico nel quale avevano importanza l’uguaglianza tra gli individui appartenenti a classi sociali differenti, ad etnie differenti, nel rapporto uomo – donna. Se si guarda in una prospettiva storica ampia nella storia dei media, vi è stata una progressiva rappresentazione di una società maggiormente democratica. La laicità è stato un altro degli elementi dominanti nei media, nella fiction, nell’informazione. L’importanza attribuita ad un certo realismo – quello occidentale. L’importanza assegnata alla scienza, alla tecnica, all’economia – come accade in Europa e negli Stati Uniti e non in altre culture. Ma la diffusione dei media nel corso del ‘900 ha determinato la diffusione, allo stesso modo, di questi elementi intesi come altrettanti principi, valori della società. La condivisione di tutti questi elementi della noosfera non esisteva prima dell’avvento dei media, oppure era scarsa; o era imposta più o meno violentamene dagli europei alle popolazioni autoctone. I media diffondono questi principi non imponendoli, bensì proponendoli. Wim Wenders: “Il cinema hollywoodiano, se osservato dalle origini fino ad oggi, non è altro che un immenso spot pubblicitario degli Stati Uniti” – cioè dell’american way of life. Individualismo: si attribuisce sempre più importanza alla capacità di autodeterminazione.  Ideologia e mitologia della felicità: dalle origini a oggi si è creata tale mitologia in cui sono fusi e confusi insieme molti elementi: la felicità è il benessere economico, sono i comfort che la tecnica e la scienza ci offrono – un aumento della qualità della vita. Ci sono anche dei valori individuati dagli studiosi come elementi impliciti che circolano nella noosfera: valori (salute, gioventù, ricchezza, potere, integrazione sociale) e loro crisi. 26 In un libro importante degli anni ’70 di Jean Baudrillard (“Lo scambio simbolico e la morte”) – uno degli esponenti del pensiero critico – ha fatto emerge proprio come la morte, la malattia, la sofferenze siano il grande rimosso della cultura dei media. Viviamo nella noosfera senza accorgerci di ciò che assorbiamo. Egli sostiene che è talmente forte questa ideologia e mitologia della felicità che i media – la cultura di massa, all’epoca – è un grandissimo tentativo di occultare la sofferenza e la morte. Vi è uno scambio simbolico tra media e spettatore. Perché si parla di ideologia e mitologia della felicità? Perché vi è una tale insistenza, una tale pervasività di impiego di forze massiccio di farci dimenticare la sofferenza e la morte. Ebbene questo impiego massiccio è più evidente e forte dalle origini alla prima metà degli anni ’60. In quel periodo – se si guarda al cinema hollywoodiano classico – ha davvero ragione Wenders: l’ideologia della felicità trova il suo massimo splendore. Uno degli elementi significativi è l’happy ending, un tòpos – un cliché, uno stereotipo. Vi sono peripezie di ogni tipo:  amorose – nell’ambito della commedia sentimentale;  belliche – nell’ambito dei film di guerra;  investigative – nel giallo, Esse immancabilmente vanno a buon fine: i protagonisti – e noi con loro – possiamo gioire della risoluzione dei problemi. Cosa c’è dopo il lieto fine? Non viene mai mostrato. L’immagine del lieto fine è l’immagine dell’ideologia della felicità. Un modello che entra in crisi ma non si estingue, col tempo: Joshua Merovitz (Oltre il senso del luogo) – le lotte giovanili del ’68 esplodono proprio in quanto i protagonisti delle lotte sono giovani cresciuti nutrendosi dell’ideologia della felicità e anche della televisione e che a un certo punto avvertono l’ipocrisia del modo di rappresentare la vita umana, la realtà, il mondo. Marlon Brando – James Dean: protagonisti della beat generation, segnando un punto di svolta nella storia dei media. Francia: “nouvelle vague” > movimento che darà l’avvio alla trasformazione del cinema > più vicino al reale, meno ipocrita. Una rappresentazione più “veritiera” della realtà che si applica a tutti i media.  Cultura del loisir: cultura dell’evasione, del divertimento, dell’intrattenimento In passato, la cultura non aveva precipuamente questa funzione. Con i media – che sono un’industria – si diffonde la cultura dell’intrattenimento perché l’industria deve appagare e confortare il suo spettatore, deve anche un po’ blandirlo. Perseguendo questo obiettivo, è 27 normale che si sia sviluppata l’ideologia e la mitologia della felicità e allo stesso modo la cultura del loisir – ancora più esplicitamente rivolta al piacere dello spettatore. La funzione evasiva: è la funzione di fuga dalla realtà, dalla sofferenza. Anche quando si rappresentava la morte – ancora fino alla metà degli anni ’60 – essa trovava pochissima rappresentazione persino nelle pellicole di genere bellico: o meglio, si trattava di una rappresentazione di Thanatos ipocrita, privata dei suoi tratti di sofferenza. La fuga dalla realtà assume connotati diversi ma altrettanto importanti. La funzione evasiva non solo concorre a rimuovere la morte e quindi la sofferenza, ma compensa le frustrazioni del quotidiano. Due funzioni in una: 1. rimozione della sofferenza e della morte: legata alla mitologia della felicità 2. compensare le frustrazioni della quotidianità. “La società dello spettacolo” di Debord parla della cultura di massa come oppio dei popoli. Per compensare le sofferenze, l’alienazione, i media propongono un’alternativa: l’evasione. Il reale e l’immaginario sono connessi da una relazione di complementarità. È una sorta di compensazione che la funzione evasiva svolge nei rapporti di un eccesso di realismo, materialismo, realtà. È necessaria una fuga nell’immaginario. Se c’è troppo dell’uno, necessariamente si crea uno squilibrio: allora subentra l’altro, per compensarlo.  Eros e Thanatos: elemento di novità che ha a che fare con obiettivi di mercato dell’industria culturale. La pulsione di vita e la pulsione di morte sono le due colonne su cui davvero si base l’intero “edificio” del sistema dei media. Eros e Thanatos hanno trovato modi di rappresentazione diversi a seconda del momento storico. All’inizio degli anni ’60 – erotismo, violenza, morte – iniziano a rappresentarsi in maniera più esplicita, meno ipocrita. Questa svolta ha a che fare con la necessità di un maggior realismo. A partire dagli anni ’80, ci si rende conto che tale disvelamento di Eros e Thanatos abbia in sé un’attrazione molto forte. Questa svolta presenta finalità di carattere economico, di mercato. Mostrare di più sollecita le pulsioni primarie dell’essere umano – e questi istinti vengono sollecitati per un successo commerciale. 5/03/2019  Modello WASP e sua evoluzione Proprio in quanto questi elementi della noosfera – che hanno origine nella cultura tardo- moderna occidentale – si sono espressi in forme reiterate, i media hanno dato rappresentazione ad un modello etnico e culturale che convenzionalmente viene definito modello WASP, un acronimo che sta per “Bianco, anglosassone, protestante”. Un modello che risente della migrazione di coloni europei negli Stati Uniti, di una certa etnia e di una certa cultura dominanti – da un punto di vista politico ed economico. 30 Tutto ciò dà il via ad una serie di situazioni problematiche oggetto di studi delle teorie del pensiero critico; il conformismo è la prima conseguenza problematica; il venir meno delle tradizioni culturali plurisecolari e quindi la perdita di patrimoni, di conoscenza e di principi, valori, ideali alternativi rispetto a quelli occidentali è un’altra delle conseguenze problematiche. All’inizio degli anni ’70 si inizia a dare valore alle culture diverse, si è curiosi di scoprire le loro tradizioni, le loro usanze. Tutto ciò porterà alla globalizzazione poiché nasce l’idea che l’attestarsi di altre culture minoritarie (quantitativamente e non qualitativamente) può essere una scoperta reciproca di incontro, di scambio e di mutuo arricchimento. Principi, valori, ideali, istanze – proposti e non imposti. 1. P. Bourdieu, sociologo che si è molto dedicato alla cultura di massa, formula il concetto (“Meditazioni pascaliane”) di “violenza simbolica” che per noi può essere utile. Bourdieu può essere ascrivibile al pensiero critico e con tale concetto ci aiuta a comprendere il modo attraverso cui si esplica questa influenza che non riguarda solo la colonizzazione culturale intesa come occidentalizzazione, MA più in generale riguarda la trasmissione e il radicamento di istanze culturali di qualsiasi provenienza che si diffondono nella società. Si tratta di una violenza non esercitata tramite l’azione fisica, ma attraverso l’imposizione (meglio la proposta) più o meno manifesta e consapevole – di categorie cognitive, paradigmi culturali, principi, ideali, valori ecc. (ad es. arbitrio culturale posto come naturale; tassonomie non riconosciute come interpretazioni del mondo). La fascinazione di un ideale che viene proposto come un sogno da realizzare : ideologia e mitologia della felicità. Questo concetto di violenza simbolica è molto utile anche nella sua denominazione forte: è una violenza di tipo culturale, però la dimensione del simbolico a cui fa riferimento la definizione è proprio quella che ci permette di comprendere quanto tutto ciò avvenga attraverso circolazione di simboli (bacio finale – l’happy ending) – quindi il simbolico è uno strumento molto potente. 2. “Habitus” (M. Mauss, Le tecniche del corpo): la nozione di habitus è molto legata al concetto di tecnica del corpo. Che cos’è? È una tecnica che sembra ai più naturale, innata e che invece Mauss dimostra essere culturalmente determinate. Happy end > bacio finale: quel modo di baciare viene diffuso presso etnie che prima non adottavano quella pratica. Tra le tecniche del corpo, Mauss annovera una serie di comportamenti dal modo di mangiare al modo di camminare, nuotare, dormire, partorire. “Tecniche del corpo”: un concetto formulato da Mauss a partire da un’esperienza personale, ossia quando si trovò degente in un ospedale – dopo la prima guerra mondiale – e vide un’infermiera camminare in un modo che lo aveva colpito e che più tardi avrebbe definito “tecnica del corpo”. Dopo un po’ si rese conto che quel modo di camminare l’aveva visto per la prima volta al cinema – un modo di camminare più o meno consapevolmente appreso, non innato, non naturale. E per la prima volta determinato non dall’osservazione, da un’esperienza diretta – bensì mediata. Anche nelle tecniche del corpo si iscrive il fenomeno di inclusione o esclusione sociale, il riconoscersi o meno in una società, in una cultura. In genere, un ruolo importantissimo viene svolto dai modelli dominanti in una cultura. E in una cultura e in una società come quelle 31 che si sono sviluppate a partire dall’avvento dei media, i modelli dominanti sono proprio veicolati attraverso le immagini sempre secondo una violenza simbolica – non vengono imposti, ma proposti. Il punto chiave è che questa forza di fascinazione che viene esercitata è tale da veicolare anche dei contenuti. Greta Garbo: modo di camminare che fa parte di un personaggio che incarna determinati valori, principi, ideali ecc. è la donna che vive una vita di lusso e agio, è la diva che ha frequentazioni altolocate, che viene rappresentata intenta alla risoluzione dei problemi sentimentali. Ecco che dietro la tecnica del corpo dimora tutto insieme di principi, ideali, valori. È il simbolico che dispiega tutta la sua potenza. È importante apprendere il processo di introiezione: a partire dal contenitore si esplica un passaggio ai contenuti, alle istanze. 3. “Incorporazione”, “microfisica del potere”, “corpi docili”: Michel Focault, Sorvegliare e punire: un testo che ripercorre la storia della prigione, la storia del carcere non nei suoi eventi evenemenziali ma nei suoi passaggi socioculturali. In questo testo, Focault si riferisce al “panopticon”: un progetto di prigione che viene formulato, elaborato nel ‘700, ha una struttura molto interessante tutta incentrata sulla visione. Perché è incentrato sulla cultura visuale? Perché prevede  una parte centrale – questa prigione, dal punto di vista architettonico – può essere una torre di guardia dove sono allocate le guardie carcerarie  e poi, tutto intorno, un’altra costruzione circolare dove risiedono i detenuti nelle loro celle. Si è pensato che questa architettura determinasse un rapporto tra guardie carcerarie e detenuti come più proficuo. Le guardie, con pochissimo sforzo, potevano osservare e controllare i detenuti nelle loro celle, disposti nell’edificio circolare intorno alla torre centrale. Ma, cosa ancora più interessante, è quanto si è pensato a proposito dell’effetto positivo di questa struttura architettonica, si è pensato che proprio per la facilità di osservazione delle guardie ogni detenuto si sarebbe sentito controllato. E, così facendo, avrebbe evitato di trasgredire alle norme, alle regole, alle leggi – avrebbe introiettato lo sguardo giudicante e quindi anche l’osservanza delle istanze. Il detenuto si sarebbe comportato così in maniera retta, opportuna – osservando costantemente se stesso a partire da quelle istanze introiettate. Ciò che è importante – oltre al panopticon delle istanze – è anche il concetto di microfisica del potere, dei corpi docili (i detenuti). Non sono necessari – sostiene F. – la coercizione, la violenza fisica, le punizioni corporali; è sufficiente che tutto sia creato per favorire le condizione di un’incorporazione – il corpo è il veicolo principale – la vista, lo sguardo e la corporeità. E in seguito a questi, la psiche, la mente che aderisce a certe istanze. Si può parlare di microfisica del potere perché in questo modo il potere si diffonde in maniera molto più pervasiva: le istanze del potere vengono diffuse, condivise e profondamente radicate. 32 La ragione per cui tutto ciò ha a che vedere con i media è facilmente intuibile: i media sono incentrati su un tipo di cultura visuale, iconosfera e noosfera si sovrappongono e talvolta coincidono totalmente, lo sguardo dello spettatore è quello che osserva i modelli dominanti che incarnano le istanze del potere – della cultura dominante, appunto – e tale sguardo, osservando questi modelli, li assorbe e il processo transita attraverso il corpo, che è un mezzo, uno strumento della condivisione di istanze del potere. 6/03/2019 Il concetto di incorporazione è molto simile a quello di introiezione, ma con una differenza sostanziale: l’introiezione cui siamo abituati a pensare come un processo esclusivamente mentale, invece ha come suo tramite il corpo. Per questo si parla di incorporazione, in quanto il corpo è l’elemento che svolge questa funzione di tramite tra l’esterno e l’interno, tra la noosfera e la nostra mente, il nostro pensiero. Questa concezione riguardante la centralità del corpo si affaccia non a caso proprio con il Novecento19 con l’avvento della psicoanalisi, con la nozione di sintomo che pone una stretta correlazione tra psiche e corpo: il sintomo corporeo esprime un disagio psichico. Con il secolo in cui i media sia affacciano nella cultura si intensificano gli studi incentrati sul rapporto tra la mente e il corpo in più ambiti: in medicina nasce la psicoanalisi, la psicologia allo stesso modo è incentrata su questa relazione tra la mente e il corpo; l’antropologia, viene fondata la nozione di tecnica del corpo (Mauss); la sociologia, in cui il corpo assume un’importanza cruciale nelle pratiche sociali (Golfman, La vita quotidiana come rappresentazione, 1965). Il corpo è visto come un elemento che non è solo natura, spontaneità, ma è anche cultura, dopo che per secoli tutta la società si era incentrata sulla mortificazione del corpo, sia in campo religioso che economico. È molto interessante vedere questa storia del corpo nell’Occidente nella società e nella cultura occidentale  Umberto Galimberti, Il corpo  il corpo servo muto. Nietzsche in così parlò Zaratustra scrisse “Io dici e sei orgoglioso di questa parola, ma c’è più saggezza nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza”. Più tardi questo assunto filosofico viene ripreso da Gille Deleuze con una frase interessante, provocatoria “Datemi, dunque, il corpo” = formula del capovolgimento filosofico. Che ha avuto un ruolo chiave nella storia della conoscenza europea. Con questa frase, Deleuze invita a considerare sotto un’altra luce il corpo nella cultura proprio per portare a compimento quel ribaltamento, quella rivoluzione della conoscenza che già era stata preconizzata da Nietzsche e aveva già trovato espressioni sparse in discipline differenti e che con Deleuze viene radicata nell’ambito degli studi sul cinema e sui media. Deleuze  l’avvento della cultura visuale ha portato al centro l’importanza del corpo, le funzioni culturali del corpo. Un pioniere degli studi di cultura visuale, Bela Balazs, scrive un saggio sul cinema e sulla cultura visuale intitolato L’uomo visibile, la cui tesi sostiene che il cinema in primis e la fotografia (oggi aggiungeremmo internet e tv) introducono questa grande novità: rendono visibile molto più di prima l’uomo, l’essere umano nella sua fisicità, nella sua corporeità dopo che per secoli la rappresentazione della figura umana esisteva ma era scarsamente accessibile 19 Tutta la storia dell’Occidente, la storia della cultura europea è attraversata da una lunga linea di faglia che separa il corpo dalla mente. Le tesi platoniche che riguardano questa distinzione tra corpo e anima sono le tesi fondanti della intera cultura europea e occidentale di cui è pervaso anche il cristianesimo. Ne Il Fedro DI Platone abbiamo al concezione del corpo come prigione dell’anima. 35 Il processo di simulazione incarnata è un processo che la psicoanalisi e la psicologia, precedentemente, avevano designato con un’altra espressione che è “identificazione”. Essa definisce un insieme di processi più ampio rispetto a quello di cui di occupano le neuroscienze. È un processo tramite il quale si realizza un transfert, un trasferimento: la prospettiva della psicologia/psicoanalisi non è di tipo fisiologico, ma è di altro genere e quindi, in base alla definizione di identificazione, questo transfert riguarda in generale i contenuti dell’interiorità. Che vi sia una base fisica, corporea, neuronale alla psicoanalisi interessa relativamente. Attraverso l’esperienza mediata, ecco che lo spettatore si immedesima nel personaggio: vi è uno scambio in base al quale i sentimenti, le emozioni, i pensieri, gli stati emotivi del personaggio sono condivisi dallo spettatore. Dagli anni ’50, specialmente negli studi visuali e la psicologia e la psicoanalisi offrono un loro contributo, ecco che il personaggio intrattiene - dice E. Morin – una relazione con lo spettatore intesa come doppio. Lo spettatore acquisisce come propri i moti personali del personaggio, le ragioni delle sue scelte – culturalmente determinate, non avulse rispetto ad una cultura, ad una società, ma sono il prodotto di quella cultura e di quella società. Se si mette insieme la prospettiva psicologica e psicoanalitica con quella della neuroscienze, ci rendiamo conto che la simulazione incarnata non solo lascia una traccia amnestica, ma si aggiunge tutto il portato riguardante l’identità psicologica, sociale, culturale, antropologica del personaggio. Ed è una condivisione. La simulazione incarnata e i sistemi mirror spiegano una minima parte l’habitus, la violenza simbolica. La psicologia e la psicoanalisi hanno concorso a spiegare come il processo di identificazione sia proprio un processo che si attiva laddove noi ci riconosciamo in un personaggio, specialmente con caratteristiche positive: pensiamo all’eroe, che ha dei connotati positivi, un modo di agire e di essere più o meno condivisibile dagli spettatori. Ha questa connotazione proprio per favorire questa identificazione. Star system: lo star system è un sistema ibrido, proprio dell’industria culturale. Ibrido perché ha dei profili di carattere economico – è marketing! Ed è anche un processo di tipo culturale. Come nasce, lo star system? Nasce proprio a partire dalla constatazione che la costruzione del protagonista di una storia è un fattore cruciale dell’adesione dello spettatore e della fidelizzazione dello spettatore al film. E su questo genere di fenomeni si realizza il successo del film. Alcuni principi su cui è stato costruito lo star system: innanzitutto, in modo da offrire al pubblico personaggi dai connotati positivi e tali da rendere le loro gesta che esprimono il loro modo di pensare condivisibile da un numero ampio di spettatori. Presto ci si rende conto che l’astrazione dello spettatore medio era efficace fino ad un certo punto: questo spettatore, nell’arco della sua vita, va incontro ad esigenze diverse. Così nascono generi cinematografici che chiaramente sono la continuazione di una differenziazione già in atto tradizionalmente nella letteratura, ma sono anche lo sviluppo ulteriore di un fenomeno letterario. Ci interessa però il fenomeno della diversificazione: il pubblico indifferenziato all’origine si scopre essere man mano sempre più frammentato in target e nell’ambito dello star sytem ciò ha dato 36 origine ad una moltitudine di personaggi con caratteristiche diverse, capaci di andare incontro ad esigenze diverse. (L’angelo del focolare, la ragazza della porta accano – il fenomeno del divismo!) Addirittura questa differenziazione nell’ambito dello star system ha seguito un po’ la teoria di Jung (Tipi psicologici) e si comprende una grande divisione tra l’introverso e l’estroverso, e tra i due poli estremi vi è una vastissima gamma di variazioni intermedie. Il fenomeno del divismo sorge proprio nell’ambito della cultura visuale e non ha curiosamente manifestazioni simili in altri ambiti, per via dell’importanza assegnata alla corporeità, proprio per il fatto che l’uomo è visibile – data la nuota e prepotente visualizzazione della corporeità umana. Quindi si sviluppa un fenomeno sociale e culturale come quello del divismo. Si iniziano a studiare fenomeni di mimetismo sociale – le infermiere che camminano in un certo modo (come le dive dell’epoca) di Marcel Mauss; la camminata è un aspetto sintomatico di un fenomeno molto più vasto e pregno di conseguenze di carattere sociale e culturale. La simulazione incarnata, se vogliamo, è il processo di identificazione che, a sua volta, costituisce una parte della struttura portante dell’esperienza mediata, della comprensione. 11/03/2019 I DUE MODI DELLA CONOSCENZA L’identificazione è un processo mentale inconsapevole, attraverso cui condividiamo pensieri e si attiva un fenomeno inconscio: non possiamo decidere se identificarci o meno con un personaggio perché il processo si attiva in maniera spontanea, seppur con diversi gradi di intensità. Perciò, nell’esperienza mediata si instaura una situazione paradossale, definita in psicanalisi “ipocrisia dello spettatore”  proprio perché so che quello che sto vedendo è finzione, sono disponibile a lasciarmi andare più facilmente. Si tratta di un processo chiave dell’apprendimento che avviene nell’esperienza sia quotidiana, sia mediata. Tale processo è presieduto dai neuroni specchio, neuroni preposti principalmente all’apprendimento. Si affaccia una grande distinzione tra due tipologie di conoscenza diversa: il capire (imparare, sapere, acquisire nozioni nella ricerca umanistica, scientifica e nello studio in generale), modo della conoscenza legato al logos; il comprendere, o la comprensione (apprendere, intendere, dal latino cum-prehendere=prendere insieme, designa anche l’inclusione, l’atto dell’apprendere comporta l’inclusione; riguarda l’arte, i fenomeni estetici, la conoscenza estetica, vale a dire il sentire, il pensare, la capacità di apprendere che utilizza il sensorium, l’insieme delle facoltà percettive sensoriali, ma anche sensibili, la nostra sensibilità che include la sfera emotiva, il sentimento). I DUE MODI DELLA CONOSCENZA E DUE TIPOLOGIE DI PENSIERO: IL PENSIERO ANALOGICO, SIMBOLICO, MITOLOGICO (COMPRENSIONE) E IL PENSIERO LOGICO, RAZIONALE ED EMPIRICO (SPIEGAZIONE) Cervello diviso in due emisferi in continua relazione l’uno con l’altro, legati a due forme di pensiero e di conoscenza diversi, opposti, perciò complementari, si influenzano e completano tra 37 loro, ragion per cui non si possono dividere nettamente le due forme di conoscenza che è di tipo dialogica: siamo noi che per comodità semplifichiamo quei processi piuttosto complessi che presiedono la conoscenza. Comprensione Spiegazione Concreto Astratto Analogico Logico Acquisizioni globali Acquisizioni analitiche Predominanza della congiunzione Predominanza della disgiunzione Proiezione/identificazioni Dimostrazioni Applicazioni del soggetto Oggettività Impiego sella soggettività Desoggettivazione Proiezioni/identificazioni: processo che consiste nell’attribuire ad una persona/personaggio dei contenuti della propria interiorità (“propria” = del soggetto che comprende, non che è compreso) e ciò avviene specialmente perché ci identifichiamo con il personaggio: tutto è costruito affinché noi spettatori ci riconosciamo in un certo personaggio come allo specchio, perciò accade che quel personaggio abbia dei tratti condivisibili sul piano psicologico e sociale. Il protagonista è qualcuno che noi riusciamo a comprendere abbastanza facilmente perché ha un modo di ragionare, di comportarsi e di parlare che ci è familiare, rispetto al quale noi ci riconosciamo, perciò ne condividiamo il background, la cultura, i principi, i valori, gli ideali. Può accadere, però che alcune sue scelte non le comprendiamo perché la conoscenza logica razionale ed empirica ha dei limiti, così come pure la comprensione: ci sono degli ostacoli per cui l’altro non mi è sempre comprensibile (non lo è nemmeno a se stesso). Il limite alla comprensione viene veicolato dalla proiezione, cioè dall’attribuire delle spiegazioni, partendo dalla nostra interiorità, dal nostro bagaglio personale, dalla nostra esperienza e da lì partiamo per attribuire all’altro spiegazioni e cause del suo agire, che non sono SUE, ma si tratta di nostre congetture del tutto errate. Test di Rorscharch: test delle macchie che fornisce spiegazioni sempre differenti a seconda del vissuto del soggetto testato. È un test proiettivo, esattamente come ogni film/serie/fiction/ecc. Lo spettatore non solo riceve dal film, ma gli dà qualcosa di suo: processo di transfert, tramite cui partendo dalla mia interiorità, io spettatore offro qualcosa a ciò che guardo. Con l’esperienza mediata, noi vediamo il personaggio interagire con il mondo, scopriamo il suo modo di relazionarsi; in questo modo noi scopriamo anche noi stessi, scopriamo il mondo. Questo transfert legato al complesso di identificazione/proiezione appartiene alle attività primarie dell’essere umano sia in senso ontogenetico che filogenetico: vi è stato all’inizio un comprendere e poi, con l’evoluzione dell’umanità, anche la spiegazione ed il capire. Non a caso il comprendere è legato alla parte più 40 Il cinema d’autore europeo è un cinema che tenta di affermare la responsabilità dell’opera dalla concezione della sceneggiatura sino alla realizzazione incluso il montaggio e la produzione. Fellini curava anche il doppiaggio – costituisce un caso emblematico. Gli attori recitano ma lo spettatore ascolterà sono quelle che vengono fatte pronunciare in studio di doppiaggio – non sul set, come normalmente accade. I precursori del cinema d’autore europeo sono i registi italiani del neorealismo – corrente che cerca di instaurare un nuovo rapporto tra la rappresentazione cinematografica e la realtà in Italia, dove fino a quel momento il cinema era stato sotto il controllo del fascismo (metà anni ’40, inizio anni ’50)  Roberto Rossellini (Roma città aperta)  Luchino Visconti (Bellissima)  Vittorio De Sica (regista che lavorava in coppia con Cesare Zavattini, nella fase di individuazione del soggetto e poi della sceneggiatura – Ladri di biciclette) Lo scopo di questi registi è quello di riappropriarsi di un rapporto più autentico con la realtà. Il neorealismo avrà uno scarso successo in Italia, tuttavia sarà molto apprezzato all’estero: in Francia, negli Stati Uniti. Fanno parte della Nouvelle Vague francese: 1. Francois Truffaut (I quattrocento colpi, Jules et Jim) 2. Jean Luc Godard (Vivre sa vie) 3. Louis Malle Registi molto giovani che accolgono la lezione del neorealismo italiano e decidono di realizzare film affermando l’idea di autorialità, addirittura con una politica degli autori  l’autore deve saper rinunciare a grossi finanziamenti da parte di produttori cinematografici, magari deve autofinanziarsi. Di fatto, questa è una tendenza alla standardizzazione che difficilmente dà origini a delle novità. Gli artisti del cinema d’autore europeo sono degli sperimentatori. Il fenomeno del cinema d’autore europeo prosegue fino agli anni ’70: o Federico Fellini o Pier Paolo Pasolini o Michelangelo Antonioni: di fatto introducono una novità nel cinema da un lato, dall’altro seguono questa tendenza che mira ad affermare la responsabilità dell’opera d’arte. Luis Bunuel, in Spagna (ma anche Salvador Dalì) Ingmar Bergman, in Svezia Fellini è considerato uno dei più importanti esponenti del cinema d’autore europeo – un cinema di esplorazione, sperimentazione, un cinema che insegue un ideale di arte come mezzo di conoscenza, di comprensione. Gli autori di questo tipo di cinema non vogliono blandire il loro 41 pubblico, mostrare una realtà perfetta, ideale, descrivere l’Italia come una specie di paradiso dove va tutto bene e non c’è nulla da cambiare. Essi vogliono coinvolgere lo spettatore in un processo di conoscenza che si avvale di questo nuovo mezzo: l’immagine audiovisiva. Il bianco e nero: diventa un elemento rappresentativo che viene appositamente impiegato come tratto distintivo di questo cinema autoriale, di questa grande scommessa ingaggiata con lo spettatore e con la società tutta. E che consiste, appunto, nell’impiego dell’immagine audiovisiva come strumento di comprensione. 8 ½ : costituisce una delle opere più importanti della cultura della tarda modernità – opere che si sono spinte con il coraggio dei loro autori oltre i limiti dell’epoca, introducendo importanti lezioni anche per ciò che riguarda il cinema d’autore di artisti successivi. Il tema dell’autorialità viene proposto da Fellini soprattutto con questo film, nel quale egli usa l’immagine audiovisiva per esplorare sé stesso come mezzo di auto-analisi. È quindi un film dichiaratamente autobiografico; e questa esplorazione ha una funzione molto precisa, una funzione curativa. I mezzi del cinema che egli impiega sono usati come strumenti di esplorazione di sé stesso e di cura, guarigione di sé. In effetti, Fellini era reduce da un gran successo: quello dovuto a La dolce vita. Il successo lo aveva fatto controllare in una forte crisi. Passata l’euforia iniziale, iniziano a sorgere domande su di sé, sul proprio relazionarsi agli altri, al mondo, sul proprio contributo al mondo. Una crisi esistenziale, una crisi creativa. Fellini non riesce a produrre, ha un blocco creativo: non riesce a creare una nuova opera. Questa crisi creativa va di pari passo con una crisi depressiva. L’incubo dell’incipit del film era proprio un sintomo, una manifestazione di un malessere interiore profondo di Fellini. Inizia il cammino dell’auto-comprensione del protagonista, Marcello Mastroianni alias Guido che altro non è che Fellini, impegnato a realizzare un film. “8 ½ è una delle opere più importanti del ‘900 perché insegna la difficoltà, lo sforzo, il dolore e la gioia di dire “io””(T. Kezich) La soggettività è protagonista di questo film. “ ..la gioia e il dolore di dire “io”* <<io>> non Federico Fellini – ma l’universale condizione umana. Ognuno ha la sua unicità, ma anche la sua universalità: è simile a tutti gli altri: i problemi, i drammi, le crisi. Se ancora oggi questo film ha qualcosa da farci comprendere è perché Fellini si è posto in questa situazione personale, ma anche universale – consapevole che queste esperienze sono esperienze condivise da tutti. Fellini, con la consapevolezza di non parlare solo di sé ma della condizione umana universale, può dire a buon titolo : “l’unico criterio per giudicare un’opera è dire se è vitale”. Mi ha aiutato a comprendere? 42 Ha favorito questa capacità oppure no? È stata utile? Ha lasciato un segno nella vita? o Riflessività: autoanalisi – autobiografismo – meta-cinema – mise en abime In questo film non c’è una storia, di fatto. Kezich2122 ha raccontato perfettamente “la storia” di questo film – non c’è altro da dire. Noi, dall’incipit, entriamo nella mente di Guido, nella sua psiche. Da quel momento in avanti, la rappresentazione visiva ci mostra ciò che accade nella psiche di Guido. Non ci interessano più di tanto i fatti esteriori, le azioni concrete: siamo immessi in un flusso di coscienza. Meta-cinema: come impiego il cinema per comprendere e far comprendere l’umano? Per queste ragioni non c’è una storia vera e propria, una linea narrativa di sviluppo cronologico di azioni, fatti, eventi. o Vi è una struttura drammaturgica multidimensionale: ci sono tre piani della rappresentazione che si intrecciano: 21Vedere i siti http://specchioscuro.it/8%C2%BD/ e https://perseinunbuonlibro.wordpress.com/2016/07/31/letturadelmese-federico/ 22 Tullio Kezich, Panorama, "Otto e mezzo" è un titolo che si addice al più recente film di Fellini: per un verso cabalistico, per l'altro addirittura ordinale (è l'ottavo film e mezzo del regista, contando l'episodio di "Boccaccio '70"). E' la storia di un cineasta quarantenne e di un film in difficoltà.Una specie di mobilitazione generale delle emozioni, degli affetti, dei sogni, delle bugie, degli scompensi, dei complessi: un gran teatro personale. Fellini ha fronteggiato l'impegno alla sua maniera, senza sforzarsi di oggettivare i problemi nei termini culturali che ritiene di non padroneggiare. Il suo universo privato, che fortunatamente coincide con l'universo privato dell'italiano medio, è tutto in mostra: il ricordi struggente e oppressivo dei genitori, la presenza della moglie e delle altre donne, in carosello delle ambizioni intorno al lavoro, la Chiesa cattolica come limite e possibilità di salvezza. Guido, il regista che sta preparando un film, ha al proprio fianco un intellettuale antipatico ma non stupido, che lo respinge nell'abisso del dubbio; il contraltare è rappresentato da un illusionista del varietà, una specie di pagliaccio per cui fare spettacolo è il modo più naturale di esprimersi. Nel film Guido ordina l'impiccagione dell'ipercritico e accetta l'invito del buffone, l'unico personaggio con cui sembra intrattenere rapporti normali, da collega: e la ridda della realtà e della fantasia, ormai inestricabili, si conclude con un'evocazione in massa di tutti i personaggi della vita e del film trascinati in un girotondo infantile. al suono di una fanfara. La grande novità di Otto e mezzo sta nel raggiungimento di una serenità non più fideistica o provvisoria, come nei film precedenti. Qui, il personaggio che potrebbe rappresentare la Grazia, oppure l'ispirazione, è Claudia Cardinale, che ha un suo risvolto piacevole e terrestre. La religione, per bocca di un cardinale vecchissimo, non offre appigli comodi né soluzioni facili: o parla in modo incomprensibile o pretende un abbandono totale. Ma l'inferno non fa più paura: nelle splendide scene del collegio, quando il piccolo Guido è punito dai sacerdoti per aver danzato sulla spiaggia con una prostituta, è chiaro che la simpatia va alla povera Saraghina, che così mostruosa e commovente, seduta davanti alle onde del mare, non può certo essere il diavolo. Tutto questo avviene in un clima da doppio salto mortale, con un Fellini pronto in ogni momento a rompersi l'osso del collo. Nel film, anche per la collaborazione dell'operatore Gianni di Venanzo e dello scenografo-costumista Piero Gherardi, tutto è trasfigurato nelle dimensioni della fantasia, rinnovato in un autentico delirio visivo. Dalle Terme di Otto e mezzo, presentate sotto una luce accecante e al suono della Cavalcata delle Walkirie, si parlerà per anni. Come sempre nei film di Fellini, gli attori sono in stato di grazia, a cominciare da uno splendido e affettuoso Marcello Mastroianni. Anouk Aimée è molto brava, Claudia Cardinale misteriosa e bella, Rossella Falk spiritosa: ma la rivelazione è Sandra Milo, buffa e patetica, materna e caricaturale come certi disegni del regista. Otto e mezzo è una tonificante esplosione di genialità, il massimo punto d'arrivo di una carriera registica che già è storia del cinema. Sarebbe interessante rincorrere, nei vari atteggiamenti del film, gli echi di tutta una cultura del Novecento che Fellini, illetterato confesso, riscopre con l'intuito dell'artista e rinnova con il senso utilitario dell'uomo di spettacolo. . per Otto e mezzo si farà riferimento alla memoria di Proust e all'opera aperta di Joyce, si tornerà alla grande stagione del surrealismo, si citerà "Quando si è qualcuno" di Pirandello. Ma i veri precedenti del film sono da cercare nel romanzo d'analisi e nel cinema corrispondente. Per caso sappiamo che "Il posto delle fragole" di Bergman è uno dei pochissimi film che Fellini ha profondamente ammirato; e invece un libro che il regista non ha letto è "La coscienza di Zeno" che, proprio come Otto e mezzo, è l'esperimento che un autore fa sulla propria pelle, scansando la tragedia solo grazie al dono dell'umorismo. (1963) 45 13/03/2019 “8 e mezzo è una delle opere più importanti del 900 perché insegna la difficoltà, lo sforzo, il dolore, la gioia di dire io” L’itinerario è un passaggio fluido da un piano all’altro: è un passaggio non netto, tale da porre lo spettatore nella condizione di distinguere chiaramente cosa è la realtà e cosa è il sogno, cos’è l’immaginario e cos’è la memoria. La distinzione tra un piano e l’altro della rappresentazione non è netta e ciò è fatto per rendere conto del disagio che prova Guido, si prova più intensamente insieme a lui. L’identificazione permette allo spettatore di condividere con il protagonista la condizione di confusione che è propria di uno stato di crisi. Tale confusione sarà poi esplicitamente chiamata in causa nel monologo finale di Guido. Il passaggio fluido, quindi, svolge innanzitutto la funzione di fare identificare lo spettatore nel protagonista, ma anche di permettergli osservare con chiarezza quali sono i processi mentali. Nell’interpretazione psicanalitica c’è uno studio sui complessi  es. complesso di Edipo: rapporto madre-figlio. Il rapporto con la moglie e con la madre mette in evidenza il complesso edipico e un altro studio psicanalitico: la nozione di archetipo e di simbolo. La madre è una figura archetipa: rappresenta l’ideale di femminilità, protettivo, che si prende cura dell’amato. La stessa manifestazione la troviamo nella figura della moglie che si prende cura di Guido. Archetipo: tipologia o categoria arcaica, originaria. Figura che accomuna non solo tutti gli individui, ma è una delle modalità secondo cui l’essere umano si rapporta all’ambiente, interpreta l’esistenza. Il passaggio fluido da un piano all’altro si trova nella sequenza dedicata a Sua Eminenza: le immagini sono radicate nel presente, nella realtà. I personaggi (membri della troupe televisiva) raccomandano a Guido di essere efficace nella sua interazione con il cardinale, perché da quella dipendono le loro sorti. Poi, però, le immagini non fanno capire bene dove si trovi Guido, quel percorso lo conduce ad un muro con una saracinesca, da dove si intravedono delle gambe. L’incontro con il cardinale non avviene secondo l’etichetta, ma mentre si fa il bagno, quindi non vestito (questione che creerà non pochi problemi a Fellini, v. La dolcevita). Questo incontro anomalo e assurdo cui stiamo assistendo forse avviene nell’immaginario di Guido: o si è attivato durante l’attesa del cardinale o a posteriori o magari l’incontro non c’è mai stato. Tutte informazioni che non ci è dato sapere. Ciò che conta è l’impossibilità di distinguere immaginario e realtà. Questa dimensione immaginaria è quella che permette a Fellini di aggiungere tutta una serie di elementi non consueti, non realistici che sono altrettanti modi di interpretare la figura del cardinale. La totale indifferenza è uno di quegli elementi più evidenti perché il cardinale, invece di essere seduto in una stanza sulla propria poltrona, è impegnato tra le sue cose e non presta ascolto alla richiesta di Guido, e questo è proprio quello che a Guido rimane: l’indifferenza, la mancanza, il menefreghismo del cardinale  incomunicabilità, impossibilità di comprendersi tra i due. Al cardinale viene meno il suo ruolo di pastore di anime. In termini freudiani, il passaggio fluido è l’assenza dell’esame di realtà, dialettica conscio/inconscio. L’immaginario ha la funzione di interpretare la realtà, una dimensione 46 dell’immaginario attraverso cui Fellini interpreta la realtà in maniera molto caricaturale, molto distorta e certi aspetti sono così enfatizzati che è difficile interpretare ciò che Fellini vuole rappresentare e comunicare. La comprensione del passaggio da un piano all’altro avviene per analogia, ad esempio passaggio da madre a moglie è un’analogia. Rapporto del passato con la madre e rapporto del presente con la moglie è un passaggio che va a confondere le due figure femminili, entrambe sono l’incarnazione dell’archetipo materno. HAREM: Fellini osserva senza veli se stesso nei suoi desideri incontenibili, nei suoi desideri di possesso e di dominio. Senza veli, senza ipocrisie mette in scena questo smisurato impulso del desiderio e del dominio che ha dei tratti di crudeltà, di cinismo, di disprezzo dell’altro, nella fattispecie del genere femminile. C’è una rappresentazione che non nasconde il maschilismo. Ci va del coraggio a rappresentare in questa maniera così lucida, autentica e veritiera i moti dell’interiorità più in confidabili, ma questa è l’impresa che Fellini ha intrapreso: usare il cinema come uno strumento di conoscenza, di comprensione di sé e se lo si vuole fare non bisogna avere paure, ipocrisie, veli, remore. Questa è la sequenza nella quale la rappresentazione non è auto celebrative, bensì autocritica. È tutto talmente grottesco e assurdo nei comportamenti e nelle parole di tutti da capirsi bene che si tratta di autocritica, si tratta d un modo autentico di usare il mezzo audiovisivo come strumento di comprensione e auto comprensione. Scena nella quale si comprende come l’immaginario serva come strumento di conoscenza e comprensione di sé e proprio perché è tutto così esagerato e assurdo che balza palesemente agli occhi che si tratti di un sogno e, per lo stesso motivo, si può spingere la rappresentazione ai suoi estremi, senza censure, senza limiti, indagando la mente e le sue pulsioni irrefrenabili (possesso, comando, dominio, ecc). Rapporto di Guido con il genere femminile: il problema esistenziale ruota attorno al conflitto interiore tra figure archetipe di femminilità, da un alto la figura materna e dall’altro lato la figura della Saraghina (=figura della trasgressione della morale cattolica alla quale è stato educato Guido-Federico). Il bimbo con il mantello (Guido da bambino) si sente dire di avere deluso i suoi educatori, ma lui non ne capisce il motivo, quindi gli viene spiegato che la Saraghina è il diavolo = stigmatizzazione della figura femminile della Saraghina che corrisponde all’archetipo della donna tentatrice che rappresenta il peccato originale. Anche in questo caso l’archetipo viene ricercato nel corso della vita adulta da Guido e ritrovato dall’amante in tutte le donne che compaiono (anche nell’harem): ciascuna donna riporta un carattere di sensualità, di tentazione. L’incontro con la Saraghina è uno dei fatti motori dell’immaginario e della memoria di Guido. Soffitta = dimenticatoio in cui vengono relegate le donne, trattate come oggetti. Vi si trovano anche le donne della sua infanzia che conciliano i due archetipi di donna. Conciliazione rappresentata da Claudia, figura simbolica che riesce ad armonizzare gli archetipi precedentemente in conflitto. Gli attori spesso hanno avuto nella vita di Fellini lo stesso ruolo che interpretano nel film. Claudia (Claudia Cardinale) è la figura che fa da specchio al protagonista, esplicitando con crudeltà che Guido non sa volere bene. La figura di Claudia esplicitamente assorbe quella del mentore, del grillo parlante che aveva assunto nell’harem, una figura che assorbe il ruolo che il coro greco aveva nella tragedia classica: esplicitare e commentare le menti che sono il vulnus, il problema, la ferita, il punto chiave, la chiave di volta per la soluzione del problema ed il superamento del conflitto. 47 Claudia non è solo conciliazione tra archetipo della madre e della donna tentatrice, ma anche il mentore, cioè quella figura che vede in profondità l’essenza dei problemi. L’incontro con Claudia è un incontro destinato a fare superare questa crisi: Guido riuscirà con la ferocia dell’autocritica, con l’autoanalisi pietosa, riuscirà a comprendere se stesso. Scena finale del film: celeberrima sequenza che simbolicamente esprime l’approdo del percorso interiore, la potenza del simbolo emerge con alcuni elementi: il colore bianco, simbolo di purezza, di candore, di innocenza, tutti i personaggi indossano il bianco, non più in maniera problematica e caricaturale come dei mostri (concetto chiave in tutta la poetica di Fellini che indica un monito dei limiti dell’umano), ma sono angelicati, resi eterei dal bianco, sono visti in maniera benevola, sono amati tutti allo stesso modo da Guido che riscopre la capacità di amare le persone della sua vita, accettarle come sono, nei loro limiti, nella loro autonomia e trovare dei compromessi (a partire dalla moglie); battuta dell’amante Carla che sostiene che tutto quello significa che lui non riesca a fare a meno di nessuno di loro che esplicita come Guido è, accogliendo la confusione interiore, senza pippe mentali su come dovrebbe o vorrebbe essere ma non è. Nel momento in cui accetta se stesso, trova alla soluzione ai propri problemi, il compromesso, la capacità di amare, simboleggiati dal cerchio e dal girotondo finale che indica la solidarietà, la fratellanza, la circolazione di affetti tra tutti i personaggi. Il tutto è condito da musica e clown che aiutano a non prendere tutto troppo drammaticamente, ma tutto in maniera più gioiosa, più leggera, più lieve, con ironia non beffarda, ma gioiosa. 18/03/2019 LA DIALOGICA REALE/IMMAGINARIO NEI MEDIA La dialogica è figlia della dialettica hegeliana: esiste un rapporto di influenza reciproca tra reale e immaginario, perciò un termine influenza l’altro (ad anello ricorsivo). È un rapporto nel quale i due termini sono complementari e opposti ed è dinamico e generativo. Il rapporto tra reale e immaginario è fondativo dell’essere umano. Eraclito parlava della realtà semi-immaginaria dell’uomo: pur essendo svegli, gli uomini, sono immersi nei loro sogni che li portano ad interagire con il mondo come sonnambuli. Nella società dell’immagine, ci rendiamo ancora più conto di questo concetto: è una cultura e società nella quale la dialogica tra reale e immaginario è quanto mia evidente. Possiamo crederci totalmente razionali e logici secondo l’illusione neopositivistica secondo cui l’uomo si è evoluto, emancipandosi dal mito, dal sogno, MA in realtà si tratta di una teoria spazzata via nel secolo scorso: l’uomo moderno è un uomo sempre e costantemente al contempo reale e immaginario e i media sono lì a dimostrarcelo. Sincretismo dialettico: intreccio dei due elementi. I media offrono un complesso di realtà e irrealtà, interpretano la realtà e influiscono su di essa. Anche il realismo documentario trasmesso dai media è mediato, quindi immaginario, non diretto. La fiction è una realtà fittizia, si compie nei media una sorta di razionalizzazione della fantasia: quanto più si vuole essere logici e irrazionali, tanto più si creano dei codici espressivi … illusione o impressione di realtà: fenomeno ottico fondamentale del cinema, effetto stroboscopico, cioè l’effetto percettivo in base al quale 24 50 Nell’ambito dell’estetica, quando si parla del modo di pensare attivato nel mondo dell’arte, potremmo dire che si possono rintracciare i segni di un pensiero arcaico, un pensiero magico, così definito anche ne Il cinema e l’uomo immaginario. Il pensiero analogico, simbolico e mitologico ha sede nella parte più antica del nostro cervello, quella che viene definita archimente (mente arcaica), in cui le prime manifestazioni del pensiero hanno avuto funzioni magiche, propiziatorie, come quelle che avevano le figure dipinte sulle pareti delle grotte in età primitiva che non erano lì solo per produrre la realtà, ma quegli animali erano rappresentati anche per propiziare la caccia, per essere conosciuti meglio. Quelle rappresentazioni avevano una funzione protosimbolica, erano un modo per mettersi in relazione con l’ambiente circostante, con qualcosa di molto concreto, come la fame e la caccia, ma con un contesto magico per propiziare l’attività e conoscitivo. Questo pensiero sta all’origine della metamorfosi estetica. Anche la rappresentazione della tragedia greca cerca di imitare la realtà (mimesis), ma allo stesso tempo cercano di trasformarla per incidere sulla realtà stessa in senso propiziatorio. L’idea della trasformazione è un’idea chiave in ogni ambito estetico, artistico  la metamorfosi, cioè la trasformazione delle forme. Nell’immagine dinamica che nasce con il cinema, il movimento determina soprattutto questo effetto metamorfico e la trasfigurazione della realtà è un’operazione attraverso cui si cerca di interpretare e dare nuovi significati al mondo, è un modo di conoscenza soggettivo (comprensione). La scoperta di queste funzioni dell’immaginario ci può fare meglio intendere le immagini, ci aiuta ad interpretarle meglio nelle loro funzioni. Il cinema visionario di Fellini non è pura fuga nella irrealtà, ma è un modo di trasfigurare la realtà con l’enfasi, con l’accentuazione di alcuni tratti invece di altri, è una caricatura di alcuni aspetti della realtà; viene usata una lente deformante per osservare la realtà al fine di conoscerla, di comprenderla meglio. La visionarietà di Fellini mette in evidenza l’immaginario, la trasfigurazione, la metamorfosi e le loro funzioni  alla fine del film, Guido e lo spettatore hanno compreso qualcosa di più dell’umano, hanno compiuto l’odissea all’interno della psiche umana, affrontandone i mostri e i fantasmi, per uscirne con una consapevolezza: l’accettazione di se stessi e degli altri esseri umani come esseri con dei limiti (girotondo, uso del bianco, ecc.) IL SETTIMO SIGILLO, INGMAR BERGMAN (1957) Film in cui la dimensione simbolica assume una notevole importanza La funzione del film è quella conoscitiva, anche in questo caso abbiamo di fronte un personaggio che è un essere umano in crisi. C’è una sofferenza che sorge da un conflitto drammatico tra protagonista e altri personaggi, e per superarle subentra l’immaginario proprio con la funzione di conoscere, di andare oltre gli schemi del pensiero logico, razionale ed empirico, attingere da una dimensione altra quelle risorse utili a superare il conflitto e a conciliare gli opposti. Il settimo sigillo è uno dei film che hanno concorso a riflettere sulla questione della morte, in un periodo di Guerra Fredda, anche se il film si trova ambientato nel Medioevo. Si fa riferimento alla guerra fredda perché Bergman aveva questo intento: affrontare il tema della morte per affrontare il grande tema della vita, in una prospettiva di tipo simbolico. Infatti, sin dall’incipit, il 51 film è posto in maniera che nello spettatore sia sollecitato il pensiero simbolico. La morte è rappresentata in maniera simbolica, assume forme umane, viene antropomorfizzata, è un personaggio a tutti gli effetti per tutta la durata del film e questo personaggio dialoga con il protagonista; la morte è il doppio del protagonista, cioè entra in gioco il pensiero magico insieme al pensiero estetico  il doppio non è nient’altro che il personaggio visto allo specchio, è l’alter ego del protagonista, la parte della sua psiche che in senso psicanalitico viene definita l’ombra23, la parte oscura, più misteriosa, quella con cui ci si rapporta con una certa difficoltà. Bergman voleva affrontare, nel 1957, la grande minaccia della guerra totale, della guerra atomica, quella Terza Guerra Mondiale che avrebbe potuto distruggere l’umanità intera: era una minaccia molto reale, molto concreta e, infatti, Bergman ambienta i film nel Medioevo non solo dando rappresentazione antropomorfica alla morte, ma dando un senso attuale alla epidemie di peste. Il cavaliere torna dalla crociata e nella sua terra, in Svezia, trova l’epidemia e perciò prega. Il prologo culmina con l’apparizione tremenda della figura della morte. L’intento era quello di far riflettere e riflettere egli stesso sulla morte, sulla propria morte, sulla propria monumentale paura della morte e dice di essere riuscito ad affrontarla soltanto dando una rappresentazione concreta alla morte, con un volto dipinto da pagliaccio e il vestito nero, altrimenti sarebbe solo stato preda di quella paura, invece è riuscito a fronteggiarla e a relazionarcisi. Perciò il cavaliere è l’alter ego dell’autore. Il riferimento autobiografico è meno evidente che in 8 ½ di Fellini. La riflessione sulla morte che intraprende Bergman non riguarda solo l’individuo, ma la società tutta: la peste miete vittime e i luoghi, i villaggi sono un campo di morte. La paura della peste si diffonde come la piaga stessa del male. Questa minaccia di morte collettiva è una minaccia che per la prima volta l’umanità intera ha vissuto con la Guerra fredda, prima di allora non aveva mai toccato l’intera umanità. L’età atomica ha fatto dell’umanità intera una comunità di destino, un destino comune. La minaccia per la prima volta è una minaccia globale. Subentra questa novità: Bergman riflette su questa nuova condizione umana di comunità di destino, cioè di destini accomunati, legati gli uni agli altri in una minaccia di autodistruzione totale che può comportare l’estinzione dell’intera specie umana. 19/03/2019 Film che ci aiuta a renderci più consapevoli del funzionamento del simbolico. Una di queste funzioni è quella che ha dettato a Bergman l’idea di rendere la morte con sembianze umane, vale a dire la funzione più antica del simbolico: la funzione conoscitiva, epistemica, cioè legata al funzionamento del pensiero simbolico, da cui dipende la conoscenza intesa come comprensione. Simbolizzare la morte attraverso la sua rappresentazione con sembianze umane (=trasfigurare qualcosa di irrappresentabile, invisibile) vuol dire effettuare una metamorfosi estetica che consiste nella antropomorfizzazione di una entità astratta rispetto alla quale non vi è alcuna esperienza sensibile, tanto meno la si potrebbe rappresentare. Trattasi di un escamotage di Bergman per esorcizzare la propria paura, affrontarla, accettarla e superarla. 23 Possibile domanda d’esame 52 La dimensione globale della paura di una guerra atomica fa il suo ingresso all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Da qui l’urgenza di Bergman di proporre allo spettatore la condivisione delle proprie paure e soprattutto del proprio modo di affrontarle. Ecco la funzione del simbolico: permettere di conoscere, di entrare dentro le paure, le istanze mentali che si agitano nell’interiorità, nella psiche, per vedere come sono fatte davvero. La scelta di ambientare il film nel Medioevo è efficace perché, nella cultura medievale, il processo di simbolizzazione era molto familiare, molto utilizzato. “Ho avuto l’idea di realizzare il film contemplando i motivi tratti negli affreschi delle chiese medievali. Questo film non intende dare un’immagine realista della vita in Svezia nel Medioevo. È un tentativo per esprimere il dilemma universale. La mia intenzione è sempre stata “dipingere” nello stesso modo del pittore medievale. La risata degli esseri umani, il loro pianto, l’ululato della paura, i giochi, la sofferenza, il loro terrore della piaga, del giorno del Giudizio universale, della stella il cui nome è Assenzio. L’oggetto della paura può mutare a seconda dei contesti: nel Medioevo gli uomini vivevano nel terrore della peste, oggi vivono nel terrore del nucleare. I nostri quesiti universali, dunque, permangono immutati.” Chiarezza di intenti nella sua dichiarazione e anche nell’idea creativa all’origine del film: il padre di Bergman era un pastore luterano e il figlio lo seguiva nelle sue peregrinazioni per tenere sermoni nei villaggi della Svezia rurale e ricorda di aver più volte contemplato gli affreschi dipinti nelle chiese medievali e l’impressione forte che quelle immagini gli hanno prodotto. Un’impressione che si è radicata in un’idea creativa, non solo legata a questo film, ma più in generale matrice di ogni suo moto creativo legato alla figurazione simbolica. Carmina burana – fortuna imperatrix mundi e Il cavaliere, la morte, il diavolo (1513, Albrecht Durere) come fonti di ispirazione per la rappresentazione della morte. Il dialogo tra cavaliere e morte sull’esistenza di Dio e il senso della morte è una sequenza in cui l’intento di Bergman viene esplicitato  emerge il grande tema della crisi da non intendersi solo come crisi individuale, ma il senso va traslato: tutto non può essere interpretato in senso esclusivamente letterale. Bergman affronta la morte di valori, principii e ideali della cultura tradizionale europea e occidentale, quindi la morte non è soltanto da intendersi in senso fisico come il morire, il trapassare dell’individuo, ma in senso lato come il venir meno di una identità culturale della tradizione europea specialmente che ha determinato il sorgere della cultura moderna. Ci si riferisce alle tre ferite della cultura europea indicate anche da Freud: la ferita copernicana, il venir meno dell’antropocentrismo, si innalza l’uomo a centro dell’Universo, della natura, come padrone nominatore della natura; la ferita darwiniana per cui siamo anche corpo, non puro spirito e pure ragione, siamo frutto di un’evoluzione della vita che ha origini remote e che attraversa diverse fasi animali (noi stessi siamo animali); la ferita freudiana per cui non siamo padroni del nostro Io, non decidiamo noi cosa sentire e cosa provare: ci sono una serie di spinte che si agitano dentro di noi e che ci è impossibile controllare (Freud parla di inconscio, quella parte della psiche che non è soggetta alla consapevolezza). A tutto questo si aggiunge il processo di laicizzazione. Nietzsche ha avuto un ruolo chiave nel cogliere e riflettere sulla svolta epocale che porta alla “morte di Dio”  la grande questione 55 che sono proletari, operai o contadini e vi è una grande celebrazione del proletariato compiuta in nome del socialismo e del pensiero di Marx. Proprio a partire dalla fisionomia si prende la decisione di non utilizzare attori professionisti: l’attore ha vissuto una vita decisamente più agiata rispetto a quella di un contadino, per cui il suo è un volto poco autentico, poco credibile. Il volto dell’operaio porta i segni delle sofferenze, delle privazioni, è un volto arso da freddo, sole e vento, porta i segni della fatica e dà credibilità al personaggio. Il volto dell’attore è inadeguato anche sotto l’aspetto della mimica differente in cinema e teatro, dove, a causa delle condizioni percettive, l’attore deve enfatizzare molto per poter essere visto da tutti gli spettatori in sala. Quindi, la recitazione teatrale è particolarmente marcata e accentuata e nel cinema risulta del tutto innaturale, falsa, finta, artefatta e non credibile. Da qui la necessità di sviluppare una tecnica recitativa adeguata al microscopio della macchina da presa. Il sistema dell’actor studio americano è un sistema incentrato su psicotecniche che agiscono prima di tutto sulla psiche per creare condizioni tali da fare scaturire le espressioni conseguenze di determinate emozioni e lasciar trasparire una interiorità credibile, facendo sorgere delle espressioni simil-spontanee. Ne Il cinema e l’uomo immaginario si parla dell’erotizzazione del volto legato al primo piano: il volto diventa un oggetto di desiderio. Il volto ha decine di muscoli ed è necessario un controllo totale essi. Ecco perché il fenomeno del divismo consiste in uno sconfinamento dell’identità dell’attore e dell’identità del personaggio. Il primo piano, quando appare sullo schermo, spezza il fluire della rappresentazione e non si vede più il contesto, ma un volto astratto dal contesto, sciolto dai legami con il contesto: è già una prima forma di astrazione che fa entrare in una dimensione psicologica, cambiano i parametri percettivi sia dal punto di vista dello spazio che del tempo (si decontestualizza e si interrompe la narrazione, si rallenta. Primo piano = rallentatore psicologico). Si passa da una dimensione macroscopica ad una dimensione microscopica. Panofsky: “il volto in primo piano è un palcoscenico ove ogni momento delle forme diviene un avvenimento, un evento drammaturgico” laddove il movimento micromimico esprime emozioni, sentimenti o pensieri e avviene il passaggio dalla dimensione esteriore a quella interiore che diventa il teatro della psiche, il palcoscenico interiore e si svolgono delle azioni (c’è una vitalità immensa delle innumerevoli emozioni che si possono provare). Si parla di dimensione di microdrammaturgia fondata solo sul movimento: dialogo e monologo micromimici; conflitto esterno; scontro personaggio-mondo; conflitto interno: simulazione e dissimulazione espressa con “polifonia micromimica” (coesistenza di più maschere) oppure con “contrappunto audiovisivo”. Tornando al film, fa il suo ingresso, ad un certo punto, una famiglia di attori e saltimbanchi che costituisce una novità che fa da contraltare alla figura del cavaliere: è una famiglia gioiosa, felice, spensierata, allegra, che vive la propria vita in maniera semplice e con pochi mezzi di sostentamento. È animata da molte speranze per il futuro: la coppia ha un figlioletto che è fonte di gioia e felicità e di speranza. Questa famiglia assume per il cavaliere un ruolo fondamentale in rapporto al suo destino già segnato, rispetto al quale il cavaliere vuole porsi in modo da riscattare la sua esistenza che egli considera vana e fatta di attività futili (è reduce dalle crociate) e vuole 56 riscattare questa sua vita compiendo un’azione per questa famiglia. Ma, quando lo dice alla morte, non sa ancora di cosa si tratterà, non ha ancora incontrato la famiglia. Sarà poi l’incontro a chiarirgli come effettivamente compiere un’azione che dia un senso all’intera sua vita vissuta nella totale vanità e vacuità del senso. 20/03/2019 PERSONAGGI DE IL SETTIMO SIGILLO Cavaliere e famiglia dei saltimbanchi sono uno l’opposto degli altri. La crisi del cavaliere simboleggia la crisi della cultura e della società occidentale. Riascoltando il dialogo della confessione che il cavaliere crede di fare ad un religioso e invece fa alla morte, è chiara la crisi religiosa, il processo di laicizzazione simboleggiato con “il silenzio di Dio”: il cavaliere chiede prove scientifiche per la verifica della propria fede e ciò allude al processo storico che lascia subentrare la scienza in luogo della religione. Ragion per cui questo film non va mai interpretato in senso letterale. Il cavaliere racconta di aver trascorso la sua vita a uccidere, tra guerra e caccia. I saltimbanchi, invece, rappresentano la gioia di vivere. Sono una famiglia felice e spensierata, nella quale la nascita di un bambino porta speranze nel futuro, nonostante continui a imperversare la peste. I saltimbanchi sono caratterizzati da spensieratezza e naturalezza che compensano l’esercizio del dubbio che caratterizza il cavaliere: da un lato il cavaliere rappresenta la speculazione filosofica, l’esercizio del pensiero razionale ed empirico; dall’altro lato la famiglia di artisti vive di spontaneità, senza porsi molte domande sulla vita, vivono in maniera semplice e di semplicità e lo stesso approccio all’esistenza è molto semplice e spontaneo. SALTIMBANCO – SCUDIERO – CAVALIERE Sono ispirati a una riflessione di Kierkegaard sui tre stati dell’esistenza umana. Kierkegaard ha influenzato Bergman durante l’intera vita. I tre stati dell’esistenza sono passaggi evolutivi nella concezione di Kierkegaard e della vita umana, della sua evoluzione. Il saltimbanco rappresenta lo stadio estetico, la fase artistica. Nella scena della locanda, la rappresentazione allude al ruolo dell’arte nella cultura e nella società europee. Nel Medioevo, gli artisti erano dei reietti, degli emarginati: non venivano seppelliti come tutti i cristiani nei cimiteri, ma erano stigmatizzati e posti ai margini della società. Ciò avveniva perché erano considerati l’incarnazione della falsità, della finzione, della mancanza di autenticità e la falsità era considerata come una manifestazione di impurità, una mancanza di integrità morale; erano dei nomadi e portavano in giro le loro rappresentazioni, spesso in fiere e contesti paesani; avevano una funzione sociale importante: non solo divertire e far sorridere a compensazione di una esistenza avvolta nel dolore e nella paura della morte, ma avevano una funzione più profonda. Per Shakespeare, il fool era colui che sapeva esprimere delle questioni normalmente occultate in maniera franca ed esplicita. Il fool ha una forza di rivelazione della verità, al contrario della falsità che gli veniva attribuita, mette a nudo delle verità che normalmente non sono accettate dalla società. 57 L’artista è colui che vive pienamente l’immediatezza dell’istante e bandisce dalla vita la noia, la tristezza e la monotonia. La riflessione è posta alla periferia della vita del saltimbanco: egli non esercita il dubbio come fa il cavaliere, è pura immediatezza, esteriorità e mutevolezza, mettono in luce come nello stadio estetico non sia possibile né la scelta né la libertà. L’artista lascia che le circostanze e il caso decidano per lui, reagisce al mondo senza meditazione, senza riflessione: non parliamo di decisione, ma di reazione. Non esercita il libero arbitrio, non è libero rispetto alla società. È libero finché vive isolato, ma se entra in un villaggio entrano in gioco le dinamiche sociali dell’umiliazione, dell’emarginazione, della discriminazione, alle quali non reagisce. Si tratta di un atteggiamento secondo cui si lascia che tutto accada e che siano caso e destino a decidere il corso della vita (Jung e Strabinsky). Emerge sia la stigmatizzazione dell’attore che l’aggressività della società che ricerca un capro espiatorio su cui concentrare tutta la propria violenza che, nel caso del saltimbanco del film, esplode in maniera collettiva e senza una ragione: dilaga come un bacillo, il bacillo della peste, secondo quel mimetismo sociale che funziona come una sorta di contagio. TUTTI concordemente si accaniscono sul saltimbanco, vogliono umiliarlo e che si umili. Nella cedevolezza del saltimbanco, emerge la vulnerabilità di queste figure, come di fatto si prestino e si siano prestate ad essere vittime sacrificali. L’attore come vittima sacrificale, colui che si sacrifica per rivelare una verità, l’artista come colui che, soffrendo, riesce ad offrire questa verità alla società e all’umanità è una tematica che ricorre in arte e letteratura.  Bergman rappresenta se stesso nella figura del pittore (diceva di aver sempre sognato di fare il pittore). Il pittore è colui che non ha la pretesa di far ridere la gente, ma di sollecitare un disagio nel suo pubblico consapevolmente, conscio che il disagio provocherà una riflessione (“chi ha detto che voglio far divertire il mio pubblico? Io voglio farlo pensare” e si riferiva a se stesso e alla sua “missione” di autore cinematografico). Lo scudiero, in Kierkegaard, rappresenta lo stadio etico, è la figura morale. In molti casi lo scudiero mostra un pragmatismo ed una concretezza molto spiccati. È un uomo di azione, di coraggio, qualità improntate all’impegno morale nei confronti dell’altro, cioè frutto di un esercizio della responsabilità sociale, caratteristica che domina nella figura dello scudiero. Il “coraggio etico della vita” = espressione di Kierkegaard che sottolinea come l’etica si manifesti nell’azione coraggiosa e non in altro e attraverso queste azioni coraggiose si costruisce l’identità. Lo scudiero lo vediamo anche in una scena in cui soccorre una ragazza non per qualche impostazione “dogmatica”, religiosa, ma per senso di responsabilità. Lo scudiero non è un uomo di fede  Il pittore: “Sollecito il disagio nel pubblico” Lo scudiero: “Bravo, così poi li getti tra le braccia dei preti” lo scudiero non è religioso, ha una visione laica della vita, una visione pragmatica. L’uomo morale, anziché lasciarsi possedere dal tempo, tenta di possederlo, affermando di continuo l’impegno ed il sacrificio, non la fuga dalla responsabilità. Egli esprime nella ripetizione la conferma del “coraggio etico della vita” attraverso il quale costruisce la propria identità. 60 essere sviluppata, evoluta e affinata. E questo lavoro fa la differenza tra uno spettatore consapevole ed uno non consapevole. 25/03/2019 2001, ODISSEA NELLO SPAZIO, STANLEY KUBRICK (1968) È un film sulla cultura visuale e sui media e sulla violenza, tema tipico di questo autore24. L’ossessione per la violenza è rivolta a comprenderla anche a costo di confrontarsi con essa talvolta anche in maniera cruda. Non è un film sulla violenza intesa come in Guerre Stellari, ma Kubrick si interroga sulla violenza che è insita nella profondità dell’essere umano e si ritorce contro l’essere umano stesso. All’inizio del film vediamo situazioni che ritraggono la vita degli ominidi  sono diverse le scene in cui possiamo osservarci allo specchio, viene raffigurata una vita vissuta in preda della paura (di essere aggrediti da altri animali, di non aver di che vivere) che porta all’aggressione, alla violenza (v. strapparsi il cibo di bocca, contendersi una pozza di acqua fangosa tra gruppi, al punto da abbandonarsi a manifestazioni di violenza); paura dell’ignoto, di ciò che è estraneo (v. monolite che punteggia tutta la rappresentazione della storia umana). La didascalia iniziale serve solo a introdurre lo spettatore a una dimensione non consueta a quella cinematografica, per il resto non ci sono didascalie né utilizzo di parole; tutto è espresso esclusivamente attraverso le immagini, fino ad approdare alla scena chiave del film della scimmia che interagisce con l’esterno in maniera violenta, sbattendo e frantumando ossa: non è semplicemente la narrazione di momenti di vita quotidiana della storia dell’umano, ma è un momento che rappresenta un passaggio fondamentale alla fase dell’homo habilis (2 milioni e mezzo di anni prima di Cristo), da primate a ominide, in cui si affaccia una novità immensa che ci riguarda: l’uomo si distingue dall’animale per l’impiego dello strumento come estensione del corpo (v. McLuhan: i media sono estensioni delle facoltà corporee e umane, i media ha il ruolo di mediare tra uomo e ambiente, potenziando facoltà fisiche e mentali). Alle immagini della manifestazione violenta della scimmia, si alternano quelle dell’animale stesso che viene ucciso e torna il tema della violenza, del passaggio dalla fase erbivora alla fase carnivora nella storia dell’evoluzione umana. Nel passaggio alla fase dell’homo sapiens, l’uso dello strumento si sviluppa al punto che inizia a scaturire un tipo di relazione con l’ambiente anche astratto, per dominare il mondo anche attraverso la conoscenza. Importante nella sequenza della scimmia sfascia-ossa è il modo in cui le immagini si susseguono, il modo in cui sono montate in sequenza per esprimere esattamente i processi del pensiero del soggetto: vede qualcosa, lo osserva, lo fa interagire con altri oggetti che sono dei resti animali i quali, a loro volta, fanno sorgere qualche cosa  non solo un crescendo di violenza, ma alternanza con immagini di animali vivi. Il montaggio non è casuale. Vediamo le ossa della mascella e poi l’animale in carne ed ossa che viene ucciso. Quindi abbiamo la rappresentazione di uno strumento come mezzo di caccia per colpire e uccidere altri animali. 24 V. Arancia meccanica 61 È un tipo di montaggio creato negli anni ’20 del Novecento per la prima volta: è un montaggio intellettuale attraverso cui si possono esprimere concetti astratti. Il creatore di questo tipo di montaggio è stato Ejzenstein che non pensa alle immagini come insieme cronologico e narrativo (concetto di accumulo o di somma matematica, il cui risultato finale è allo stesso livello di tutti gli addendi  inearità narrativa), ma come una “moltiplicazione”: dentro la narratività vengono inseriti degli elementi (animale che viene abbattuto) che spezzano la linearità narrativa. Si tratta di inserti che apparentemente non hanno alcun nesso narrativo, al punto da disturbare lo spettatore. Il disagio provocato, però, è funzionale (v. il pittore di Bergman: “provoco disagio nel pubblico per farlo pensare”) all’intervento del pensiero su un altro piano che non è quello della mera rappresentazione “terra terra”, dell’interpretazione letterale: quello che vedo mi rimanda a qualcos’altro che devo immaginare. Si tratta di un processo di pensiero che parte da una riflessione basata su ciò che vedo e che mi porta su un altro piano interpretativo. Parliamo di montaggio intellettuale, dunque, perché ci si sposta dal livello della pura concretezza e dell’interpretazione letterale, ad una dimensione astratta in cui, attraverso processi di pensiero di cui non sono consapevole e che sono rapidissimi, comprendo il senso di questa immagine. E avviene uno scarto dalla fase dei primati come animali alla fase degli ominidi che iniziano a dominare l’ambiente attraverso lo strumento. Si trascende il concreto e si approda ad un livello di pensiero astratto. È questa la moltiplicazione cui si riferisce Ejzenstein. Abbiamo il pensiero analogico che ci fa comprendere la sequenza e la relazione tra strumento, azione, ossa e animale morente. Il pensiero simbolico è quello che fa compiere il passo successivo. Il pensiero mitologico è quello che fa comprendere la storia dell’homo habilis che, nel momento in cui acquisisce l’uso dello strumento, compie il passaggio evolutivo fondamentale per l’approdo alla fase dell’homo sapiens. Mettiamo insieme le conoscenze che abbiamo sulla storia dell’uomo per dare un senso logico alle immagini che apparentemente potrebbero non avere senso, ma sono in realtà estremamente sensate. Viene chiamato in causa tutto il nostro bagaglio di conoscenze. Ecco perché si parla di moltiplicazione del senso, è come se il significato fosse al quadrato (Ejzenstein), le immagini amplificano la loro portata semantica e ne bastano pochissime perché i processi del nostro pensiero sono fulminei. La fonte cui si è ispirato Ejzenstein per il montaggio intellettuale sono i suoi studi sulla Cina, sulla cultura cinese, sull’estetica e anche sulla lingua. Studi molto vasti che hanno incluso l’origine degli ideogrammi. L’esempio che fa Ejzenstein è: gli ideogrammi sono una forma di scrittura  come si fa a rendere qualcosa di astratto come le idee attraverso delle rappresentazioni concrete? L’ideogramma “abbaiare” deriva dalla fusione di due ideogrammi “cane” e “bocca” che a livello letterale dicono poco, ma lo scontro che si crea tra immagini anche discontinue rende un concetto. Ejzenstein parla di conflitto o contrasto tra due elementi che apparentemente non avrebbero nessun nesso, genera questo salto che ci permette di comprendere qualcosa che di per sé sarebbe irrappresentabile, si raggiunge il piano di astrazione, il pensiero che coniuga i modi del pensare. L’arma non serve solo a cacciare, ma anche per punire i propri simili, per conquistare la pozza d’acqua fangosa, “marcare” il territorio e conquistare il potere. Siamo noi rappresentati nella nostra pulsione di morte, nell’istinto violento, nelle guerre fratricide. 62 Volteggia l’osso per aria e poi appare uno strumento che volteggia nel cielo. Nell’immensa ellissi temporale (da ominidi a attualità), l’ambiente non è più solo quello terrestre, ma anche quello extraterrestre, nello spazio, nell’universo. Lo strumento (osso-navicella) è simile nell’apparenza e l’analogia visiva ci fa spostare sul piano simbolico. Uomo rappresentato come dominatore della natura non solo terrestre, ma anche del cosmo  la volontà di conquista è sconfinata ed ecco che l’astronave diventa strumento di questa conquista: manifestazione visibile di questa volontà di potenza (Nietzsche). Immagine di un altro strumento nel cosmo con la forma della ruota: da ruota ad astronave, rappresentazione dell’evoluzione dei mezzi di trasporto. Strumento inteso come mezzo dello sviluppo del pensiero, della conoscenza  Scena all’interno dell’astronave: fase dell’homo sapiens sapiens in cui compare uno strumento dalla forma allungata, la penna. La penna è quasi anacronistica su un’astronave, ma Kubrick allude a un altro passaggio della storia evolutiva umana: l’invenzione della scrittura. Accostamento tra la penna (=la scrittura) e l’immagine nello schermo. È la prima apparizione di un elemento ricorrente qual è lo schermo con le immagini. Vediamo molte immagini sui numerosi schermi all’interno della cabina di pilotaggio dell’astronave; schermi che sono monitor che controllano la realtà circostante e che rientrano negli strumenti tra i media e hanno la funzione precisa di permettere un’interazione con l’ambiente di dominio e di controllo. Anche lo schermo, quindi, è una manifestazione della volontà di potenza. Viene introdotta la novità dell’orientazione, cioè il modo in cui sono disposti gli elementi dell’immagine rispetto al nostro senso dell’orientamento consueto che si esprime nelle nostre facoltà percettive. Nella scena dell’astronave ripresa nel suo insieme, Kubrick mette in mostra questa novità che diventa elemento ricorrente. Lo schermo è lo strumento della mediazione che viene impiegato non solo per ciò che concerne il rapporto dell’uomo con l’ambiente, permettendo la tele-visione (visione a distanza). Il film è una riflessione congiunta sulla volontà di potenza dell’uomo che si esprime come violenza, come volontà di conquista, dominio di tutto ciò che circonda l’ambiente, gli altri animali, le persone e dall’altro lato è una riflessione sull’immagine come il principale strumento della volontà di potenza dell’uomo, della conquista dell’ambiente e dell’altro. Questo tipo di interpretazione dell’immagine si lega molto al concetto di panopticon, quell’occhio onnipresente attraverso cui si vede e si conosce tutto ciò che ci circonda e, conoscendolo, lo si domina. Kubrick riflette sulla cultura dell’immagine che in quegli anni sta prendendo piede ma senza manifestarsi come oggi. 26/03/2019 MacGuffin (Hitchcock) il MacGuffin è un motore virtuale e pretestuoso dell'intrigo, un qualcosa che per i personaggi del film ha un'importanza cruciale, attorno al quale si crea enfasi e si svolge l'azione, ma che non possiede un vero significato per lo spettatore. Si tratta di pretesti narrativi realizzati con lo scopo di fornire dinamicità alla trama. 65 nel corso del ‘900 il libero arbitrio è dato dalla programmazione stessa con cui si attivano le macchine. La logica della programmazione delle macchina è binaria, 0-1 ed è considerata come insita nell’anima della macchina.  Interessante è la persistenza dell’occhio che chiama in causa i grandi paradigmi dell’occidente: o la morte di dio sostituito con l’idolo della tecno-scienza, o e l’occhio che invece rimanda al grande paradigma occidentale del panopticon – l’occhio che controlla, lo sguardo che diventa strumento di dominio e giunge a soggiogare l’uomo. 27/03/2019 Odisseo / David: si trova a questo punto a confronto con Hal 9000. Ultimo capitolo: Jupiter and beyond infinity un bel paradosso: se è infinito come si fa ad andare oltre? Il conflitto uomo – macchina ha portato Ulisse / Davide / l’uomo – non soltanto l’astronauta – a compiere ciò che era inevitabile per garantire la propria sopravvivenza: la distruzione della macchina, la distruzione dello strumento che l’uomo stesso aveva creato per rapportarsi all’ambiente secondo questo intento di dominio dell’ambiente terreste / dell’ambiente extraterrestre. La volontà di potenza non ha limiti, si espande nello spazio, nel cosmo – nell’universo intero. Chiaramente, questa volontà di potenza, nel momento in cui David decide di distruggere la macchina, giunge ad un punto di non ritorno in cui diviene necessaria la distruzione. Da un lato è un punto di non ritorno in cui coincidono due considerazioni: 1. da un lato la presa di consapevolezza che quella strada intrapresa è senza via di uscita dunque la presa d’atto di questo errore – l’errore che sta all’origine – secondo Adorno, Orcaimer? – della razionalità strumentale (definita così proprio in quanto impiega il pensiero come strumento con la finalità di ottenere vantaggi, benefici concreti che soddisfino i bisogni umani al di là delle conseguenze. Il concetto di razionalità strumentale pone, appunto, al centro lo strumento – mezzo attraverso cui si esplica la volontà di potenza. 2. “Oltre l’infinito” – l’Odissea dell’uomo assume delle forme inconsuete, inedite, è un viaggio in cui lo spazio e il tempo sono parametri artificiosi, artificiali. Si perde il senso del tempo, dello spazio: vi è un disorientamento spazio-temporale, una dimensione che si sottrae ad ogni tentativo di adottare parametri concreti. Ed è una sequenza nella quale noi vediamo concrezioni di diverso tipo, materiali, forme, colori, rocce, acque, superfici aspre suscita un’impressione appositamente spiacevole di sofferenza (vediamo a tratti anche il volto di sofferenza estrema di David). Dunque questo viaggio potrebbe alludere ad un oltre di cui non si conosce la natura. Alla fine di questo viaggio oltre l’infinito, lo ritroviamo esattamente dove lo avevamo lasciato: nella sua capsula, inserita in un ambiente quanto mai sorprendente in quanto non 66 ha nelle sue forme, nella sua apparenza esteriore non presenta nessun nesso rispetto a ciò che abbiamo visto fino a quel punto. Vi è un contrasto estetico tra epoche diverse che rende impossibile collocarle storicamente. Il tutto avviene in un tempo senza tempo – oltre l’infinito, oltre i parametri spazio-temporali concreti. Succede qualcosa di molto particolare, di difficile interpretazione: dall’interno della capsula, in un primo momento David osserva l’ambiente esterno. Poi, esce dalla capsula, lo vediamo immerso in questo ambiente finché non appare davanti ad uno specchio mentre osserva sé stesso. Si ritrova invecchiato: il suo volto è segnato dal tempo, a indicare proprio questo superamento dei parametri spazio-temporali. David vede, poi, un uomo seduto ad un tavolo, di spalle: sta mangiando. Quest’uomo in vestaglia si alza e cammina verso di noi, verso David (questa è l’ambiguità che Kubrick crea con le sue immagini – di difficile interpretazione secondo i parametri consueti). In questa fase del film, tutto si gioca sull’elusione dei parametri interpretativi che riguardano spazio e tempo ma anche quelli che di norma applichiamo a certe immagini che associamo a specifiche rappresentazioni drammaturgiche. o Viene mostrato l’occhio e l’inquadratura successiva ci mostra ciò che vede (lo sguardo in soggettiva). o Seguiamo gli spostamenti che compie David – secondo l’inquadratura di spalla, all’altezza della spalla in modo da mostrare ciò che vede il personaggio (semi- soggettiva). o David che si osserva allo specchio – contrito, spaventato. Il suo sguardo si sposta perché attirato forse da qualcosa nell’ambiente. Che di fatto è quell’uomo seduto di spalle che sta mangiando, il quale a sua volta si gira e osserva David: il suo aspetto è familiare, è David stesso – ancora più invecchiato. Siamo certi a questo punto che è impossibile applicare i consueti parametri rappresentativi. o Qualcosa attira l’attenzione di questo nuovo David – è avvenuto il passaggio del testimone della soggettività. Ora, il soggetto è David più anziano che, appunto, stiamo osservando proprio mentre la sua attenzione è attirata da qualcosa secondo il medesimo meccanismo che abbiamo conosciuto pocanzi > David astronauta rivolge il suo sguardo perché qualcosa attira la sua attenzione (l’uomo di spalle). o Ed ecco un’altra semi-soggettiva di spalla nella quale noi vediamo il personaggio che guarda dinnanzi a sé qualcos’altro  sé stesso morente. o Un ulteriore passaggio del testimone: David morente ha lo sguardo rivolto non si sa bene dove. Ed ecco che di nuovo qualcosa attira la sua attenzione o David solleva il braccio e indica il monolite. Questo indicare il monolite è interessante perché richiama la pointing lady di Leonardo esposta a Londra, ed altre opere nelle quali le figure femminili indicano un qualcosa. o L’apparizione del monolite, a questo punto del film, sollecita la riflessione dello spettatore. Cos’è il monolite – che abbiamo visto punteggiare la fase dell’homo sapiens sapiens e che poi abbiamo intravisto nello spazio? E perché alla fine del film assume una valenza talmente importante da essere indicato da David / Ulisse / homo sapiens sapiens? 67  Innanzitutto, questa presenza è ispirata a Kubrick da una corrente artistica che negli anni ’60 aveva pervaso diversi ambiti artistici: il minimalismo. L’ispirazione in particolare giunge dall’ambito scultoreo – riferendosi ad artisti come T. Smith, Robert Morris. L’influenza di questo movimento artistico si deve intanto al fatto che in quegli anni l’intento di questi artisti era quello di far abbandonare al pubblico i consueti parametri interpretativi – lo stesso intento di Kubrick. Queste sculture, per un verso, sono ispirate dai megaliti. Questo tipo di opere costituisce una provocazione per lo spettatore, in un periodo nel quale si voleva caricarle di significati simbolici. Molto spesso la risposta degli artisti rispetto al significato dell’opera era: what you see is what you see. L’opera era creata con una fruizione tale da fungere da specchio: vedi ciò che vuoimorte, lapide, ecc. Questo paradosso della visione è appositamente provocatorio ed è esattamente ciò che Kubrick impiega con il suo monolite. K. Pone lo spettatore in una condizione di disagio e impossibilità di interpretare quell’elemento in maniera univoca, certa, sicura. o Il monolite rappresenta l’irriducibilità: ciò che non si può spiegare, ciò che non si può conoscere. In effetti, esso nel film si pone come un muro, come una barriera (ispirato a The Wall di Tony Smith). È una forma figurativa che indica esattamente questo limite ed proprio David ad indicarlo – un limite a questa tendenza irrefrenabile dell’uomo a conoscere (dominare), spiegare. Sono anni nei quali in ambito scientifico si riflette sul limite della conoscenza scientifica – una delle maggiori acquisizioni della storia del pensiero novecentesco riguarda proprio la consapevolezza del limite della conoscenza. Ulisse, di fatto, aveva peccato di ubris conoscitiva. Ed è il momento anche in cui viene messa in discussione la razionalità strumentale che ha segnato la storia della modernità che ha nutrito e a sua volta si è nutrita del mito del progresso.  E non è un caso che indicando questo limite appaia quel feto  che rappresenta la rinascita dell’uomo. Con l’acquisizione di una nuova consapevolezza, l’uomo piò rinascere ad una nuova vita, ad una nuova fase della sua esistenza. È un finale di speranza, non nichilista: è un finale che, appunto, indica con tanto di dito puntato il limite e la possibilità di intraprendere una via diversa, nuova. Una possibilità che viene espressa in termini simbolici come riflessione ampia, complessa che chiama in causa temi universali e che viene condotta totalmente senza l’uso della parola ma esclusivamente attraverso l’immagine, che sollecita il processo del pensiero analogico – simbolico ma anche logico, razionale ed empirico. 2001: Odissea nello spazio è un film-saggio: procede per immagini e le parole sono affidate a quella piccola scorza narrativa che ha a che fare con le convenzioni del genere fantascientifico. La parola è posta in secondo piano – tutto avviene attraverso le immagini. Kubrick, come altri, realizza un film-saggio, una sorta di saggio filosofico per immagini – e ci mostra cosa si può fare con le immagini, usandole sapientemente. 70 ANTROPOMORFISMO E COSMOMORFISMO = ANTROPOCOSMOMORFISMO E. Morin Il cinema o l’uomo immaginario L’antropomorfismo è la capacità di raccontare l’uomo e la realtà nel cinema. Il cinema è antropomorfico perché nel modo in cui si costruisce la forma cinematografica, ciò che è nell’inquadratura assume un significato. Il cinema ha senso perché si basa su azione e movimento, sulle caratteristiche dell’uomo, ciò che vive. Perciò la materia antropomorfica è essenzialmente la materia umana, ma tutto assume significato nel cinema. Assume un significato autentico tutto ciò che fa parte della vita comune. L’antropomorfismo fisico si capisce anche dal concetto di animazione cinematografica: nei cartoni animati si vede l’essenza antropomorfica per eccellenza. Tale concetto riguarda però l’essenza dell’anima filmica = capacità del cinema di rendere tutto ciò che è rappresentato sulla scena come un fatto umano. All’antropomorfismo che tende a caricare le cose di presenza umana, si accompagna il cosmomorfismo, ossia la capacità del cinema di proiettare il cosmo nell’uomo che è rappresentato nel film, ovvero è l’uomo che diventa mondo nei modi della rappresentazione. Il cosmo presente nella scena filmica assume tratti umani, cioè ciò che è mondo ha valore emozionale e crea dei significati. Ma è il mondo che si esprime nei modi metaforici dell’immagine cinematografica. Da qui all’eternità: scena dell’atto sessuale con l’acqua che copre i corpi. Antropocosmomorfismo nell’atto sessuale perché la complessità della vita si riflette nell’arte cinematografica, il cosmo diventa tutt’uno con l’uomo e le sue azioni. In un’immagine filmica è autentica la vita quanto è autentica la natura e tutta l’espressività della dialogica tra uomo e natura. E in questa capacità antropocosmomorfica si rivive l’essenza dell’umanità. Perciò analizzare anche una semplice scena cinematografica può diventare molto complesso: bisogna osservare i costumi, i movimenti di macchina e degli attori, come il mondo interviene nella relazione tra lo spazio della scena e la recitazione dell’attore in cui si insediano una serie di significati. Il disegno animato compie e spiega ed esalta l’antropomorfismo: gli animali parlano e cantano, i fiori sgambettano e sorridono, gli utensili aprono gli occhi, si stirano ed entrano nella danza. Il cinema non fa che dare rappresentazione ad un fenomeno universale e rivela la fisionomia antropomorfica di ogni oggetto. Gli enti dell’ambiente irradiano una sorprendente presenza, una ricchezza soggettiva, una potenza emotiva, una vita autonoma, specifica. Antropomorfismo e cosmomorfismo sono dei modi che creano dei particolari significati nel film, partendo da una scena di vita comune. Si tratta di concetti presenti, per esempio, nella scena de Il settimo sigillo con le fragole, nel prato: elementi simbolici del cosmo che proiettano l’emozione della situazione, la rivelazione, la comprensione e l’accettazione di sé e del proprio destino (vento che muove capelli, natura e alberi. The tree of life: tutto molto simbolizzato. Rappresentazione della genesi, della vita che nasce nel cosmo, nella natura, come fatto della natura  pensiero darwiniano  aspetto simbolico che si può ricavare pensando alla genesi come atto di vita che nasce in ogni sua forma, ma anche tutto l’aspetto emozionale. Genesi rappresentata in un brevissimo lasso di tempo  ecco cos’è 71 l’antropomorfismo cinematografico. In letteratura sarebbe stato impossibile rappresentarlo in così pochi minuti. 2/04/2019 Sulla conoscenza oggettiva, quella scientifica presieduta dal pensiero logico, razionale ed empirico, abbiamo una moltitudine di studi e di ricerche e, poiché si tratta di una forma di conoscenza sviluppatasi con l’evoluzione stessa del sapere, ne abbiamo piena consapevolezza. Inoltre, è una forma di sapere presieduta dal pensiero logico, razionale ed empirico e pertanto prevede dei processi consapevoli per apprendere e affinare il pensiero logico razionale ed empirico e la conoscenza oggettiva (o spiegazione. V. tabella). La comprensione, invece, è una forma di conoscenza che è stata studiata recentemente rispetto alla storia della cultura europea, a partire dallo storicismo tedesco, attraverso degli studi interdisciplinari in ambito filosofico, antropologico, sociologico, ecc. È verso la fine del ‘900 che si indaga in maniera più approfondita la comprensione e il contesto dell’ermeneutica, una corrente del pensiero filosofico che sorge in Germania e che si diffonde in tutto il mondo. Per questo tipo di conoscenza accade che soltanto di recente si è iniziato a indagarla e a scoprirla, e nel corso del ‘900 si sono intensificate le ricerche sulla comprensione per molteplici ragioni: da un lato le conquiste possibili grazie allo sviluppo del pensiero logico, razionale ed empirico, una supremazia intesa come un’evoluzione che culmina con la preminenza nella cultura occidentale del pensiero logico, razionale ed empirico. Supremazia che, però, può assumere anche una accezione negativa: in alcuni casi si sono avute conseguenze tragiche  in Europa ci si inizia ad interrogare sugli esiti della razionalità strumentale, sull’impiego del pensiero logico, razionale ed empirico che mira ad ottenere vantaggi immediati, noncuranti delle conseguenze. La comprensione è stata poco studiata anche perché NON consapevole, pertanto ci si è dovuti rendere conto di processi propri del pensiero analogico. Ciò che è stato scoperto in merito a questo tipo di pensiero, resta in gran parte ignorato. Hans Georg Gadamer in Wahrheit und Methode  l’ambito della cultura visuale ha molto a che fare con la comprensione, è una forma espressiva che ha delle qualità spiccatamente estetiche. “Nell’esperienza dell’arte vediamo attuarsi un’esperienza che modifica realmente chi la fa, si ripropone in modo nuovo il problema della verità di quel comprendere che perseguono le scienze dello spirito.” Un’esperienza mediata, non diretta della realtà del mondo, viene compiuta grazie alla mediazione dell’immagine e in ogni caso dell’opera o, più precisamente, del testo. Quando Gadamer e in generale nell’ambito dell’ermeneutica si parla di testo, non si parla di testo scritto, ma dell’opera, del visivo. Nonostante l’esperienza sia mediata e non diretta, essa modifica davvero chi la compie: può far sorridere, ridere, piangere, rattristare, ecc. e queste espressioni emotive sono il sintomo che ci dice che stiamo facendo un’esperienza, un’esperienza di vita. Che sia mediata o diretta poco importa: è vera, le emozioni sono vere, i punti di vista cambiano. Questa forma di conoscenza, che è possibile attraverso l’esperienza estetica, la comprensione, può metterci in relazione con ciò che è vero, la verità (Gadamer, in Verità e metodo si interroga su come la 72 comprensione può darci una conoscenza attraverso un’esperienza vera e mediata e questa conoscenza che ci offre è una conoscenza sul mondo, sulla natura, sulla vita. Su tutte cose vere.) “Il comprendere, in particolare, fa riferimento a un modo di conoscere soggettivo, il quale, costituisce una esperienza di verità che trasforma chi la compie”. Espressione chiave che ricorre in tutto il teso di Gadamer e percorre l’intera indagine sul comprendere. È un modo di conoscenza che non può prescindere da un’esperienza vissuta, mentre il metodo scientifico deve prescindere dall’esperienza vissuta dallo scienziato. Tra gli autori che rappresentano i massimi esponenti della corrente dell’ermeneutica vi è Paul Ricouer. Nella seconda metà del ‘900 scrive: “grazie alla finzione, alla poesia si aprono nella realtà quotidiana nuove possibilità di essere nel mondo. Finzione e poesia mirano all’essere, non più sotto la modalità dell’essere-dato, ma sotto la modalità del poter-essere. Con ciò stesso la realtà quotidiana subisce una metamorfosi in favore di ciò che si potrebbe chiamare variazione immaginativa che opera sul reale”. Grazie alla finzione = all’immaginario, alla dimensione di fiction. Alla poesia = si riferisce non solo alla poesia intesa da noi, ma all’estetica in generale. Possbilità di essere nel mondo = di immergersi nella realtà. Grazie alla fiction ci immergiamo nella realtà.  Finzione e poesia hanno a che fare con quel divenire che è fautore e fonte di infinite possibilità. Il poter-essere è ciò che costituisce una vasta gamma di possibilità e in questo senso l’estetica, l’arte, la poesia non mirano a definire di che cos’è l’essere, il mondo, non vogliono creare della categorie o delle teorie, delle speculazioni astratte su che cosa sia il mondo, così come fa il pensiero scientifico. Lo scopo della finzione è di interessarsi al divenire del mondo e alle determinazioni già fatte e soprattutto a quelle possibili, che sono in potenza. Otto e mezzo non ci mostra una speculazione filosofica sulle crisi esistenziali del protagonista, MA è un film in cui viene dato molto spazio al poter-essere, all’immaginario, ai momenti onirici, all’universo interiore attraverso il quale noi vediamo i suoi fantasmi, i suoi mostri, i suoi desideri, i suoi deliri di onnipotenza. È il mondo dei possibili, dell’immaginario, del fantasmagorico e in questo mondo si esplicano diverse e contraddittorie potenzialità Ricoeur si riferisce a quanto noi apprendiamo: in quanto spettatori, noi non sapremmo dire le patologie che aveva Fellini, ma avremmo compreso il processo della sua crisi e della sua uscita dalla crisi, sapremmo dire come è avvenuta questa trasformazione, quali sono stati i passaggi chiave (incontro con la musa ispiratrice, Claudia che sollecita una visione ed una rigenerazione più ampie e profonde), sapremmo individuare le cause delle crisi di Fellini. Perciò avremmo appreso qualcosa da quel film su fatti e fenomeni psichici che riguarderebbero tutti gli esseri umani. La variazione immaginativa opera sul reale, vale a dire che ciò che apprendiamo nell’esperienza estetica può avere delle ricadute sulla nostra vita. 75 negativa o neutra, poi si passa al livello dell’emozione e poi del sentimento, che già implica un pensiero strutturato, complesso. In ogni caso, anche il percepire è legato al pensiero. Nel secolo scorso, Rudolph Arnheim scrisse Il pensiero visivo a dire che non si può separare il vedere dal pensare e che le due cose non sono scindibili. Non esiste lo stimolo puro e semplice, c’è già una complessità nella percezione. Al livello del pensiero è molto importante la relazione che si instaura tra chi comprende e ciò/colui che è compreso. La relazione empatica mette in moto il pathos, un sentire condiviso, un transfert che permette la comprensione, una relazione empatica per cui io divento l’altro e l’altro diventa me. Comprensione II: (intelletto) cogliere i significati, quindi non ricavare solo un’impressione di insieme, ma raccogliere i molteplici significati che sono contenuti nell’audiovisivo, nelle forme visive e uditive di questo oggetto. Cogliere questi significati significa cogliere i lati che permettono un’esperienza cognitiva, ossia della nostra facoltà di intendere. È chiamato in causa il pensiero logico, razionale ed empirico in misura maggiore rispetto a alla comprensione I; viene messa in gioco la capacità di riflessione e di autoriflessione. Le due forme di conoscenza e di pensiero si intrecciano, perciò anche nella comprensione I il pensiero logico, razionale ed empirico è implicato: nella comprensione II è implicato in misura maggiore e ancora di più nella comprensione III. Comprensione III: accogliere in sé significati profondi, non più comprensione generale. Emerge una risonanza profonda tra noi e ciò che abbiamo dinanzi, ciò con cui entriamo in relazione. Risonanza = un riconoscimento, un’eco, una vibrazione all’unisono. Significa che c’è un riconoscimento soggettivo di chi comprende in ciò che è compreso. Questo fa sì che si possano accogliere in sé i significati più profondi dell’audiovisivo. È quell’esperienza di verità che costituisce un’importanza straordinaria nelle nostre vite perché ci cambia, ricaviamo qualche cosa in più che prima non c’era. Accogliere i significati profondi vuol dire che quella verità prima estranea diventa parte di noi stessi, amplia i nostri orizzonti. È un’esperienza trasformativa, avviene una trasformazione di chi comprende. “Il senso vive in me, come vivificato nella e dalla mia soggettività e/o dalla mia esperienza di vita” (Ricoeur). COMPRENSIONE DELL’AUDIOVISIVO I LIVELLO Qui prevale il pensiero analogico, simbolico e mitologico, perciò il fenomeno principale è quello della identificazione/proiezione, il transfert che si instaura tra soggettività diverse: quella dello spettatore, del personaggio e più in generale di tutti i personaggi rappresentati. Di fatto, non sono solo i protagonisti delle storie che sollecitano in noi il transfert, ma tutti i personaggi: si parla di identificazione primaria o identificazioni secondarie o anche dette laterali. C’è anche un transfert che si instaura tra il soggetto che comprende e gli enti del cosmo, cioè gli oggetti che possono assumere una valenza simbolica, si ammantano di soggettività. Non sono più qualche cosa di inerte, ma sono oggetti (o enti dell’ambiente  antropomorfizzazione) che ci parlano, assumono delle valenze simboliche. Gli oggetti e gli animali vengono umanizzati persino nei documentari. Tale relazione tra uomo e cosmo ancora oggi si esprime in maniera forte e anche complessa e l’ambito estetico è quello in cui si esprime questa relazione. 76 Tutte le forme di simbolizzazione sopra citate e la dimensione del simbolico sono quelle che non possono prescindere dalla nostra soggettività, dalla nostra identificazione con il cosmo, tanto che lo spazio che noi vediamo rappresentato non è mai, o quasi mai, uno spazio oggettivo e in genere si configura in modo tale da rendere conto della condizione soggettiva dei personaggi (es. pioggia quando il personaggio è triste; le sembianze assunte dal personaggio cambiano in base al suo stato d’animo). Si dice che sotto questo profilo Kubrick sia stato uno di quelli che più di altri abbia creato gli spazi dell’interiorità, al punto che noi spettatori siamo portati a muoverci nella loro mente (v. 2001: odissea nello spazio). Si tratta sempre di forme drammaturgiche in cui anche il ritmo assunto dalle immagini è dato dalla durata delle stesse: più è estesa, più il ritmo è lento e più è lento, più si predispone lo spettatore ad una situazione di calma; più il ritmo si accelera, più lo spettatore è predisposto ad uno stato di inquietudine. Il ritmo trasmette allo spettatore un certo stato d’animo. Il ritmo, quindi, non è dato solo dalla musica, ma anche dalle immagini e il senso del tempo che deriva da un impiego molto accorto del ritmo non è un tempo oggettivo, costante, ma è soggettivo e dipende da come noi lo viviamo. La costanza del fluire del tempo “oggettivo” viene meno: ciò che conta è l’impressione e l’esperienza del tempo. Su queste variazioni gioca l’autore, proponendo allo spettatore un ritmo lento o accelerato. Queste sono espressioni sensoriali che ricaviamo attraverso le forme, sensazioni percettive, emotive. A questo livello di comprensione è importante il tempo interiore e la focalizzazione su un personaggio. Noi facciamo esperienza di determinate situazioni, mondi, circostanze, eventi, perché c’è la situazione di un personaggio con cui ci identifichiamo che ci porta in questi mondi, ci fa vivere questa esperienza e se non ci identificassimo, avremmo un fluire di immagini senza senso, che non ci comunica alcunché. Nei collegamenti, i nessi associativi chiamati in causa nel passaggio da un’inquadratura all’altra, ciò che più conta è l’esperienza di ogni singola sequenza rappresentata lungo tutto l’audiovisivo. Nella comprensione dei bambini, ad esempio, non vengono colti i nessi di causa/effetto, rimangono degli istanti singoli scollegati tra loro. COMPRENSIONE E INTERPRETAZIONE DELL’AUDIOVISIVO II In questa fase, ciò che è molto importante è la storia, il livello in cui la struttura drammaturgica è al centro della nostra attenzione. I nessi logici di causa ed effetto sono fondamentali per capire il dispiegarsi degli eventi, per capire il percorso che sta compiendo un personaggio. Siamo costretti a colmare dei vuoti che non vengono rappresentati nella storia, ma che accadono  2001: odissea nello spazio: nel passaggio dall’età primitiva dell’homo habilis all’homo sapiens, quell’ellissi temporale è quella che impone allo spettatore uno sforzo di attività e di colmare tutto ciò che non viene rappresentato. Non lo facciamo impiegando troppo tempo, ma è uno sforzo fondamentale. La metamorfosi dell’io, cioè il percorso interiore di un personaggio (v. Otto e mezzo o Citizen Kane), le trasformazioni della soggettività sono l’elemento su cui ci focalizziamo perché ci riconosciamo in quella soggettività e comprendiamo qualche cosa di noi, si comprende se stessi riconoscendosi con l’altro, notando delle analogie che ci fanno rassomigliare in quanto abbiamo in comune tutti noi esseri umani. 77 Entra in gioco la recitazione dell’attore, con la quale si esprime il suo mondo interiore e anche le parole che pronuncia sono importanti, sono un veicolo di espressione della sua soggettività. Perciò la comunicazione umana verbale e quella non verbale sono espressione della soggettività. A questo livello si colloca l’arco ermeneutico, il ponte che dà come frutto l’interpretazione. Comprendere ed interpretare sono usati come sinonimi, l’ermeneutica si occupa dell’interpretazione e della comprensione. Interpretare vuol dire che da una storia, da certi contesti noi ricaviamo dei temi, quali sono quelli principali affrontati in una storia (in Citizen Kane le novità introdotte dai media, il confine tra vita pubblica e vita privata, il potere della democrazia moderna, ecc.). A questo livello, posso compiere il processo di induzione: a partire da un particolare individuato nell’audiovisivo, sono in grado di cogliere una comprensione generale dei grandi temi generali. Colgo i significati, faccio un’esperienza cognitiva ma sempre soggettiva, che varia in base alle proprie facoltà, alla propria cultura che permettono di individuare più o meno facilmente i temi. Ciò che viene rappresentato, in genere, nell’estetica occidentale, imita la realtà (mimesis aristotelica), fa sì che noi ci interessiamo alla rappresentazione in quanto rappresentazione della realtà da cui apprendiamo qualche cosa. Ma questa rappresentazione deve essere posta in condizione di verosimiglianza: se è troppo distaccata dalla realtà, se è improbabile, “campata per aria”, senza alcun nesso con la realtà, la giudichiamo inverosimile, quindi non utile, non interessante. La nozione di verosimiglianza non implica che la rappresentazione sia l’esatta riproduzione della realtà. 2001: odissea nello spazio è un film di fantascienza: nel ’68 si preconizzavano delle sembianze umane molto lontane dalla realtà, ma anche la fantascienza rispetta la verosimiglianza che è qualche cosa di complesso che fa sì che la rappresentazione possa distaccarsi dalla realtà quel tanto che serve per permettere di riconoscere degli elementi della realtà utili a comprendere la realtà stessa. La verosimiglianza chiama in causa il possibile e il necessario. A partire dall’esperienza della realtà, è possibile che le cose vadano in questo modo? È una domanda la cui risposta dipende dal grado di trasporto dello spettatore nel film. COMPRENSIONE E INTERPRETAZIONE DELL’AUDIOVISIVO III È il livello nel quale le due forme di pensiero e di conoscenza entrano in una relazione reciproca di mutua influenza, è un livello al quale si approda di rado: non è un’esperienza comune  questa possibilità ci viene data dai grandi artisti ed è un’eventualità abbastanza rara quella di compiere un’esperienza di verità. Qui entra in gioco la soggettività di ciascuno: nel corso della nostra esistenza siamo più sensibili a certe questioni, a certe rappresentazioni piuttosto che ad altre. Può capitare quando rivediamo un prodotto audiovisivo che ci faccia un’impressione diversa rispetto alla prima volta. In quel lasso di tempo siamo cambiati, intanto abbiamo vissuto esperienze che vanno ad incidere sulla